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(24 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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Comunismo e piccola borghesia

(19 Dicembre 2013)

Se qualcosa dà la misura più certa di quanto la crisi del Capitale alla scala internazionale sta operando in profondità nel corpo sociale, distruggendo oltre al capitale anche le condizioni materiali della vita quotidiana, è il progressivo polarizzarsi delle mezze classi, che si sentono minacciate dalla rovina e ritrovano gli usati strumenti dell’impotente ribellismo, costante storica degli ultimi due secoli, nell’illusione di ricostruire il perduto paradiso di relativo benessere e di sicurezza sociale cambiando personale politico, o la politica economica, ritrovando una pubblica moralità e fantasie di questa risma. Hanno perso il loro posto al sole. La colpa è della corruzione, della casta, del malgoverno, delle tasse, degli immigrati, dei ladrocini pubblici, dei pubblici dipendenti improduttivi, delle scelte scellerate, dell’Europa e dell’Euro, dell’ingordigia della finanza mondiale e nazionale, e via con tutto l’armamentario delle cattive cose fatte e delle buone non fatte.

Però i duri fatti parlano altra lingua.

La miseria cresce non più, alla scala mondiale, come saldo tra l’opulenza dei centri a capitalismo sviluppato e l’inferno dei senza nulla, di quello che un lontano tempo felice chiamavano “Terzo Mondo”, ma come dato assoluto all’interno di quegli stessi centri, all’interno dello stesso corpo sociale del quale un sempre più ridotto numero di membri si appropria del prodotto del lavoro sociale, mentre la gran massa si impoverisce in modo non relativo; assoluto, appunto.

Le rabbiose fantasie nazionalistiche, per cui solo all’interno dei sacri confini, da difendere contro ogni invasione, si può e si deve trovare salvezza al disastro, cominciano man mano a strutturarsi, non più come elementi folcloristici e rumorosi, ma come correnti di opinione che percorrono quel che resta dei vecchi e putridi partiti della democrazia e della socialdemocrazia, ormai incapaci di incanalare e controllare il malessere sociale e quindi totalmente inutili al loro vecchio scopo, ed i nuovi confusionari movimenti del ribellismo piccolo borghese che si fanno strada in questo progressivo allentarsi delle vetuste ed imbelli forme democratiche.

I principi fondanti, quelle imposture su cui si è retta più o meno l’impalcatura ideologica degli Stati democratici nati dal terribile crogiolo della Seconda Guerra, come già è stato per quelli socialisti dell’Est, non si giustificano più di fronte al tracollo delle precedenti condizioni di opulenza, ed anche la finzione dei partiti che per decenni si sono atteggiati a scontrarsi nei parlamenti e, dicevano un tempo, nelle piazze, svanisce e si mostra per quel che è, una pura menzogna.

Menzogna a totale uso e consumo del proletariato perché lo ha tenuto avvinto al suo antagonista storico, perché ha veicolato l’ideologia della pace sociale come unica garanzia del benessere e della crescita senza fine e ne ha distrutto la carica antagonista alla borghese società divisa in classi.

Ma nella situazione presente, impestata dall’ideologia capitalistica dominante, in cui la macchina della produzione capitalistica ansima e si inceppa il processo di accumulazione che ha consentito di foraggiare e mantenere il benessere delle mezze classi, la pressione rivoluzionaria della classe non ha ancora spazio e non spinge verso un esito rivoluzionario. Una classe operaia smarrita, senza reazioni autonome, e del pari ferocemente colpita, si accoda piegata dalla violenza della crisi, privata di ogni prospettiva che non sia fra quelle propagandate dall’apparato di regime e dal suo consenso.

Mancando totalmente quel vettore sociale e storico, è scontato che l’ideologia che si impone sia quella della ribellione sterile delle mezze classi per le quali la salvezza sta nel ritorno alle condizioni precedenti, alla restaurazione dell’antico falso benessere. Questa è la sola forma in cui si può esprimere, alle condizioni attualmente date, la disperazione dell’informe corpo sociale.

In una fase pre-rivoluzionaria invece, è la spinta anticlassista e antiformista della classe operaia in movimento che costringe le mezze classi cadute in miseria a sottomettersi all’azione del proletariato. Oggi è il blocco conformista che indica la direzione del movimento. Questo, ben lo sappiamo, non può non andare che verso il disastro della totale rovina, fino all’esito un nuovo macello mondiale, necessario per la sopravvivenza del capitalismo.

Nel secolo scorso la reazione borghese assunse la forma delle aperte dittature nel cuore dell’Europa, dove la spinta rivoluzionaria proletaria e comunista era stata più forte e più da vicino minacciate le difese degli Stati del capitale. Nei tempi presenti la lotta di classe è costretta alla difensiva, ma le condizioni materiali premono minacciose e foriere di nuovi scontri dagli incerti esiti. Qui il vecchio velo democratico inizia a sollevarsi per mostrare il volto vero del fascismo, vincitore alla scala storica anche se militarmente vinto dalle Potenze, dell’Ovest come dell’Est, che pur si dissero democrazie progressive. Gli episodi e gli ambienti del ribellismo piccolo borghese, studenti, piccoli commercianti, sottoproletari, saranno domani, come ieri, il brodo di coltura delle future “illegali” squadre antioperaie, foraggiate e difese dagli Stati nazionali a difesa, insieme ai suoi apparati “legali”, degli interessi grandi borghesi.

La prospettiva storica e l’indirizzo tattico di classe sono stati dispersi in tanti decenni, i primi di feroce controrivoluzione, poi di assoggettamento apparentemente pacifico alle ideologie nazionali, ai superiori interessi dell’economia e della società civile. Sono stati utilizzati prima i partiti falsamente comunisti e socialisti, poi il degenerato meccanismo democratico. Anche il partito di classe, conquista umana alla scala storica, guida, non causa, dell’erompere dello scontro tra le classi fino all’esito rivoluzionario, è stato sconfitto dalla controrivoluzione. Ma, benché ridotto socialmente ad una forza più che marginale, nella confusa angoscia dei borghesi in ogni modo non dovrà ricongiungersi alla sua classe, non dovrà tornare il riferimento teorico e pratico del suo movimento, pena l’estendersi di un incendio questa volta davvero incontrollabile.

A tale azione di schermo e deviazione è utilizzato il ribellismo piccolo borghese, di questi statisticamente numerosi strati ma tanto impotenti quanto rumorosi e ingombranti. Il Partito ne denuncia la natura reazionaria e antioperaia, indipendentemente dal fatto che ottengano solidarietà o seguito da strati operai. La classe operaia potrà neutralizzare la carica reazionaria di questi “soggetti”, di questi ceti senza storia e senza partito, non accodandosi alle loro rivendicazioni e illusioni democratiche, liberali, nazionaliste, antifasciste eccetera, ma imponendo la sua forza, il suo partito, il suo programma, i suoi metodi dittatoriali. Le mezze classi già cominciano a cedere al bisogno di una salvifica e antidemocratica “dittatura”. Gliela possiamo dare solo noi, la comunista, inevitabile e sempre più necessaria dittatura del proletariato.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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