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Damasco, un'economia cancellata

(12 Dicembre 2013)

Tre anni di guerra civile hanno provocato de-industrializzazione e crollo della produzione agricola, elementi che rendono difficile una futura riconciliazione.

damascecono

dalla redazione

Roma, 12 dicembre 2013, Nena News - Oltre due anni e mezzo di guerra civile hanno lasciato l'economia siriana in pezzi. E mentre si prepara, con non poche difficoltà, la conferenza di pace di Ginevra 2, la situazione economica del Paese vive una crisi profonda, che richiederà anni di ricostruzione e una difficile riconciliazione interna.

Il Paese si ritrova oggi alle prese con un calo drammatico della produzione e la distruzione di aziende, negozi e quindi posti di lavoro. Secondo i dati raccolti dall'Organizzazione per lo Sviluppo Industriale delle Nazioni Unite, le esportazioni delle medie imprese sono crollate del 10% e la perdita è quantificata in 2,4 miliardi di dollari - il 70% della quale dovuta alla crisi delle piccole imprese private. Ma le perdite, spiega a Bloomberg Fuad Lahham, direttore dell'agenzia Onu, "sono sicuramente molto più alte perché le statistiche non comprendono tutte le imprese, i cui dati sono inaccessibili". L'80% del settore industriale e l'85% di quello agricolo sono ormai un lontano ricordo, secondo il ministro dell'Economia siriano, Khodour Orfalli: "Ad oggi i danni hanno superato i 100 miliardi di dollari, compresi quelli dovuti a azioni militari dirette o alle misure prese da Stati stranieri, come la Turchia che sta privando le regioni settentrionali di importanti fonti di reddito, attraverso i ribelli".

L'economia siriana prima del conflitto tra regime e opposizioni era per lo più retta dalla forte rete di piccole industrie e fabbriche, che impiegavano da dieci a migliaia di lavoratori. Prima della guerra civile, l'industria interna rappresentava il 23% del prodotto interno lordo e impiegava il 16% della forza lavoro. Un'economia che ha subito in due anni e mezzo una "massiva de-industrializzazione, dovuta a bancarotte, trasferimento dei capitali e distruzione delle infrastrutture", come spiegato da un rapporto dello scorso ottobre del Syrian Center for Policy Research. Tante le imprese che hanno preferito trasferirsi in Turchia e in Egitto (le èlite industriali hanno già lasciato il Paese), troppe quelle che hanno preferito chiudere i battenti.

Le conseguenze sono ben visibili nei dati riguardanti il PIL: meno 14,4% nel 2012, meno 13,9% nel 2013. Ad aver subito i maggiori danni è stata l'industria energetica, a causa della distruzione delle infrastrutture e della divisione geografica del Paese, in aree controllate dal regime e regioni controllate da diversi gruppi di opposizione, dall'Esercito Libero Siriano a formazioni jihadiste vicine ad Al Qaeda. La produzione di greggio oggi arriva a stento a toccare quota 20mila barili al giorno, contro i 380mila precedenti al conflitto, soprattutto a causa della perdita di controllo da parte del governo di Damasco delle zone più ricche di petrolio (come Hama, e Palmyra), finite in mano alle opposizioni.

Una situazione drammatica a cui si aggiungono le sanzioni internazionali: prima del conflitto, il 90% della produzione di greggio veniva venduta in Europa, ma le misure prese dalla comunità internazionale hanno quasi del tutto prosciugato questa fondamentale fonte di reddito nazionale.

Infine, l'industria alimentare: i livelli produttivi sono crollati, a causa della distruzione di campi e appezzamenti agricoli da parte di esercito governativo e ribelli. Nel 2013, la produzione di grano è calata del 50%, solo un milione e mezzo di tonnellate quelle raccolte nelle aree rurali quest'anno.

Dati sconcertanti, che si traducono in un'impennata dei tassi di disoccupazione, nella fuga dalle città più colpite dal conflitto, nell'aumento del debito estero e nell'abbandono delle tradizionali forme di produzione. La Siria del dopoguerra avrà molto lavoro di fronte a sé. E il timore è che una riconciliazione reale non possa mai fondarsi su basi tanto fragili.

Nena News

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