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(5 Giugno 2010) Enzo Apicella
E' arrivata al largo di Gaza la nave Rachel Corrie, intitolata alla pacifista americana assassinata dai soldati israeliani nella striscia di Gaza nel 2003

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Sud Sudan, cento morti in tre giorni

(18 Dicembre 2013)

Far west a Juba. Il presidente Kiir accusa il suo ex vice Makhar. Petrolio e divisioni etniche, nel caos il più giovane Stato del mondo.

sudsudan

Foto: ONU

Juba, 18 dicembre 2013, Nena News - Terzo giorno di violenti scontri armati a Juba, Sud Sudan. Fonti ospedaliere parlano di decine di morti, forse un centinaio, con almeno 400 feriti. Molti i civili, mentre sarebbero almeno 66 i soldati caduti sul campo di battaglia: al momento però non si riesce a capire neanche se combattevano per difendere o per rovesciare il presidente in carica, Salva Kiir.

All'origine dei combattimenti, che anche ieri hanno interessato le strade intorno al palazzo presidenziale e diverse zone della capitale, c'è infatti un presunto tentativo di colpo di stato iniziato domenica sera, quando uomini in uniforme hanno aperto il fuoco nel bel mezzo di un meeting del partito al potere, il Sudan people's liberation movement (Splm), braccio politico dell'esercito che sotto la guida di John Garang ha combattuto contro Khartoum per l'Indipendenza dal Sudan. Kiir ora accusa i militari fedeli all'ex vice-presidente Riek Machar, che appartiene all'etnia Nuer (la seconda del Paese), licenziato lo scorso luglio con tutti i membri del suo gabinetto e da allora a capo di una fazione dissidente all'interno del partito. Machar aveva annunciato la sua intenzione di boicottare le elezioni presidenziali, previste per il 2015. Ora è ricercato. Secondo i "lealisti" avrebbe lasciato in tutta fretta Juba con le sue truppe e un numero imprecisato di capi di bestiame «rubati».

Tenuto a battesimo con il referendum del gennaio 2011, il Sud Sudan è uno stato giovanissimo, il più giovane del mondo oltre che dell'Africa. Ma le immagini che arrivano da lì in questi giorni sono da vecchio far west: sparatorie, fughe, grandi spazi, mandrie come bottino di guerra e cappelli a larghe falde. Quello che è solito esibire il presidente Kiir, ha ceduto il passo a berretto militare e mimetica da lunedì, quando ha convocato una conferenza stampa per assicurare che il governo aveva la situazione "sotto controllo". Gli scontri proseguiti ancora ieri sembrano smentirlo.

In seguito al tentato golpe ci sarebbero stati una decina di arresti, una retata che ha colpito le più alte sfere della politica sud-sudanese, ormai cadute in disgrazia. Il nome più illustre è quello dell'ex ministro delle Finanze, Kosti Manibe. Ma in manette sono finiti anche l'ex ministro della Giustizia John Luk Jok e l'ex ministro degli Interni Gier Chuang Aluong. Tra le persone ricercate invece c'è Pagan Amum, già segretario dell'Splm e capo dei negoziatori che hanno condotto la trattativa "petrolifera" post-secessione con Khartoum. Voce tra le più critiche nei confronti del regime di Kiir, era sottoposto a controlli e restrizioni già dalla fine del luglio scorso. Ma non tutti credono alla storia del colpo di stato. Gli oppositori ad esempio sostengono che Kiir abbia inscenato il putsch per spazzare via una volta per tutte i suoi avversari.

A Juba intanto quella di ieri è stata un'altra notte di coprifuoco. Sono 13mila le persone che avrebbero trovato rifugio nei compound della Nazioni unite. Ban Ki-Moon da New York ha chiesto di deporre le armi e invitato il governo a usare moderazione nella gestione della crisi. Il personale dell'Onu a Juba, per non sbagliare, si è rifugiato nei bunker. E l'ambasciata Usa ha invitato i cittadini americani a lasciare il paese.

Il Sud Sudan si è staccato traumaticamente dal nord in seguito a due guerre, la seconda delle quali durata dieci anni. Il referendum che nel gennaio del 2011 ha decretato la sua Indipendenza, boicottato dalla minoranza araba ma appoggiato dalla comunità internazionale, non ha risolto in questi due anni il contenzioso con Khartoum, soprattutto per quanto riguarda il controllo dell'importante regione di Abiey, la zona petrolifera al confine tra i due paesi. Il Sud Sudan dopo lo secessione controlla due terzi degli impianti di estrazione, ma dipende sempre dagli oleodotti del nord per le esportazioni.

Gina Musso - Il Manifesto

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