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308 camorristi

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(23 Settembre 2010) Enzo Apicella
La camera dei deputati con 308 voti favorevoli ha negato l'autorizzazione ad impiegare le intercettazioni nel processo contro Nicola Cosentino.

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L'affossamento del SalvaRoma

(25 Dicembre 2013)

affossam

Partiamo dal dato più futile, ma oggi essenziale. Dopo averci messo e fatta votare la fiducia alla Camera, Letta, su pressante e irrecusabile consiglio del padrino don Giorgio, ha ritirato il decreto-legge SalvaRoma, rinunciando a convertirlo in legge entro la data-limite del 30 dicembre e affidando al decreto Milleproroghe, che verrà approvato dal Consiglio dei ministri del 27 dicembre, "le sole situazioni indifferibili" , a cominciare dalle norme sulla base delle quali il Comune di Roma ha approvato il proprio bilancio». Che una misura legislativa debba avere un nome proprio, come un neonato o un animale da compagnia, è un’innovazione adottata copiosamente già dal governo Monti (Salvitalia, Crescitalia, ecc.) per mascherare con emblemi pop la mancanza di autonomia del governo rispetto alle decisioni prese altrove dalla finanza internazionale e dagli eurocrati di Bruxelles e Francoforte. Che, ormai da anni, il decreto del 30 dicembre si chiami Milleproroghe è un’oscenità linguistica che riassume tutto il caos e il clientelismo dell’amministrazione italiana, in piena innocenza europea stavolta, un tappabuchi di regalìe sottobanco che nel nome stesso denuncia la strategia del rinvio perenne e, nel caso di Letta, condensa tutta la filosofia del tirare a campare per tutto il 2014 in attesa di un’improbabile uscita dalla crisi, anzi dallo stucchevole tunnel cui si sempre si ricorre in metafora. L’ingorgo in cui si è ficcato il governo (e non è niente rispetto a quello fiscale che scoppierà con la tassazione sulla casa alla ripresa di gennaio) è già significativo di per sé, indipendentemente dai contenuti cui arriveremo subito, e altrettanto lo è il modo di soluzione, con un intervento autoritario di Napolitano, che ha preso atto del boicottaggio parlamentare e dell’insostenibilità di quel coacervo di norme arruffate e contraddittorie, con cui si cancellavano e ristabilivano articoli e codicilli, doni a costruttori e gestori balneari, incentivi alla privatizzazione e nuove tasse, doni a padre Pio e al sindaco Marino, ecc. Invece di limitarsi a non firmare (di conseguenza lasciar decadere per sempre) il decreto-legge dopo la conversione, Napolitano ha preferito intervenire nello strettissimo passaggio di 3 giorni dalla fiducia alla Camera alla fiducia al Senato, costringendo Letta al ritiro e rendendo evidente che si tratta di un governo del Presidente.

Fin qui siamo restati sul piano delle procedure parlamentari, senza toccare la sostanza del decreto. Rifacciamone adesso la storia. Al di là dalle pittoresche aggiunte di assalto alla diligenza, il SalvaRoma intendeva originariamente aggiustare i deficit di bilancio tramandati a Marino dalla precedente gestione Alemanno e ancor prima da quella Veltroni. Qualche manina anonima aveva aggiunto un comma che cancellava la possibilità, introdotta nella legge di stabilità alla commissione bilancio della Camera pochi giorni prima, di rescindere i contratti-capestro con l’immobiliarista Scarpellini per l’affitto di palazzi a uso parlamentare, mentre un emendamento ben firmato Lanzillotta aveva invece imposto l’obbligo per il Comune di Roma di procedere alla vendita dell’Acea e successivamente alla privatizzazione dell’Atac con conseguenti licenziamenti, pudicamente ribattezzati «ricognizione dei fabbisogni di personale nelle società partecipate». Con varie giravolte tale nefando emendamento era stato sospeso, ma era restato il divieto per il Comune di innalzare l’addizionale Irpef, così che per il risanamento del bilancio la via obbligata diventava innalzare al massimo l’incidenza della Tasi sulla casa e vendere almeno il 50% delle quote Acea; la cancellazione degli affitti d’oro era rinviata al Milleproroghe. Un gran pasticcio, che ora si risolve azzerando tutto e spostando integralmente il problema al Milleproroghe, dove forse si metterà una pezza all’affare minore e di spiccata rilevanza mediatica (gli affitti d’oro, scandalosi sì, ma terreno elettivo dei 5 stelle e di tutta la canea giustizial-populista), ma di sicuro si riproporrà qualche clausola privatizzante, diretto soprattutto a liquidare le aziende pubbliche di trasporto, come già si è cominciato o tentato di fare a Firenze, Genova e Torino. Occhio ai contenuti del Milleproroghe, dunque!

Come esce il governo da questo casino? Malissimo, ovvio, confermando la sua vocazione al galleggiamento e al compromesso inutile. Ha mangiato un panettone amaro per il 2013 e ha ben poche possibilità di assaggiare quello 2014. A buon diritto si sono intestati il successo quelli che vi hanno colto l’opportunità delle elezioni anticipate –dai berluscones ai grillini e ai renziani–, ma se si valuta l’intenzione recondita del decreto, cioè favorire i processi di privatizzazione dei servizi pubblici (cosa su cui sono d’accordo tutti i fautori delle consultazioni anticipate, che infatti avevano votato l’emendamento Lanzillotta), il ritiro dello sconcio SalvaRoma è un successo dei movimenti, che hanno vinto un anno fa il referendum sull’acqua e si sono battuti in questi giorni contro la privatizzazione delle aziende comunali, dallo sciopero selvaggio di Genova al 20 dicembre romano. Una battaglia che è appena agli inizi e che si dirige tanto contro il governo Letta-Alfano quanto contro gli ansiosi successori renziani, cui Napolitano comincia forse a strizzare un occhio, per non parlare dell’immondezza forzitaliota e dell’inutile M5s.

Chi comanda è in realtà la finanza e l’Europa ma le scelte non sono univoche: di qui le oscillazioni del loro commissario nazionale, Napolitano, sempre più incerto fra il Letta di oggi e il Renzi di domani. Privatizzazione dei servizi e del welfare, piano renziano del lavoro sono le poste in gioco del 2014. La confusione dell’inizio non è male.

Augusto Illuminati - dinamopress.it

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