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    SITI WEB
    (Lotte operaie nella crisi)

    Avvisaglie di ripresa della lotta di classe

    (6 Dicembre 2013)

    Di quando in quando gli operai vincono,
    ma solo in modo effimero. Il vero risultato
    delle loro lotte non è il successo immediato,
    ma l’unione sempre più estesa degli operai.

    ( Manifesto del Partito comunista)


    Ad ogni livello si è imposto un linguaggio orwelliano. Riforma, un tempo, era la trasformazione progressiva della società, l’eliminazione di vecchi intralci precapitalistici semifeudali e clericali, dal superamento del diritto elettorale basato sul censo all’ingresso della donna nella vita politica, dalla riforma agraria al divorzio, all’aborto, al superamento di istituti obsoleti come la mezzadria, la dote, o palesemente criminali, come gli sconti di pena per il delitto d’onore... Oggi con riforma s’intende la più supina soggezione alle imposizioni del capitale finanziario, con l’erosione continua dei diritti e dei redditi dei lavoratori.
    Altrettanto orwelliano il linguaggio usato a proposito delle spedizioni militari, invariabilmente classificate come spedizioni di pace, giustificate a loro dire dall’art. 11 della Costituzione allegramente violato; chiunque vi si oppone sul posto delle operazioni è un terrorista e chi protesta in occidente è un demagogo o un fiancheggiatore del terrorismo internazionale. Chi denuncia la sopraffazione nei confronti del popolo palestinese è classificato antisemita, come se gli arabi, e quindi pure i palestinesi, non fossero semiti.
    Un simile capovolgimento della realtà si ha pure con le cooperative. La tradizione cooperativistica del movimento operaio fu apprezzata dai grandi esponenti del marxismo. Marx ebbe molta considerazione per il movimento cooperativistico, perché dimostrava che la produzione su vasta scala e con tecniche moderne si poteva fare a meno della classe dei padroni, che le macchine non erano necessariamente strumenti di asservimento e di sfruttamento, e che il lavoro salariato non era una forma permanente, ma dovrà scomparire come quello dello schiavo e del servo della gleba. Ma il lavoro cooperativo, di per sé, non è in grado di sconfiggere i monopoli, e non può sostituire la lotta di classe. “Per salvare le masse lavoratrici il lavoro cooperativo dovrebbe svilupparsi in dimensioni nazionali e, per conseguenza, dovrebbe essere alimentato con i mezzi della nazione” scriveva Marx nell’Indirizzo inaugurale dell’Associazione Internazionale degli operai. Occorreva, dunque, il potere politico. Lenin sviluppò queste nozioni in uno dei suoi ultimi articoli, “Sulla cooperazione”. In che consiste l’irrealtà dei sogni dei vecchi cooperatori: “Nel non comprendere l’importanza principale, radicale della lotta politica della classe operaia per l’abbattimento del dominio degli sfruttatori. Ora questo abbattimento da noi ha avuto luogo, ed ora molto di quanto sembrava fantastico, persino romantico, persino banale dei sogni dei vecchi cooperatori, diventa una delle più autentiche realtà”.
    Come si vede, ciò è in perfetta continuità con Marx, sia detto a coloro che vedono in lui un revisore della teoria marxista, che addirittura avrebbe radicalizzato (che idea buffa!).
    Ma la borghesia, con mille manovre e inganni, come si è impadronita dei partiti dei lavoratori, di gran parte dei loro sindacati e giornali (l’Avanti è finito persino nelle mani di un avventuriero “amico” di Berlusconi), così si è impadronita delle cooperative, rosse e cattoliche, trasformandole in fonti di profitto capitalistico. Non solo, ma ha creato associazioni, cooperative di nome, e persino ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) che hanno il solo scopo di ottenere vantaggi fiscali e di eludere le norme che, nonostante la continua erosione dei diritti del lavoro, ancora tutelano i lavoratori. La borghesia inganna sempre e in qualsiasi campo: quante ONG sono in realtà organismi dei servizi segreti (CIA in testa) sotto false sembianze? E le associazioni filantropiche, fondate da Rockefeller o da Soros, quali scopi pensate che abbiano?
    E’ quindi immediatamente comprensibile perché si sono inquadrati addetti ai depositi e magazzini, non come lavoratori salariati, ma come soci lavoratori. Non hanno la possibilità di decidere alcunché, ma sono alla mercé di qualsiasi disposizione dei veri padroni della cooperativa.
    L’esternalizzazione di molte attività un tempo condotte direttamente dall’impresa principale è uno sviluppo inevitabile legato alla crescente divisione del lavoro. Indebolisce e scompone le forze operaie e infrange i legami sorti tra coloro che hanno lavorato insieme; quella dei lavoratori è una tela di Penelope che deve essere continuamente ritessuta. Ciò è aggravato dalla situazione di palude politica e sindacale propria dell’Italia. Abbiamo sindacati, come quelli della Triplice, che – sempre se gli iscritti dichiarati sono reali – sono tra i più grandi a livello europeo, ma utilizzano il loro peso per asservire i lavoratori a partiti politici borghesi, allo stato e ai padroni. Per questi motivi, il processo di esternalizzazione si svolge ad esclusivo danno dei lavoratori, con peggioramenti riguardanti orario e salario, con buste paga fittizie erose da trattenute, con lo sfondamento dell’orario legale, con l’eliminazione di ogni forma di salvaguardia della salute del lavoratore.

    Le lotte della logistica e dei tranvieri di Genova
    Gli avvenimenti sviluppatisi nella logistica, i problemi connessi, i dati sono stati trattati più volte e sono noti a molti militanti, ma è bene ricordarli per sommi capi per chi non avesse potuto seguirli.
    In un’intervista a Mohamed Arafat, autotrasportatore egiziano della Tnt di Piacenza c’è una denuncia chiarissima del meccanismo di esternalizzazione:
    “La cooperativa che lavora per, diciamo, Tnt, dà in genere lavoro ad un membro più anziano, che magari ha sui 65 anni e che fa da prestanome. In genere una cooperativa dura poco, al massimo due anni, dopo di che sparisce e viene ricostituita in una forma nuova, con un altro prestanome. Nel corso di quei due anni i lavoratori vengono pagati in nero, e lo Stato non riceve quindi i contributi associati ad ogni singolo lavoratore. Quest'ultimo, quando vuole fare una vertenza legale spesso non fa neanche in tempo: la cooperativa che gli dava lavoro è già sparita. Su un piano formale, l'operaio è un socio della cooperativa, anche se in realtà è un dipendente ricattabile (oltretutto spesso straniero e bisognoso di permesso di soggiorno) e ipersfruttato. Sta di fatto che, anche come socio, in quanto è un lavoratore del settore trasporto merci, dovrebbe lavorare nelle condizioni previste dal contratto, cosa che non è mai avvenuta, se non in alcuni luoghi e dopo le nostre lotte…
    Per quanto riguarda la retribuzione, arriva praticamente sempre in nero, con diversi stratagemmi. Faccio l'esempio della situazione che c'era un tempo in Tnt. Tutti, e dico tutti, quelli che lavoravano lì dentro venivano pagati con un bonifico, con una retribuzione mensile calcolata su una base di 6, massimo 6 euro e 50 all'ora, mentre alla fine del mese ricevevano una busta paga fasulla in cui figurava che erano in aspettativa e che non avevano guadagnato nulla. Formalmente, quindi, lavoravano zero e venivano pagati zero. Di conseguenza, anche le tasse e i contributi pagati allo Stato erano pari a zero. Una volta ricordo che venne un ispettore e rimase sbalordito dal fatto che i lavoratori risultavano tutti in aspettativa. Eppure lo Stato per anni non ha fatto nulla per combattere questa situazione, che è cambiata solo grazie alla nostra lotta. Prima ancora che avessimo la busta paga a zero euro, le retribuzioni venivano date addirittura in contanti, in mano al lavoratore. Ora la situazione è diversa, e abbiamo una busta paga vera, dalla quale risulta ciò che effettivamente guadagniamo.” (1)

    Le cooperative affidano ad altre imprese la gestione di magazzini e delle scorte. Ufficialmente nella logistica operano 450.000 lavoratori, in realtà sono circa 700.000. I due poli maggiori sono gli interporti di Bologna e Piacenza. Diffusissimi il lavoro nero e il caporalato, che hanno buon gioco nei confronti di una manodopera in gran parte straniera, quindi particolarmente ricattabile. Un esempio, i lavoratori della Coop Adriatica di Anzola (Bologna). Hanno appreso, nel novembre 2012 che dal primo dicembre sarebbero passati alla Aster Coop. Ceduti, come un tempo erano venduti gli schiavi. Questo comportava il passaggio dal contratto nazionale del commercio a quello assai peggiore del trasporto e della logistica. Scendevano tutti al 6° livello d’inquadramento, il più basso, indipendentemente dal livello precedente, e la loro retribuzione diminuiva del 10%. Non più il contratto a tempo indeterminato, ma un periodo di prova, durante il quale si può essere licenziati senza preavviso e senza indennità.
    Questo è solo uno dei tanti casi di abusi, contro i quali ha reagito l’ampia lotta sviluppatasi negli ultimi anni nel settore della logistica, contro le associazioni padronali dei corrieri e la sedicente cooperazione. I salari sono appena sufficienti per sopravvivere, gli orari sforano continuamente i limiti di legge, i controlli ossessivi si coniugano con la minaccia perenne del licenziamento, nessuna sicurezza. L’evasione fiscale è la norma e le autorità, così sollecite nel dichiarare illegali gli scioperi, si guardano bene dal porre fine a questi abusi.
    Lo sfruttamento si basa sul subappalto tramite cooperative di facchinaggio, che molto spesso sconfinano in un vero e proprio caporalato. I padroncini organizzano il lavoro senza alcuna tutela normativa, infischiandosi dei contratti, con turni di lavoro assolutamente arbitrari. Le cooperative effettuano il lavoro a chiamata, per salari che spesso non superano gli 800 euro al mese, con orari di lavoro che a volte toccano le 15 ore in un giorno. Fra i facchini è diffusissima l’ernia del disco. Questo sfruttamento bestiale consente fortissimi profitti.
    Se non sono costrette dalla lotta le cooperative negano i diritti più elementari e le autorità statali e locali lasciano fare.
    La stessa richiesta di applicare il contratto nazionale Trasporto Merci e Logistica è stata accolta con una forsennata reazione contro i lavoratori e i sindacati che guidavano le lotte. Sono seguite centinaia di denunce piovute nei confronti di lavoratori, attivisti sindacali e sociali che hanno portato avanti le lotte.
    Questi scioperi furono resi possibili dall’incontro dei lavoratori col SI Cobas, un sindacato che, in aperta polemica con i sindacati di regime, non esita a indire scioperi non simbolici, cioè ad usare gli strumenti di lotta dei lavoratori, che una propaganda ingannevole definisce obsoleti, controproducenti. Agli scioperi partecipano pure l’Adl Cobas e Cobas Lavoro Privato.
    Questi sindacati, infischiandosi delle liturgie legalitarie dei dirigenti della Triplice, sono ricorsi alle forme più classiche di sciopero, quello col blocco totale del transito e i picchetti.
    Le denunce di sindacalisti e operai riguardano Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Marche… E’ in corso il processo contro 28 lavoratori ad Origgio, ci sono 55 denunce a Padova, 179 denunce nei confronti dei lavoratori della Granarolo, e a ciò si è aggiunto l’intervento del Questore di Bologna che ha minacciato la perdita del permesso di soggiorno. Non si contano i provvedimenti disciplinari contro gli iscritti ai sindacati in lotta, col pretesto della scarsa produttività.
    Non sono mancate le minacce più grossolane. Il sindacalista della Fit-Cisl Turrini, riguardo a SI Cobas ha dichiarato: “ Sarebbe meglio che qualcuno insegnasse loro come si sta al mondo, anche intervenendo democraticamente sulle loro schiene”. Ma i lavoratori erano determinati al punto di sdraiarsi sotto i camion, quando la polizia ha intimato ai camionisti di forzare il blocco.
    Ci sono stati episodi addirittura grotteschi per il loro carattere gratuito e reazionario, come il foglio di via obbligatorio che il questore di Piacenza ha inviato ad Aldo Milani, coordinatore del SI Cobas. Questo foglio è previsto per i soggetti “dediti alla commissione di reati”. Il reato qui è la lotta di classe, un reato di cui si può essere fieri. Un comunicato di SI cobas e Adl Cobas diceva:
    “Si tratta di una gravissima misura di restrizione della libertà di movimento che viene adottata nei confronti di un militante sindacale che, in questi ultimi anni, è sempre stato in prima fila nella costruzione delle lotte dei lavoratori della logistica per ottenere condizioni dignitose di lavoro, combattendo il caporalato e le mafie che gestiscono impunemente impressionanti giri di affari. E’ evidentemente un ordine partito dalle strutture padronali di quel territorio, in primis dal colosso svedese dell’IKEA, che è stato costretto a cedere di fronte ad un movimento di lotta che ha messo in crisi il sistema mafioso dei consorzi e delle cooperative che gestiscono anche i suoi magazzini.
    Si vuole tentare, con le misure di polizia, di fermare una lotta che si è estesa a macchia d’olio in tutto il centro e nord Italia nel settore della logistica e che ha portato alla proclamazione dello sciopero del 22 marzo per chiedere un rinnovo del Contratto Nazionale che garantisca miglioramenti effettivi.”
    La misura si è rivelata un boomerang, per le dichiarazioni di solidarietà che hanno percorso il web e non solo. Gli atti arbitrari, le denunce, i processi, le persecuzioni, quando trovano una risposta dei lavoratori, si trasformano, malgrado le intenzioni di miopi burocrati, in strumenti di propaganda a favore dei salariati. E le grandi imprese come l’Ikea, che hanno fatto tante pressioni perché venissero presi provvedimenti antisciopero, non ne hanno certo ricavato una buona fama.
    Contro gli scioperanti è intervenuta anche la Commissione di Garanzia sullo sciopero, che, in seguito alle lotte della Granarolo e della Lega Cooperative a Bologna, ha incluso tra i servizi pubblici essenziali la movimentazione e il trasporto di merci deperibili applicando i codici di autoregolamentazione e le norme della legge 146 del 1990 (legge “anti-sciopero”). La collaborazione tra gli organi sedicenti “al di sopra” delle parti e il padronato è totale e immediata. Le norme vengono modificate continuamente, si riscrivono regole e contratti per legare sempre più le mani ai lavoratori. Stato, regioni, comuni si adeguano immediatamente agli interessi dei padroni (2)
    “ Ma chi sono i soggetti cui la Commissione di Garanzia intende offrire la sua Santa protezione? Sono la S.p.A. Granarolo di Carpiano, l’Aster Coop del Gruppo Centrale Adriatica di Anzola (Bo), la Cooperativa Trasporto Latte… La prima mossa è smentire qualunque presunta “finalità sociale” della produzione. Quelle “entità” chiamate “ditte” non producono latte e latticini, non li confezionano, non trasportano, non scaricano e caricano, non hanno alcuna cura della bontà dei prodotti. Esse investono solo denaro-capitale, che gli Istituti di credito prestano loro.
    Quelle figure societarie che si avvalgono di un concreto diritto di sfruttamento e di appropriazione dell’energia lavorativa non hanno alcuna parte nella questione, se non quella della “funzione parassitaria” del capitale nel processo produttivo.” (3)

    La sorveglianza occhiuta delle autorità, che seguono e perseguono i lavoratori in sciopero, si trasforma nella più assoluta abulia quando si tratta di controllare il comportamento eslege dei datori di lavoro. Gli organismi, statali o non, così solleciti a denunciare i lavoratori in lotta, perché, rispetto alla recentissima strage di lavoratori cinesi a Prato, non insorgono contro i negrieri che li hanno resi schiavi e contro i funzionari che dovevano controllare e non l’hanno fatto? Ma in regime capitalistici i controlli sono fatti – e neppure sempre – quando la bara è pronta.
    In queste lotte ha avuto un certo peso il boicottaggio, per esempio nei confronti della Granarolo. Il boicottaggio permette anche a chi è esterno al rapporto di lavoro di esprimere in modo incisivo la sua solidarietà. Per esempio, presso la coop “ Il Mirto” a Genova, sono stati distribuiti volantini che invitavano a questa forma di lotta contro la Granarolo e molti i clienti hanno consegnato il talloncino di boicottaggio alle casse. Importante la formazione di una cassa di resistenza. Il padrone vince molte battaglie perché può resistere più a lungo. Le casse di resistenza possono sopperire in parte, ma quando gli interessi del capitale lo esigono, i governi possono sequestrarle con i pretesti più infondati. La legalità può proteggere fino a un certo punto i lavoratori. La lotta di classe è una guerra e la borghesia può ricorrere a qualsiasi trucco, a qualsiasi slealtà. E’ bene saperlo fin da subito.
    A luglio era stato necessario firmare un accordo non troppo favorevole, ma un sindacato non può mai prescindere dai rapporti di forza e non può sfiancare i propri rappresentati in lotte continue. Ma le coop non hanno rispettato gli accordi e a novembre si è avuta a Bologna una manifestazione per chiedere il reintegro di 51
    lavoratori che operano per Granarolo e Cogefin licenziati a causa dello sciopero. Gli slogan più gridati erano: “Granarolo ladri” e “Legacoop, un gruppo di potere e
    spartizione di denaro”.
    L'accordo di luglio, firmato alla presenza del prefetto di Bologna e di
    Cgil, Cisl e Uil, prevedeva la ricollocazione di 23 lavoratori entro il 31 ottobre, e a trovare una collocazione per altri 28. Solo 9 lavoratori sono stati reintegrati, e alcuni di questi con un contratto di soli tre mesi. Si dimostra così la malafede della controparte. Le lotte sono rischiose, e c’è il pericolo continuo dell’isolamento, ma a restare fermi di è certi di essere schiacciati. La Luxemburg disse che la lotta sindacale è un lavoro di Sisifo. La destra della socialdemocrazia interpretò questa frase come una sottovalutazione delle lotte quotidiane, era invece una ripresa delle posizioni di Marx, secondo cui c’è la necessità di integrare la lotta sindacale con quella politica.

    Una lezione simile si può trarre dalla magnifica lotta dei tranvieri di Genova, con l’entrata in sciopero anche dei lavoratori Aster (manutenzione stradale) e la presenza ai cortei di molti lavoratori Amiu (nettezza urbana) a fianco dei lavoratori Amt. E’ difficile che si possano impedire alla lunga le privatizzazioni progettate dal Comune, ma è indispensabile una seria lotta in previsione degli esuberi e il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro che ne conseguirà (4). Sono seguite le multe della prefettura, le falsificazioni della TV che ci ha bombardato di interviste di utenti in situazione di disagio, e quelle del sindaco Doria, che non ha dato nessuna garanzia e ha chiesto nuovi sacrifici. In totale contrasto con la sua campagna elettorale estremamente retorica, basata sulla difesa dei beni comuni e delle azienda pubbliche, Doria vuole far approvare la delibera che prevede la vendita di quote di AMIU (rifiuti) e ASTER (lavori pubblici) e della società di trasporto pubblico AMT.
    L’accordo è stato strappato ai lavoratori con una pseudo votazione beffa che ha suscitato lo sdegno di gran parte dei presenti e di chi ha visto il filmato dell’assemblea. Nessuna garanzia di correttezza: si sono fatti schierare i favorevoli da un lato e i contrari dall’altro, senza tenere conto che erano presenti molti estranei e del fatto che molti interessati in quel momento erano fuori. (5)
    E’ in corso un’offensiva degli apparati dello Stato contro i tramvieri genovesi. Le sanzioni corrispondono a circa 2 milioni di multe, e sono consegnate da carabinieri, polizia e vigili urbani su mandato della Prefettura. L'Autorità di garanzia per gli scioperi, ha chiesto informazioni alla AMT. Se risulterà che lo sciopero è stato spontaneo, saranno solo i lavoratori a pagare le sanzioni (250 euro il primo giorno, 500 il secondo), se sono coinvolti i sindacati, anche questi dovranno pagare ammende tra i 2500 e i 25.800 euro, alla faccia della repubblica democratica fondata sul lavoro. A questa offensiva reazionaria si sono accodate le associazioni dei consumatori del Coordinamento Ligure Consumatori e Utenti (Acu, Adiconsum, Adoc, Assoutenti, Casa del consumatore, Cittadinanzattiva, Codacons, Lega consumatori, Movimento difesa del cittadino) hanno deciso di chiedere il rimborso dei danni provocati dallo sciopero dei lavoratori Amt. (6)
    Non solo: l’accordo prevede un nuovo subappalto esterno del servizio per linee collinari (2 milioni), e che 4 milioni siano ricuperati “attraverso opportune intese con le organizzazioni sindacali”, per esempio tramite l’assorbimento degli straordinari. La completa privatizzazione sarà rimandata, ma a prezzo di ulteriori sacrifici dei lavoratori.(7)

    Riflessioni sulle lotte

    Un bilancio di questi scioperi richiederà uno studio attento, ma per la documentazione non ci si può basare sulla stampa borghese falsificatrice, ma a siti e a giornali proletari.
    Per il marxismo, lo stato (con regioni, province, comuni) non è un’entità neutra, che guida e amministra la nazione nell’interesse di tutti i cittadini, ma è l’organizzazione che la classe dominante si dà per controllare l’intera società e impedire alle classi sfruttate di far valere i propri interessi. Questa nozione così semplice è spesso incomprensibile per molti intellettuali, ma è facilmente percepibile da molti proletari, non appena, nella lotta per i propri diritti elementari, si trovano di fronte il manganello o la denuncia penale. E la divisione dei poteri? A molti è chiaro che il governo è contro i lavoratori, anche nei confronti di questo parlamento di nominati c’è discredito, ma è ancora diffusa l’idea che la magistratura sia al di sopra delle parti. In realtà, è un pilastro dello stato di classe, e, se c’è qualche sentenza a favore dei lavoratori, la maggior parte sono a favore dei padroni. Questo non significa che bisogna rinunciare a far valere i propri diritti in tribunale, ma guai a farsi illusioni o a considerarlo il principale strumento di lotta. Stato e padroni marciano sempre assieme, e quando una legge offre qualche possibilità ai lavoratori, non viene rispettata, a meno che un forte intervento di classe non ne imponga l’esecuzione. A rigore, il licenziamento politico sarebbe proibito, in realtà viene praticato ogniqualvolta le lotte dei lavoratori rischiano di creare seri danni alle imprese, e i pretesti sono infiniti. Chi ha già una certa età ricorda le famigerate liste della Fiat e le persecuzioni politiche nei confronti dei lavoratori di sinistra, che rappresentavano un pericolo per il capitale, anche se erano guidati da dirigenti opportunisti. Il tristo metodo viene oggi riesumato. Più che di una punizione, si tratta qui di un’azione preventiva. La borghesia ha una lunghissima esperienza di repressione, e sa quanto facilmente la scintilla nata da una lotta può incendiare l’intera prateria. Ufficialmente si sostiene che la lotta di classe è superata, ma ci si blinda contro la sua ripresa futura. I padroni si basano anche sul fatto che i lavoratori della logistica sono per lo più immigrati, facilmente ricattabili perché, oltre a perdere il posto di lavoro, possono essere espulsi dall’Italia. Si tratta di proletari al 100%, senza riserve nel senso più letterale del termine.
    I conflitti sociali smascherano le ideologie secondo le quali, con lo sviluppo dello stato democratico la lotta di classe assume forme più civili e rispettose dei diritti dei lavoratori. Abbiamo visto riesumare metodi vieti, come il foglio di via obbligatorio per i sindacalisti combattivi, trattati come comuni delinquenti, nonché lo strumento delle multe, denunciato da Lenin più di cent’anni fa.
    Ci sono compagni che cercano sempre nuovi protagonisti sociali e impreviste forme di lotte, e sostengono che il settore industriale è stato surclassato dal terziario. Ciò può sembrare verosimile per chi corre dietro alle classificazioni borghesi. La classificazione di Marx è assai diversa: c’è una netta distinzione tra capitale commerciale, nel quale il tempo di compra vendita non crea nuovo valore, e porta alla conversione del valore da una forma ad un’altra, da merce a denaro o viceversa, e capitale industriale, dove si produce e si crea nuovo valore. “Il capitale industriale è l’unico modo d’essere del capitale in cui funzione del capitale non sia soltanto l’appropriazione di plusvalore, rispettivamente di plusprodotto, ma contemporaneamente la sua creazione”. Per Marx, l’industria dei trasporti vera e propria e la spedizione sono rami della produzione distinti dal commercio; come la conservazione delle merci, sono processi di produzione che si prolungano entro il processo di circolazione, e vengono comunemente confusi col capitale commerciale che riguarda solo la compra-vendita.
    “Ma ci sono branche di industria autonome nelle quali il prodotto del processo di produzione non è un nuovo prodotto oggettivo puro e semplice, una merce. Tra esse economicamente importante è soltanto l’industria delle comunicazioni, sia essa una vera e propria industria dei trasporti per mezzi e persone o soltanto trasmissione di comunicazione, lettere, telegrammi, ecc.” Tutte questo mondo della comunicazione non si può identificare col capitale commerciale. E’ una forma particolare di capitale industriale: a differenza dell’industria in senso stretto, questi servizi devono essere consumati nel medesimo istante in cui sono prodotti.
    E’ molto diverso se la circolazione delle merci avviene senza movimento fisico, cioè se viene comprato il titolo di proprietà, oppure se si deve ricorrere all’industria dei trasporti: “Il capitale produttivo investito in esso aggiunge dunque valore ai prodotti trasportati, parte per il trasferimento del valore del mezzo di trasporto, parte per l’aggiunta di valore mediante il lavoro di trasporto. Quest’ ultima aggiunta di valore si suddivide, come in ogni altra produzione capitalistica, in sostituzione di salario e in plusvalore.” (Il Capitale, vol. II, Cap. sesto 3 Spese di trasporto.) Anche qui, ogni riduzione del salario comporta l’aumento dei profitti, e viceversa.
    Eppure imperversano ancora i miti di una società post-industriale, di un mondo delle comunicazioni e di un terziario avanzato che non poggiano sull’industria, ma su se stessi. La borghesia vuole far credere che la figura del salariato tradizionale sta sparendo. Non più operai, ma operatori, collaboratori, cooperatori, e si inventa mille forme contrattuali per far passare il salariato per un libero professionista, anche quando il rapporto di subordinazione è palese.
    L’argomento principe dei nuovisti è questo: Marx ha studiato a fondo il capitalismo inglese dell’Ottocento, non è utile seguire le sue indicazioni nel XXI secolo. In realtà Marx ha tratto dallo studio del capitalismo inglese le leggi che regolano lo sviluppo del capitale. Il capitalismo è uno, anche se ha varie fasi. E, in un periodo di crisi come questo vediamo rispuntare, anche nei paesi più progrediti, certe forme di sfruttamento brutale che ad un esame superficiale sembravano limitate agli inizi dell’Ottocento o ai paesi in via di sviluppo.
    E purtroppo, ci sono troppi militanti che credono a queste “novità”, e parlano di nuove forme di lotta. Nuove categorie facchini e tranvieri? Nuove forme di lotta i blocchi e i picchetti? No, si tratta della buona vecchia lotta di classe, e dobbiamo essere riconoscenti a quei lavoratori e militanti sindacali che l’hanno riscoperta.

    Dobbiamo chiederci: perché, malgrado la combattività dei lavoratori, la presenza di alcuni sindacati che usano metodi classisti e l’interesse che la lotta ha suscitato tra gli elementi più vivi della sinistra, questa non è bastata a fare da detonatore per più vasti settori di lavoratori in condizioni simili? La crisi dà una spiegazione, ma solo parziale.
    Marx fin dagli inizi avvertì i lavoratori che la lotta economica, con lo sviluppo del capitalismo, lungi dal divenire più facile, sarebbe divenuta più difficile, e che storicamente la bilancia tende a favore dei capitalisti. Nel 99% dei casi – sostiene “la lotta per l’aumento dei salari si verifica soltanto come conseguenza di mutamenti precedenti ed è il risultato necessario di precedenti variazioni nella quantità della produzione, delle forze produttive del lavoro, del valore del lavoro, del valore del denaro, dell’estensione o dell’intensità del lavoro estorto, delle oscillazioni dei prezzi di mercato, dipendenti dalle oscillazioni della domanda e dell’offerta e corrispondenti alle diverse fasi del ciclo industriale: in una parola, sono reazioni degli operai contro una precedente azione del capitale” (8) Prescindere da tali fattori, vuol dire partire da false premesse e arrivare a false conclusioni.
    I licenziamenti e gli spostamenti di industrie all’estero, la crescente divisione del lavoro che porta all’esternalizzazione di sempre nuovi settori, agiscono nel senso di rendere sempre più forte la concorrenza tra i lavoratori. La stessa routine burocratica delle maggiori centrali sindacali, più che una causa è un effetto di questa situazione.
    Quando c’era sviluppo economico e la richiesta di forza lavoro cresceva, la spinta operaia per ottenere vantaggi economici si faceva forte: nell’autunno caldo persino i dirigenti di CGIL –CISL e UIL furono costretti a dare battaglia, se non volevano che i lavoratori li prendessero a calci.
    Per il presente non c’è da farsi alcuna illusione, il livello di coscienza di classe è pressoché nullo, se un sindacalista come Landini, che continua a chiedere più investimenti, cioè vuole insegnare ai capitalisti il loro mestiere, passa per un esponente di sinistra. Salvo brevi periodi rivoluzionari, l’ideologia dominante é inevitabilmente quella della classe dominante. Anche la stessa spontaneità, nel senso in cui la pose Lenin, non è sempre la stessa: al tempo del “Che fare” si trattava di innalzare la coscienza dal livello tradunionistico al livello comunista, oggi sarebbe un passo avanti il livello tradunionistico generalizzato. Se nel 1920 gli operai si proponevano di lottare per il socialismo, oggi demagoghi come i Le Pen hanno successo tra i lavoratori salariati. Questo ha portato alla disperazione molti militanti, che hanno abbandonato la politica e sono giunti alla conclusione che il marxismo è una dottrina illusoria. Se consideriamo la storia delle lotte di classe, però, vediamo che hanno un carattere carsico. Anche la borghesia in certi periodi lottava per il potere e in altri si accodava all’aristocrazia, copiandone persino le mode. In tali periodi, il borghese molto spesso abbandonava le sue attività, comprava un feudo, un titolo nobiliare e si dedicava allo sfruttamento dei contadini con una taccagneria sconosciuta agli stessi feudali. A differenza della nobiltà di spada, la nobiltà di toga era di origine borghese. Anche per gli operai ci furono periodi di lotta e periodi di supina soggezione ai borghesi. Non dobbiamo, però, spingere troppo in là l’analogia con la storia della borghesia, anche perché, almeno in Europa, siamo lontani dai periodi in cui operai diventavano industriali partendo dalla gavetta. I proletari restano soggetti a ideologie borghesi o piccolo borghesi pur rimanendo nelle loro modestissime condizioni o peggiorandole. La rottura di questa cappa di piombo ideologica di solito è repentina. Il caso esemplare è quello della Russia del 1905 i cui gli operai, che osannavano lo zar fino a poco prima, furono ammaestrati dalle pallottole. Altri esempi li possiamo trovare nel corso della prima guerra mondiale, quando lo sciovinismo iniziale, che aveva contagiato vaste masse, cominciò a svanire.
    Senza escludere svolte traumatiche - per cui, occorre dirlo, siamo assolutamente impreparati – vediamo cosa fare se le lotte sociali continuano a svolgersi entro la “legalità”.
    La debolezza del proletariato italiano può essere superata solo a livello politico. Qui non parliamo dell’agitazione, della propaganda o del proselitismo che singoli gruppi comunisti possono e devono compiere, ma di un’unità di fatto dei lavoratori, indipendente dalle posizioni partitiche presenti fra loro. Dobbiamo capire come è possibile passare dalle lotte isolate, categoria per categoria, a quella nazionale, di classe.

    Dalle lotte di categoria a quelle di classe

    Per Marx, una battaglia particolarmente unificante era quella sulla riduzione per legge della giornata lavorativa. Perché una legge? Perché una lotta categoria per categoria avrebbe favorito esclusivamente quelle più forti, mentre quelle più deboli avrebbero avuto sconfitte disastrose. Si tratta, invece, di raggiungere un livello più alto: “concentrare le molte lotte locali…in una lotta nazionale, in una lotta di classe. Ma ogni lotta di classe è lotta politica” (Manifesto del partito comunista)
    Su quali basi si pone la rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro? Non si tratta di una liberalità del datore di lavoro, che occorra compensare con riduzioni di salario o sovvenzioni statali. Come in tutte le società di classe, anche nel capitalismo la giornata lavorativa è divisibile in due parti: il lavoro necessario, in cui il lavoratore riproduce ciò che serve al sostentamento suo e della famiglia, e il pluslavoro, che arricchisce il proprietario dei mezzi di produzione. Questa divisione è estremamente chiara nel feudalesimo, dove il servo della gleba sa esattamente quanto tempo lavora nel suo campicello e quante nel campo del feudatario. Nello schiavismo, l’intero frutto del lavoro in apparenza va al padrone, ma non è così, perché lo schiavo riceve cibo, vestiario… Completamente mistificata, poi, è la forma salariale, perché nasconde le tracce della divisione fra lavoro necessario e pluslavoro. In apparenza, il salario retribuisce l’intera giornata lavorativa, in realtà il limite più basso del salario è dato dal minimo fisico dei mezzi di sussistenza che permette di riprodurre la forza lavoro. Questo minimo in genere viene superato perché ci sono bisogni sociali, diversi da paese a paese. In paesi dove c’è scarsità di manodopera, come negli USA dell’Ottocento, si hanno salari più alti.
    Per la borghesia, la produzione di valore è dovuta in parte al capitale, in parte al suolo e in parte al lavoro dell’operaio. Per il marxismo, invece, soltanto il lavoro umano produce valore, mentre le macchine non fanno altro che cedere “pro rata” il loro valore ai prodotti, non possono produrne di nuovo. I beni che la terra produce senza l’intervento del lavoro umano hanno valore d’uso, ma non valore di scambio. Neppure il grano, il cotone, la frutta… che vengono direttamente consumati da chi li produce, diventano merci, perché non entrano nell’infernale ciclo del capitale. Sappiamo, però, che l’autoconsumo a livello individuale è una forma arretrata, oggi non più possibile se non in regioni isolate. Nel socialismo sarà possibile il consumo sociale, senza più lo sfruttamento capitalistico e l’economia mercantile.
    Il reddito delle classi improduttive deriva dal plusvalore, dalla parte non pagata della giornata lavorativa; non solo i capitalisti, ma tutti coloro che vivono di plusvalore hanno interesse a che questa parte non venga ridotta. Il lavoro dell’operaio mantiene la “Nazione”, compreso tutto l’apparato statale. Capitalisti e proprietari terrieri, funzionari, vescovi, parlamentari, ufficiali, pennivendoli si dividono il plusvalore (sotto forme diverse: profitti, rendite, interessi, stipendi, sinecure...). Non hanno interesse ad appoggiare la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro. La lotta dei lavoratori deve cercare di ridurre il pluslavoro, ma solo nella società socialista si potrà ridurre il lavoro al punto che coincida col lavoro necessario al mantenimento del lavoratore più un fondo per le funzioni sociali. E l’orario potrà essere fin dall’inizio più che dimezzato.

    Al sorgere del capitalismo, la produttività è ancora bassa, il capitalismo aumenta il plusvalore con lo sfruttamento indiscriminato ai limiti della sopportazione fisica. E’ plusvalore assoluto quello ottenuto prolungando la giornata lavorativa. Quando la lotta operaia costringe gli industriali a fissare limiti all’orario, il capitalista recupera con lo sviluppo tecnologico. Si chiama plusvalore relativo quello ottenuto accorciando il tempo di lavoro necessario e modificando il rapporto di grandezza fra le due parti di cui è composta la giornata lavorativa.
    In un paese arretrato o in un settore arretrato dell’industria il lavoro è più improduttivo e una maggiore quantità di lavoro è rappresentata da una minore quantità della stessa merce; l’operaio deve dedicare una parte maggiore di lavoro alla riproduzione dei propri mezzi di sussistenza e una parte minore al plusvalore. Per questo motivo il saggio di plusvalore (rapporto tra il plusvalore e il lavoro necessario) può essere più elevato dove la giornata lavorativa è più breve. 35 ore di un’industria avanzata producono più plusvalore di 48 ore in un’industria arretrata. Se il plusvalore può essere grande con una giornata relativamente piccola, l’effettiva ricchezza e l’allargamento del processo produttivo più che dalla durata del lavoro, dipendono dalla produttività.
    Vi è uno stretto legame tra l’aumento di produttività e la lotta per la riduzione d’orario; la crescita della produttività comporta un impegno e un’attenzione maggiore, un logorio della forza lavoro che esige un accorciamento del tempo d’impiego. A sua volta proprio la riduzione d’orario rende possibile una maggiore freschezza e attenzione, che sono utilizzate dal capitalista per accrescere l’intensità e l’efficienza, quindi la produttività.
    Al tempo della legge delle 10 ore, in Inghilterra, industriali e i loro lacchè “economisti” e politici lottarono con tutti i mezzi contro di essa, asserendo che avrebbe affossato l’industria inglese. Invece vi fu un rapidissimo sviluppo degli anni 1853-1860, con la crescita della precisione e dell’efficacia del lavoro più breve.
    Ma le condizioni di lavoro in rapporto all’enorme ulteriore sviluppo della produttività rendono necessaria un’ulteriore lotta per la riduzione d’orario, che periodicamente si ripresenta.
    I salari più bassi si hanno dove la giornata è più lunga; infatti se un operaio lavora più a lungo e due operai fanno il lavoro che potrebbero fare tre, l’offerta di lavoro cresce anche se il numero di operai resta invariato, cresce cioè la concorrenza tra operai e il capitalista se ne avvantaggia.
    Al contrario, la riduzione dell’orario di lavoro, restringendo la concorrenza tra gli operai, favorisce l’ascesa dei salari.
    Non è invece probabile che la riduzione d’orario produca uno stabile aumento dell’occupazione perché con l’aumento di produttività si produce la stessa quantità di prodotti, e persino di più pur riducendo la giornata lavorativa. Il capitalismo, inoltre, ha necessità di mantenere masse disoccupate, l’armata industriale di riserva, un settore della popolazione – dice Marx – che è proprietà del capitalista come se l’avesse allevata lui, utilizzabile in qualsiasi momento per i lavori più duri, per quelli stagionali e congiunturali, sempre e comunque per rappresentare uno spauracchio con la sua concorrenza per l’occupato. La produzione di una sovrappopolazione relativa procede ancora più velocemente che non la rivoluzione tecnica; i mezzi di produzione diventano sempre meno mezzi di occupazione e c’è più offerta di lavoro che domanda di operai.
    Nella società socialista , alla forte riduzione dell’orario e alle migliori condizioni di lavoro si legherà l’impiego della stragrande maggioranza della popolazione nel lavoro sociale, eliminando l’enorme spreco derivante dalla forzata inattività dei disoccupati. Nella società capitalista, salvo brevi periodi congiunturali, il problema della disoccupazione è insolubile, ed è necessario impedire la guerra tra poveri (operai occupati e disoccupati) rivendicando una seria indennità di disoccupazione. Il capitalismo ha la capacità di impiegare la forza lavoro con una produttività inimmaginabile nei sistemi economico sociali precedenti, ma più di questi ha la capacità anche di sprecare le capacità umane, abbandonando alla disoccupazione e sottoccupazione settori crescenti della società, infischiandosi della fatica e delle spese che i lavoratori hanno dovuto fare per la formazione tecnica. Una delle tante definizioni della società capitalistica? La società dello spreco.

    Già la I Internazionale, su proposta di Marx, aveva dichiarato che la riduzione della giornata lavorativa era la condizione preliminare senza la quale tutti gli altri sforzi di emancipazione erano destinati a fallire. Questo vale a maggior ragione ai nostri giorni.
    Marx spiega che il capitalista costringe l’operaio a vendere la propria forza lavoro alle condizioni da lui volute e che “il suo vampiro non allenta la presa finché c’è ancora un muscolo, un tendine, una goccia di sangue da sfruttare. Per proteggersi contro la serpe dei loro tormenti, gli operai devono unire le loro forze e strappare in quanto classe una legge di stato, una barriera sociale strapotente, che impedisca loro di vendere sé e i propri figli alla schiavitù e alla morte mediante un volontario contratto col capitale.” (Capitale libro I, capitolo II, Ed. UTET, p.419)
    Perché una legge? Perché i rapporti di forza che non sono omogenei ma diversi per zona, categoria, ecc. ... Le categorie più forti e organizzate possono conseguire buoni successi, altre invece possono essere tagliate fuori da ogni progresso reale. La legge dello stato ha invece un carattere di uniformità, anche se occorre una continua vigilanza del proletariato per farla applicare. La rivendicazione di una tale legge ha grande valore politico. Marx scriveva a Kugelmann (9 ottobre 1866) : “(I proudhoniani) disdegnano ogni azione rivoluzionaria, cioè ogni azione che scaturisca dalla lotta di classe stessa, ogni movimento sociale concentrato, tale che si possa attuare anche con mezzi politici (come per esempio riduzione della giornata di lavoro per legge) col pretesto della libertà, dell’antigovernativismo, dell’individualismo antiautoritario.”
    La legge era indispensabile soprattutto per impedire lo sfruttamento illimitato dei bambini da parte degli industriali: “…il settore più avanzato della classe lavoratrice comprende esattamente che il futuro della sua classe, e perciò del genere umano, dipende totalmente dalla formazione di una generazione di lavoratori che cresce. Essi sanno che prima di qualunque altra cosa i fanciulli e i giovani lavoratori devono essere preservati dagli effetti deleteri del sistema attuale. Si può ottenere ciò soltanto trasformando lo spirito sociale in forza sociale e, in date circostanze, non esiste altro metodo per far ciò se non attraverso leggi generali, imposte dal potere dello stato. Rivendicando tali leggi, la classe lavoratrice non rafforza il potere del governo. Al contrario, trasforma quel potere ora usato contro di essa in mezzo a suo favore. Essa ottiene con un atto generale ciò che vanamente avrebbe tentato con una gran quantità di sforzi individuali isolati.” (9)

    I vantaggi di una legge sulla riduzione d’orario sarebbero: 1) una funzione unificante tra le diverse categorie e tra queste e i disoccupati, perché la riduzione generalizzata dell’orario, anche se difficilmente crea grandi possibilità di nuova occupazione, perlomeno ne interrompe temporaneamente il calo. 2) Un collegamento tra rivendicazioni e lotta politica, che renderebbe coscienti vasti settori di proletari della necessità di influire sullo stato con pressioni per imporre il “riconoscimento in forma di legge di singoli interessi degli operai”. 3) Non bisogna mai dimenticare, però, che nessuna riforma rappresenta una conquista stabile, e che le riforme, per il marxismo, sono il sottoprodotto della lotta rivoluzionaria.
    La rivendicazione dovrebbe essere articolata così: 1) Una legge sull’ orario massimo, senza escludere che categorie più forti possano rivendicare ulteriori concessioni. 2) Ispettori, pagati dallo stato, ma eletti dai lavoratori, che controllino il rispetto dell’orario. 3) Una lotta contro il lavoro minorile. L’eliminazione di questa piaga potrebbe favorire un sia pur relativo aumento dell’occupazione degli adulti.
    Queste rivendicazioni non possono essere guidate dai sindacati di regime o da qualche partito presente in parlamento. Occorre pensare a strutture specifiche, comitati, organismi locali, in modo che anche i non iscritti ai sindacati che s’impegnano nel progetto possano partecipare. Ci sono molti ostacoli: anzitutto, i proletari sentono sulla pelle una serie di sconfitte, e non è facile organizzare nell’immediato una grande lotta. Ma si possono costituire piccoli gruppi apartitici (non per un rifiuto della politica, ma perché nessun partecipe si debba sentire discriminato per la propria ideologia). L’attività immediata non potrà essere che modesta: presentazione di mozioni in assemblee di fabbrica, richieste alle sezioni locali dei sindacati di pronunciarsi sulla riduzione d’orario ( presentandole anche a quelle della Triplice, perché non bisogna mai lasciare i lavoratori iscritti a quei sindacati in totale balia dei loro dirigenti opportunisti. Se i dirigenti rispondono picche, li si potrà denunciare come alleati dei padroni). Si possono aggiungere volantinaggi nei quartieri, conferenze...
    Mai delegare parlamentari o dirigenti sindacali opportunisti, mai dimenticare che parlamentari, burocrati sindacali e, a maggior ragione, il governo, rappresentano la controparte e che qualsiasi lotta o trattativa deve essere gestita in prima persona dai rappresentanti della lotta stessa. Si può anche ricorrere all’iniziativa di legge “popolare”, come la raccolta delle firme di 50.000 elettori, pur che sia chiaro che il parlamento potrebbe fare concessioni solo se si sentisse assediato dai lavoratori in lotta. La giusta posizione classista? Quella del cartista Julian Harney ( riportato da Engels): “Sarebbe inutile acconsentire ad implorare la grazia del capitale. Tutte le nostre petizioni non approderebbero a niente se non fossero seguite da altre misure. E, prima di tutto, noi non chiediamo affatto grazia, chiediamo giustizia. Non la chiediamo soltanto per mezzo della petizione, ma anche per mezzo della nostra agitazione, della nostra organizzazione che già comincia a spaventare parlamentari borghesi. Non cessate dunque di condurre l’agitazione nel paese, perché se la interrompete le vostre petizioni non sono più che vane parole.”
    Per agire correttamente domani bisogna avere già oggi un quadro generale, almeno dei problemi fondamentali, dell’intero processo: a) non aspettare che siano i sindacalisti borghesi a portare avanti le iniziative, perché questi, come certi mistici, hanno tempi biblici, lavorano per l’eternità b) scegliere gli alleati momentanei in funzione delle esigenze della lotta e non sulla base della loro impostazione sindacale generale. Si ricordi che Lenin diceva che chi non sfrutta “ogni minima possibilità di guadagnare un alleato numericamente forte, sia pure temporaneo, incostante, infido, condizionale, chi non ha capito questo, non ha capito un acca né del marxismo, né del moderno socialismo scientifico in generale”.
    Bisogna poi rifiutare questi tipi di soluzioni:
    1) il sacrificio di una parte del salario contro l’impegno dell’azienda a non licenziare i lavoratori esuberanti. Vorrebbe dire credere alla parola dei padroni
    2)assunzione di giovani con prepensionamento di anziani.
    3) incentivi alle aziende che riducono l’orario con incrementi di occupazione. Essere costretti a ridurre lo sfruttamento a causa delle lotte operaie non è un titolo di merito per gli imprenditori, e non merita incentivi.
    4)I fondi della cassa integrazione derivano in ultima istanza dalle imposte dei lavoratori stessi (paga sempre Pantalone) e, come soluzione provvisoria, si può rivendicare che, invece di essere utilizzati per condannare una parte dei lavoratori ad un’inattività forzata, in attesa del licenziamento, servano a finanziare la riduzione d’orario. Non è una soluzione soddisfacente, ma almeno impedisce l’espulsione dal processo lavorativo di elementi, spesso più esperti e combattivi, che vengono emarginati e messi nell’impossibilità di mantenere i contatti con gli altri operai.
    L’agitazione e la propaganda di classe devono servire anche a togliere a quei contratti detti “di solidarietà” (col capitale!) l’alone di altruismo, di socialità, di sacrificio “per dare un posto ai figli”.
    La stragrande maggioranza della borghesia rifiuta la riduzione d’orario, e anche quella minoranza che sarebbe disposta ad accettarla potrebbe concederla a dosi omeopatiche, mercanteggiando ogni minima concessione con tagli salariali, proponendo ferie non retribuite…
    La lotta deve partire dallo smascheramento delle soluzioni borghesi, comprese quelle presunte“comode” del part time, e le diverse soluzioni “atipiche” che finirebbero per spezzettare il proletariato in mille sottocategorie, illudendo le donne e i giovani di aver conquistato del tempo libero, mentre in realtà ottengono un salario dimezzato.
    Questo proletariato duttile, malleabile, aderente alle soluzioni specifiche di ogni fabbrica, sarebbe la negazione più totale della classe, rappresenterebbe la garanzia della vittoria più completa della borghesia per almeno un decennio; tutte le parole d’ordine, anche le più rivoluzionarie, diventerebbero puri sfoghi verbali. La prima condizione per abilitarsi a lottare per il comunismo è abituare il proletariato alle lotte immediate. se i piani di “solidarietà” passano senza una seria opposizione operaia, se passa il part time, se il proletariato accetta questo declassamento, tutte le altre lotte proletarie saranno più ardue.



    Note
    1 ) La rivolta dei facchini immigrati: “Anche qui è piazza Tahrir”
    Intervista a Mohamed Arafat di Marco Zerbino, 27 marzo 2013 www.sottolebandieredelmarxismo.it Nord Italia, 22 marzo 2013
    2) Per una documentazione più completa delle lotte nella logistica è importante consultare i seguenti siti o giornali.
    http://sicobas.org/
    http://www.sinbase.org/
    Circolo di Iniziativa proletaria Giancarlo Landonio
    Rivoluzione Comunista http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/
    Chicago 86 http://www.chicago86.org/
    Il Programma Comunista, organo del Partito comunista internazionale.
    (www.partitocomunistainternazionale.org)
    Il Partito Comunista, organo del Partito comunista internazionale.
    (http://www.sinistracomunistainternazionale.it/)
    3) “Fascismo e democrazia a braccetto, contro lo sciopero come arma di lotta contro i licenziamenti (il programma comunista n°04 - 2013)
    4) Per maggiori notizie sulle lotte : “Genova: quando lo sciopero è vero”, Lanterna rossa, 22 Novembre 2013, Genova. http://lanternarossa.wordpress.com/
    5) “La dura lotta dei lavoratori genovesi di Amt, in sciopero da 5 giorni, e' stata svenduta alla fine della assemblea di questa mattina” denuncia la Usb. “Una votazione farsa, con i lavoratori trattati come bestie e chiamati a votare "spostandosi" in una zona della sala in base alla scelta per il si o il no all'accordo”. il segretario della Faisa, nel silenzio complice di tutte le altre sigle sindacali , chiude la straordinaria vertenza dei lavoratori di Amt con una votazione che farebbe impallidire anche un caudillo sudamericano. Per onorare l'impegno di portare lo scalpo dei lavoratori Amt in lotta a burlando, doria e prefetto, i sindacati che hanno firmato nella nottata l'accordo , hanno rifiutato la richiesta di Usb di rimandare l'adesione all'accordo per approfondire le tematiche e soprattutto verificare la reale volontà della controparte di rispettare gli accordi. “ (Genova. Contrasti e polemiche sul voto per l’accordo sull’Amt , Sabato, 23 Novembre 2013, Redazione Contropiano.)
    “Genova. Scattano le sanzioni contro lo sciopero dei tramvieri” Contropiano.org, 25 Novembre 2013.
    6)“Genova. Il “lato cattivo” delle battaglie dei consumatori”, Contropiano, Lunedì, 25 Novembre 2013
    7) “Il testo prevede l'approvazione di una nuova legge regionale sul Tpl operativa entro 13 mesi; la Regione, dal canto suo, si impegna con un piano di investimenti e la costituzione dell’"Agenzia regionale del Tpl". Il Comune metterà 4,3 milioni di euro per il 2014, ma altri 4 milioni dovranno essere recuperati all’interno di Amt. L’ipotesi prevede un nuovo subappalto esterno del servizio per linee collinari (2 milioni), e risparmi sotto varie voci: assorbimento degli straordinari e aumento dei controlli sull’evasione tariffaria. I rimanenti 4 mln saranno ottenuti, attraverso opportune intese con le organizzazioni sindacali e a tal proposito verrà attivato un tavolo di confronto che dovrà produrre l'articolazione della proposta.” “Genova, assemblea approva la bozza di accordo” “Genova, assemblea approva la bozza di accordo” - Liguria - ANSA.i
    8) Karl Marx, “Salario, prezzo e profitto, I casi principali in cui vengono richiesti aumento o combattute diminuzioni di salario”. Si noti che qui Marx, al posto della dizione corretta “”Valore della forza lavoro” usa quella popolare “Valore del lavoro”.
    9) Istruzioni per i delegati del Consiglio Centrale Provvisorio dell'A.I.L. Marx (20.2.1867 ) Da Archivio Marx-Engels , MIA

    Altri articoli utilizzati o consultati :
    Conquistare un vocabolario comune. Note dall'assemblea di sostegno alle lotte della logistica a Roma “ 13 Novembre 2013 , clash city workers .
    Divieto preventivo di fare sindacato. Solidarietà con Aldo Milani, Milano- Scritto da: Redazione Italia
    Via il foglio di via! Per una primavera di lotta :: Il pane e le rose
    Bologna, 1 giugno Contro i licenziamenti alla Granarolo! Per il Sindacato di Classe! (31 Maggio 2013 Partito Comunista Internazionale).
    “Sul terzo sciopero nazionale della logistica”, Chicago 86,13 Luglio 2013
    : Fabio Sebastiani “Logistica, se gli ultimi tra gli ultimi si ribellano al ricatto.” Intervista a Nicoletta Frabboni, dei Cobas, 01/12/2013 | LAVORO - ITALIA

    Michele Basso

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