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USA, guerra ai poveri

(19 Dicembre 2013)

guerraaipov

Giovedì 19 Dicembre 2013 00:00

Senza nessuna particolare sorpresa, il Senato americano ha approvato definitivamente il nuovo bilancio federale che stabilisce i livelli di spesa del governo di Washington fino al settembre del 2015. Il pacchetto licenziato rapidamente dal Congresso è il risultato dei negoziati durati svariate settimane all’interno di una speciale commissione bipartisan creata dopo la fine del cosiddetto “shutdown” lo scorso mese di ottobre e rappresenta un’ulteriore tappa nel processo di drastico ridimensionamento dei livelli di spesa pubblica negli Stati Uniti.

La settimana scorsa la nuova legge sul bilancio era passata agevolmente alla Camera dei Rappresentanti con 332 voti favorevoli e 94 contrari. Martedì, poi, il Senato aveva dapprima superato un ostacolo procedurale (“filibuster”) con 7 voti in più del necessario (67 a 33), grazie ad una manciata di repubblicani che si erano uniti ai 55 democratici, mentre il giorno successivo ha votato sul provvedimento vero e proprio, approvandolo con un margine di 64 a 36 e inviandolo al presidente Obama per la firma.

La commissione del Congresso che ha raggiunto un accordo sulle nuove misure contenute nel bilancio è presieduta dai presidenti delle commissioni Bilancio di Camera e Senato, rispettivamente il repubblicano Paul Ryan e la democratica Patty Murray. Questa assemblea è stata il risultato dell’intesa temporanea raggiunta un paio di mesi fa per riaprire gli uffici governativi dopo lo “shutdown” di due settimane nella prima metà di ottobre, causato dalla mancata approvazione del bilancio entro l’inizio del nuovo anno fiscale.

Secondo i propositi iniziali e gli auspici della Casa Bianca, la commissione avrebbe dovuto mandare in porto un accordo di ampio respiro, gettando le basi per una “riforma” (smantellamento) dei programmi di assistenza pubblica come Medicare, Medicaid e Social Security, indicati da quasi tutto l’establishment politico di Washington come i principali responsabili dell’esplosione del debito pubblico statunitense.

Con l’avvio delle trattative, tuttavia, quest’ultimo obiettivo è apparso difficilmente raggiungibile, sia per i tempi molto stretti nei quali la commissione era chiamata ad operare, sia soprattutto per l’estrema impopolarità di eventuali tagli a programmi che garantiscono cure mediche e condizioni di vita decenti a decine di milioni di americani.

Alla fine, l’accordo trovato tra democratici e repubblicani ha dovuto lasciar fuori gli assalti a Medicare, Medicaid e Social Security, anche se le iniziative per rendere questi programmi “sostenibili” nel lungo periodo sono solo rimandate. Anzi, il bilancio appena approvato con un consenso bipartisan faciliterà il compito del Congresso nell’adottare tagli a cui si oppone la grande maggioranza della popolazione.

In ogni caso, relativamente al contenuto del pacchetto appena approvato, l’aspetto più significativo riguarda una misura che da esso è rimasta esclusa, vale a dire il prolungamento dei sussidi straordinari destinati ai disoccupati e che il Congresso aveva aggiunto fin dal 2009 a quelli di breve durata previsti dai singoli stati.

In seguito soprattutto alla ferma opposizione repubblicana, così, il prossimo 28 dicembre 1,3 milioni di disoccupati americani cesseranno di ricevere l’unico reddito a loro disposizione. Inoltre, se nei prossimi mesi non ci sarà un intervento del Congresso, altri 3,6 milioni di persone senza lavoro subiranno la stessa sorte entro la fine del 2014.

La decisione di negare i modesti mezzi di sussistenza a questa categoria di americani appare particolarmente brutale alla luce del fatto che mai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi i sussidi addizionali del governo federale erano stati interrotti in presenza di una percentuale così elevata di disoccupazione di lungo periodo (oltre le 27 settimane).

Il disinteresse della classe politica d’oltreoceano per i senza lavoro risulta inoltre chiara dalla somma che sarebbe servita per prolungare i sussidi, pari a 25 miliardi di dollari e corrispondente, ad esempio, ad una frazione minima degli oltre 500 miliardi di dollari stanziati annualmente per le spese militari o a poco più di quanto la Federal Reserve destina in una singola settimana per alimentare la speculazione sui mercati finanziari.

Tra i provvedimenti adottati con il consenso delle principali lobby degli affari, invece, spicca la riduzione del 2% fino al 2023 dei rimborsi destinati agli ospedali che forniscono servizi sanitari nell’ambito del programma pubblico Medicare. Questa misura contribuirà a ridurre il deficit di 23 miliardi di dollari e, inevitabilmente, si tradurrà in una riduzione delle cure offerte ai pazienti.

Inoltre, a partire dal 1° gennaio i dipendenti pubblici vedranno aumentare dell’1,3% i contributi da versare di tasca propria ai loro piani pensionistici, dopo che negli ultimi anni hanno già dovuto subire, tra l’altro, il congelamento delle retribuzioni e svariati giorni di congedo obbligato non pagato.

Per i militari in pensione è previsto poi un nuovo metodo di calcolo per l’adeguamento dei loro assegni al costo della vita, con un risparmio per le casse federali pari a 6 miliardi di dollari. Altri 12,6 miliardi saranno infine recuperati attraverso un aumento della tassazione delle compagnie aeree, che verrà prevedibilmente scaricato sui passeggeri.

Più in generale, il nuovo bilancio cancella solo una piccola parte dei tagli automatici alla spesa pubblica (“sequester”) scattati alcuni mesi fa in assenza di un accordo tra democratici e repubblicani sul debito, come stabilito da una legge del 2011. A beneficiare della metà dei 63 miliardi di dollari che il governo tornerà così a poter spendere fino al 30 settembre 2015 saranno però i programmi militari, mentre gli altri tagli del “sequester” previsti per il prossimo decennio e pari a oltre mille miliardi di dollari rimarranno in vigore.

Anche se, complessivamente, le uscite del governo federale saliranno lievemente tra il 2014 e il 2015, appare evidente come il bilancio approvato questa settimana aggiunga un altro tassello al progressivo ridimensionamento dei livelli di spesa pubblica destinata alle classi più deboli negli Stati Uniti.

Questo processo è sostanzialmente condiviso da tutta la classe politica americana e si traduce in provvedimenti che, una volta creata ad arte un’utile atmosfera di crisi, vengono presentati come inevitabili per rimettere in sesto i conti pubblici, nonostante i profitti di banche e corporations e la ricchezza privata al vertice della piramide sociale continuino a far segnare numeri da record.

Prima del bilancio licenziato questa settimana senza il prolungamento dei sussidi di disoccupazione, ad esempio, il Congresso lo scorso mese di novembre aveva tagliato per la prima volta nella storia a livello nazionale i fondi destinati al finanziamento dei buoni pasto, togliendo letteralmente il pane di bocca a quasi 50 milioni di poveri americani.

Michele Paris - Altrenotizie

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