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(4 Dicembre 2013)
Dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it
LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE DI AGGIORNARE AL 14 GENNAIO LA CAMERA DI CONSIGLIO PER L'ESAME DEL RICORSO AVVERSO L'ATTUALE LEGGE ELETTORALE, CI OFFRE LO SPAZIO POLITICO PER RILANCIARE CON FORZA LA PROPOSTA DI COSTITUIRE UN MOVIMENTO PER LA LEGGE ELETTORALE PROPORZIONALE.
Tralasciamo QUINDI i commenti, ma prendiamo spunto da questo stato di cose per rilanciare dunque la proposta di costituire un movimento d’opinione e di battaglia politica perché prevalga l’ipotesi di una legge elettorale proporzionale, attraverso la quale risultino evidenti due elementi: la centralità della democrazia parlamentare così come scritta nella Costituzione e la prevalenza del concetto di rappresentatività politica su quello di governabilità.
E’ nostra precisa opinione, infatti, attribuire al passaggio dal sistema proporzionale a quello misto maggioritario/proporzionale avvenuto nel 1993 (con successiva modifica nel 2005: sistema proporzionale “finto” con abnorme premio di maggioranza, varietà di soglie di sbarramento, liste bloccate) grandi responsabilità nella crisi verticale che sta incontrando il sistema politico italiano e l’insieme della convivenza sociale e civile nel nostro Paese.
Gli obiettivi che un sistema elettorale dovrebbe porsi, e le relative valutazioni sulle quali, il giudizio circa il loro conseguimento si basano, o dovrebbero basarsi: essi possono essere di due tipi, partigiani o sistemici (Pasquino 1982).
Vale a dire che qualsiasi sistema elettorale può essere considerato buono o cattivo, efficace o inefficace, utile o controproducente a seconda delle valutazioni che ne danno i singoli attori politico – partitici in chiave di parte, o a seconda di una considerazione sui suoi effetti complessivi sul sistema, con una valutazione che miri a preservarne le caratteristiche più tipicamente democratiche: la competizione elettorale e il potere dei cittadini sulla formazione dei governi.
Degli obiettivi partigiani si può prendere atto, magari per criticarli quando non siano accompagnati da una visione sistemica e quando non possano, in nessun modo, essere collocati in una visione di riforma.
Ecco: In Italia dal 1993 in avanti le modifiche del sistema elettorale hanno corrisposto soltanto a obiettivi partigiani.
Degli obiettivi sistemici, invece, bisogna parlare approfonditamente poiché essi non possono che basarsi su una valutazione del tipo di sistema politico (e di regime democratico) che si è sviluppato fino a quel punto, e come questo sistema democratico possa essere modificato.
Torniamo, comunque, al filo principale del nostro ragionamento.
Prima di individuare gli obiettivi sistemici, cui dovrebbe cercare di fare riferimento, è decisamente opportuno dare una valutazione complessiva degli apporti che i diversi livelli di rappresentanza, nella versione italiana, hanno fornito al radicamento e al funzionamento della nostra democrazia.
Infatti, solo chi è capace di non fare di ogni erba un fascio, ma di distinguere gli apporti dagli inconvenienti, dimostra di possedere quelle capacità riformatrici, senza le quali potremmo tutti rivelarci allegri (e pericolosi) apprendisti stregoni.
E' fuor di dubbio che, almeno nel contesto dell'Italia dopo il 1945, come forse in tutte le democrazie di massa, a partecipazione allargata, la rappresentanza proporzionale consentì il radicamento dei regime democratico (Rokkan 1982).
A fronte di una società civile, già debole in partenza e comunque uscita atomizzata dall'esperienza fascista e incapace di darsi un’organizzazione autonoma, e di fronte all'imperativo di creare istituzioni nuove, repubblicane e democratiche, solo i partiti, con le strutture e il seguito che la proporzionale impose loro di creare e di attrarre, potevano garantire quella competizione elettorale di massa caratteristica dei regimi democratici (Pasquino 1985).
Ben diversa avrebbe potuto essere la situazione, e imprevedibili avrebbero potuto essere gli effetti, se fosse stato adottato (senza alcun altro accorgimento) un sistema elettorale di tipo anglosassone: circoscrizioni uninominali, con la vittoria assegnata al candidato che ottiene la maggioranza, anche, e spesso, soltanto relativa dei voti.
Questo tipo di competizione, per quanto variegata e forse addirittura rappresentativa della società italiana, difficilmente avrebbe garantito il radicamento della democrazia.
Sicuramente avrebbe tenuto ai margini del sistema politico italiano considerevoli quantità di “cittadini”, producendo una mobilitazione selettiva (sotto questo aspetto si possono, ancora oggi, leggere con interesse i saggi di Caciagli – Scaramozzino del 1983).
Ancor più sicuramente un sistema di tipo anglosassone avrebbe dato origine, prima a un parlamento di eletti senza disciplina, poi a un Parlamento di rappresentanti debitori della loro elezione a singoli e facilmente individuabili gruppi di sostegno (tutt'altro che disposti a transigere sulla restituzione del favore, ed è stupefacente come chi parla del voto ridotto a merce, non si renda conto che si può far peggio del sistema proporzionale, voto di preferenza.).
Occorre, allora, ricordare che i partiti hanno adempiuto in maniera efficace alle funzioni classiche (che solo i partiti possono svolgere soddisfacentemente, come i ripetuti, e falliti, tentativi di sostituirli hanno dimostrato in maniera convincente) di presentare alternative elettorali.
Per restare al “caso italiano” la crisi di sistema dell'inizio degli anni'90, pose in evidenza la necessità di superare la fase del radicamento della democrazia attraverso i partiti, ponendo all'attenzione del mondo politico nuovi obiettivi sistemici, che furono così indicati: a) sbloccare la democrazia e creare condizioni per un'alternanza mai realizzata, non per difetto del sistema, ma per la presenza di una forza anti – sistema della consistenza del PCI; b) rinnovare i singoli partiti e trasformarne il sistema; c) ampliare gli spazi della società civile e rendere autonome le istituzioni dai partiti; d) aumentare il potere dei cittadini.
E' evidente come questi quattro obiettivi sistemici si “tenessero” tra loro, rafforzandosi ( o indebolendosi) reciprocamente e siano risultati, alla fine, tutti falliti anche quello del realizzare l’alternanza, vista l’attuale situazione di governo del Paese
Ne deriva, ed è questo lo scopo di questo schematicissimo testo, la necessità di avviare un’accurata opera di chiarificazione del tipo di obiettivi che si intendono perseguire, allo scopo di aprire spazi effettivamente riformatori.
Neppure una chiarificazione di questo tipo, che è necessaria, potrà però essere sufficiente se non sarà accompagnata (come, in effetti, è avvenuto in una misura troppo parziale, nel 1993, affidando la valutazione addirittura all'intero corpo elettorale attraverso la strategia referendaria) dalla volontà politica.
Infatti, quella operazione di riforma del sistema elettorale che molti si ostinano a definire come “ingegneristica” è, al contrario, una grande operazione di (alta) politica, di politica sistemica e riformatrice.
Oggi tutti, o quasi , parlano dei diritti dei cittadini: sarà opportuno prenderli sul serio e sottolineare che, fra i diritti dei cittadini, si può a giusto merito e a pieno titolo annoverare quello di influire sui processi decisionali.
Questa influenza, com’è noto, nella versione, che per brevità si può definire di Schumpeter (1955) e Downs (1988), può forse addirittura essere esercitata direttamente sulla scelta delle compagini governative.
L'interrogativo di fondo risiede proprio su questo punto: il sistema elettorale attualmente in uso(scontati i suoi limiti insuperabili in materia di sovranazionalità) non funziona neppure, come hanno dimostrato gli avvenimenti più recenti, per consentire l’affidamento di un mandato di governo in regime di alternanza.
Ecco allora che, rispetto alla scelta del sistema elettorale, la riflessione deve essere aperta sulla configurazione dell’intero sistema politico e in particolare del ruolo partiti. Se si pensa, infatti, che le organizzazioni partitiche possano esercitare una funzione positiva sul piano della rappresentanza e della partecipazione politica, allora l'idea di un sistema di tipo proporzionale (che, come nel nostro caso, possa funzionare sia sul versante della governabilità sia della rappresentanza politica) deve essere nuovamente presa in considerazione, come intendiamo proporre adesso.
L'affermazione che, di per sé, nessun sistema elettorale possa essere definito in astratto superiore a qualsiasi altro sistema, però non deve essere interpretata, qualunquisticamente, come se tutti i sistemi elettorali fossero equivalenti.
Tutt'altro.
Esiste, invece, un preciso rapporto tra sistema elettorale, sistema dei partiti e forma di governo (Bettinelli 1982 e Lanchaster 1981).
Esistono, altresì, problemi che un sistema elettorale apposito può minimizzare, o ingigantire, risolvere o aggravare, creare o distruggere.
Non esiste, pertanto, intercambiabilità fra i sistemi elettorali.
Sembra continui ad affermarsi una sorta di filosofia della riforma elettorale, che merita di essere catalogata come “minimalista”. Come fu del resto quella del 1993,e ancor peggio nel 2005, equilibrate entrambe su obiettivi “partigiani”.
Poco e probabilmente nulla, in materia di riforma elettorale, è accettabile se non fornisce con una qualche credibilità risposte a obiettivi che ci permettiamo di ricordare:
a) la centralità del Parlamento e la rappresentanza – appunto – di tipo proporzionale in quella sede del complesso di “sensibilità politiche” presenti e attive nella società;
b) creazione delle condizioni dell'alternanza e sblocco della democrazia. Senza che necessariamente questo avvenga attraverso una coartazione nella complessità delle scelte effettuate da elettrici ed elettori (attenzione! In un sistema sano ciò può avvenire anche nel corso del libero gioco parlamentare, senza che necessariamente si debba gridare al “tradimento” o al “ribaltone”. Il centrosinistra italiano del 1963 rappresentò, al di là dei diversi giudizi storici un sicuro avanzamento del nostro processo democratico, e prese l'avvio proprio in Parlamento, tre anni prima, come risposta ai tragici “fatti Tambroni”, in una fase, cioè, in cui pareva proprio che la nostra democrazia tendesse a restringere le proprie basi sociali); c)
c) rinnovamento del sistema politico e delle classi dirigenti, attraverso meccanismi di selezione non necessariamente legati all'esasperata personalizzazione legata a certi tipi di presentazione elettorale, considerati veicolo esaustivo di partecipazione alla politica;
d) ampliamento dello spazio della società civile e dell'autonomia delle istituzioni; aumento del potere decisionale dei cittadini (prestando attenzione alla possibilità di intervenire, attraverso i meccanismi della partecipazione e della rappresentanza, sui fatti politici).
Non si capirebbe d'altronde, perché si dovrebbe ingaggiare una battaglia politica su questo argomento se non per ampliare la democrazia dei cittadini, per migliorare il rendimento del sistema politico, per restituire la speranza di cambiamenti di fondo coerenti con le preferenze degli elettori, incisivamente espresse.
Questa deve essere la filosofia politica di qualsiasi riforma elettorale.
L'obiettivo di fondo dovrà essere quello della politica che recupera i criteri della legittimazione sociale, nell'idea di una rappresentanza quale fattore fondamentale dei processi di inclusione.
Un cammino che siamo convinti valga la pena di percorrere, non certo in forma isolata, ma costruendo interesse collettivo, capacità di dibattito, costanza di un’iniziativa tale da produrre effettivi momenti di crescita nella conoscenza, nella consapevolezza, nella realtà di una proposta rivolta verso il futuro.
Per questi motivi, dopo aver già assunto diverse iniziative a proposito, cercheremo di lavorare per organizzare un vero e proprio movimento che faccia della legge elettorale il suo obiettivo politico, considerando l'attuale decisione presa oggi dalla Corte Costituzionale un viatico, comunque, favorevole in questa direzione
3/12/2013
Patrizia Turchi e Franco Astengo
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