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(9 Aprile 2013) Enzo Apicella

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CONTRO LE PRIVATIZZAZIONI, I TAGLI AI SALARI ED AI SERVIZI: ESTENDERE GLI SCIOPERI A OLTRANZA, GESTIRLI DEMOCRATICAMENTE, ORGANIZZARE LE CASSE DI RESISTENZA.

(4 Dicembre 2013)

AMT GENOVA: UNA GRANDE LOTTA DI MASSA

La settimana di sciopero dei tranvieri genovesi è stata una grande lotta di massa. La memoria di chi l'ha vissuta è concorde: mai vi era stata una simile compattezza. La radicalità dello sciopero a oltranza ha unificato per 5 giorni quasi 3000 lavoratori, scavalcando differenze di generazione, cultura e appartenenze sindacali.

Non ha isolato i lavoratori. Nonostante i pesanti disagi, la popolazione ha oscillato tra benevola neutralità e aperta simpatia. A differenza di tanti sciopericchi, la lotta dei tranvieri è apparsa chiara, mirata a vincere e non a partecipare. Da qui un sentimento diffuso: “Fanno bene!”. Un sentimento che ha iniziato ad esondare nel sostengo e nella partecipazione alla lotta, innanzitutto nelle altre municipalizzate (AMIU e ASTER), mentre l'annuncio sulla privatizzazione Fincantieri gettava benzina sul fuoco.


LE PAURE DELLA STAMPA E DELLA BORGHESIA

A partire dal terzo giorno la lotta ha fatto il suo ingresso nello scenario nazionale. Amplificando questo sostegno e facendo emergere lo sciopero come un punto di riferimento generale. Il rischio di una saldatura con altri settori è divenuta la principale preoccupazione della stampa. “Rischio Genova” (Corriere) “La rivolta di Genova” (Il Giornale) “La miccia di Genova” (Unità): così titolavano i giornali a caratteri cubitali. Non si riferivano ai soli ferrotranvieri.


COMPATEZZA E DIFFERENZE TRA I LAVORATORI: IL RUOLO DELLE BUROCRAZIE SINDACALI

Ma più si è generalizzato il livello dello scontro, più è apparso evidente lo scarto tra radicalità della lotta e sua direzione. L'AMT vede una presenza maggioritaria di FAISA/CISAL (oltre 1000 iscritti) e CGIL (circa 500 iscritti). CISAL e CGIL avevano gestito l'accordo del 7 maggio: taglio di 1400 euro l'anno e rinuncia a 5 giorni di ferie, in cambio della difesa dell'azienda pubblica. Un accordo già allora controverso (approvato solo dal 54% dei lavoratori). Quando Doria ha stracciato questo accordo, la reazione dei lavoratori ha innescato la lotta.

Nella prima assemblea nella storica sala della Chiamata è stata evidente la loro compattezza. Compattezza non significa omogeneità: nei lavoratori c’erano diversi linguaggi e culture, difesa di “categoria (“Né rossi, né neri, solo tranvieri”) e rivolta generale (“La scintilla dell'Italia siamo noi”). La sensazione emergente era però quella di una vicenda ben più grande della categoria. Per questo si azionava la prima frenata. “Ora si tratta di trovare subito uno sbocco” (CGIL); “Non dobbiamo cambiare il mondo, ma un’azienda” (CISAL).


UN ACCORDO NEGATIVO CONTRO LAVORATORI E SERVIZIO.

Nella notte di venerdì sindacati, Comune e Regione siglano l'accordo. Certo, non prevede altre decurtazioni, come a maggio. Ma taglia le linee collinari, con un colpo a organici e servizio, con lo scopo di rendere l'azienda più appetibile. Altro che ritiro della privatizzazione. Ma l'accordo ha

soprattutto l’obbiettivo di spezzare la dinamica di lotta. “Abbiamo ottenuto tutto, cos'altro volevamo ottenere?”; ”E poi, quale sarebbe la prospettiva?”: il punto di forza non è stato il merito, che ha convinto ben pochi anche tra chi lo ha approvato, ma l’assenza di una prospettiva. Tanti non volevano cedere, ma se si respinge l'accordo cosa si fa? Questo interrogativo alimentava confusione e paura.


UN'ALTRA POSSIBILE DIREZIONE DI MARCIA

Sarebbe stato necessario dare una risposta. La prima questione era la cassa di resistenza. Una lotta prolungata ha bisogno di coprirsi le spalle. Da tutta Italia erano giunte disponibilità, non solo del trasporto locale. Occorreva incoraggiare e dare una forma a questa spinta. La seconda questione era l’estensione della lotta. Nulla era più falso del cosiddetto “isolamento”. In diverse città si guardava a Genova. (”Grazie a voi per la prima volta dopo anni abbiamo fatto un assemblea nella nostra azienda per organizzare lo sciopero. Non mollateci proprio ora”). Era necessario proporre un appello, estendere la lotta contro le privatizzazioni. La terza questione riguardava l'organizzazione. Alla AMT non c'è neppure la RSU. Il sindacato autonomo si è sempre opposto, la CGIL si è adattata. Doveva essere costruita una rappresentanza democratica, che gestisse il negoziato. Un comitato di sciopero, eletto dall'assemblea: uno strumento che appartiene alla storia migliore del movimento operaio.


ESTENDERE GLI SCIOPERI AD OLTRANZA, COSTRUIRE UNA DIREZIONE DEMOCRATICA DEI LAVORATORI.

Ma nessuno è stato capace di avanzare questa proposta. Il risultato è stato uno solo. Un accordo respinto dalla coscienza dei più è “passato”. Una (risicata) maggioranza, disorientata e delusa, dava un “sì” sfiduciato, vivendolo come una sconfitta. Un largo settore di giovani lavoratori si è contrapposto, ma non ha trovato un polo di riferimento. La rissa tra lavoratori è stato l'epilogo amaro di una vicenda che aveva visto proprio nell'unità operaia la sua espressione migliore.

Anche nella sinistra politica e sociale non si è trovata questo polo di riferimento. Per l’ambiguità del sostegno alla giunta Doria (come in SeL) o per disattenzione, come nei settori che salutavano come “sollevazione” la manifestazione del 19 ottobre, ma non si sono occupati della sollevazione reale dei tranvieri di Genova e delle sue reali potenzialità di contagio.

IL PCL A FIANCO DI QUESTA LOTTA, A FIANCO DELLE PROSSIME LOTTE

L'esperienza di Genova insegna quanto sia essenziale la costruzione di una direzione alternativa del movimento operaio. Solo una dinamica di massa può seriamente preoccupare la borghesia. Ma solo una direzione alternativa può evitare che la mobilitazione più radicale e generosa venga dispersa e sconfitta. E non c'è costruzione di una direzione alternativa di lotta fuori da un progetto complessivo anticapitalista che raccolga e organizzi attorno a sé la migliore avanguardia della classe operaia e dei movimenti, e riconduca ogni lotta a una prospettiva di rivoluzione.

Per questo il PCL è stato presente sin dall'inizio nella lotta di Genova: l’unico che ha potuto intervenire nella grande assemblea pubblica della Chiamata del porto. Per questo, con gli autoferrotranvieri, il PCL lavora a estendere e valorizzare in tutta Italia questa esperienza di lotta radicale.


CONTRO LO SPACCHETTAMENTO E LA PRIVATIZZAZIONE DI ATAF

A Firenze, città vetrina per il sindaco Renzi, si sta distruggendo una azienda storica mediante una privatizzazione ed una suddivisione in tre parti dell’Ataf. Questo porterà ad un peggioramento sia del servizio per gli utenti che ad un peggioramento delle condizioni lavorative. Si volta le spalle ai referendum in cui la stragrande maggioranza dei cittadini di questo paese votarono contro la privatizzazione dei beni comuni. Il sindaco Renzi in questa città ci fa vedere quale è la sua vera faccia, un nemico dei lavoratori. Il PCL si schiera al fianco dei lavoratori Ataf, contro la privatizzazione, contro lo spacchettamento, per un Ataf pubblica sotto il controllo dei lavoratori

Partito Comunista dei Lavoratori- Firenze

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