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    Turchia, lotta di potere e lotta di popolo

    (31 Dicembre 2013)

    Corruzione, arresti e rimpasto di governo: un Erdogan sempre più debole parla di "complotto internazionale". La piazza contro le disuguaglianze sociali e l'islamizzazione.

    turchlott

    (Foto: Ozan Kose/AFP)

    Roma, 31 dicembre 2013, Nena News - Accuse di corruzione, arresti eccellenti e rimpasto di governo: la Turchia è tornata al centro della cronaca internazionale per gli avvenimenti che, in questi giorni, stanno incidendo in maniera sostanziale sulla stabilità del Paese. Eventi che rischiano di indebolire il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) del premier Recep Tayyip Erdogan in vista delle elezioni amministrative del marzo 2014 e delle presidenziali del giugno dello stesso anno. Una crisi che, secondo le parole del primo ministro, sarebbe frutto di un "complotto internazionale" ordito da forze contrarie al rinnovamento della politica interna ed internazionale portato avanti dal suo Governo in questi dieci anni.

    Molti analisti internazionali, parallelamente, descrivono come, alle spontanee proteste della popolazione, si affianchi un'opera di lobbying di gruppi di potere legati a personaggi di spicco della società turca in esilio come Muhammad Fethullah Gulen, professore ed intellettuale di formazione islamica.

    In questo contesto, in molti, hanno ripreso in mano le analisi fatte durante il periodo delle manifestazioni per la difesa di Gezi Park per dimostrare come, a mesi di distanza, la protesta abbia trovato nuova linfa e le piazze abbiano ricominciato a riempirsi per contestare l'operato del governo in carica. Il rinnovato impulso sarebbe dato dal confronto tra la ricchezza della classe dirigente, ottenuta in maniera illegale con scambi di favori e corruzione e resa pubblica attraverso i media, e la povertà diffusa della popolazione. Sembrerebbero, in base a questi dati, manifestazioni contro il malaffare e per la trasparenza.

    Un'analisi di questo genere rischia, però, di banalizzare quella che, da mesi, è la lotta di larga parte della popolazione turca contro il governo Erdogan. Nel raccontare gli eventi di questi giorni, molto spesso, ci si è dimenticati degli scontri di agosto ad Istanbul tra studenti e polizia, di quelli a settembre ad Antalya in cui è morto un giovane di 22 anni, delle manifestazioni di ottobre degli studenti del Politecnico del Medio Oriente di Ankara o di quelle di novembre degli insegnanti che, sempre nella capitale, sono stati dispersi dai reparti speciali della polizia. Se a questo si aggiungono le decine di arresti di attivisti e le campagne diffamatorie contro giornalisti ed avvocati, si può ben capire che lo scandalo corruzione, per quanto contribuisca, non è il punto di partenza delle proteste.

    Per quanto sia indubbio che una parte della dirigenza turca non vede di buon occhio né il protagonismo del proprio Paese nella questione siriana, né le aperture (per quanto parziali e più di forma che di sostanza) nei confronti dei curdi in generale e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in particolare, esiste anche un piano popolare di opposizione al Governo. Da anni piccoli partiti e sindacati vedono limitato il loro raggio d'azione e, a fronte di un'economia cresciuta grazie alla privatizzazione selvaggia (durante gli anni di governo dell'AKP si calcola che siano stati venduti 54 miliardi di dollari di beni pubblici) e all'iper-sfruttamento lavorativo (la Turchia è tra i Paesi avanzati a più alto numero di ore lavorative annue per lavoratore), la forbice tra molto ricchi e molto poveri si è allargata enormemente.

    Parallelamente la de-laicizzazione della società, oltre ad essere fermamente avversata dalla vecchia dirigenza di tradizione kemalista, rappresenta un importante discrimine in ampie fasce della popolazione. Non si dimentichi, infine, che esistono nel Paese varie etnie che hanno, da sempre, denunciato la propria discriminazione sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista economico e che hanno scelto di partecipare alle proteste in quanto sentono di essere parte di una stessa comunità.

    Quello che si sta configurando in questi giorni è, dunque, un'opposizione al governo che ha caratteri ed interessi diversi e, in alcuni casi, conflittuali. Ci sembra doveroso da un lato sottolineare come in questa fase politica si stia assistendo ad una marginalizzazione dell'ala laica legata alle vecchie enclavi di potere (anche a causa di arresti e della conclusione del processo Ergenekon) e potrebbe profilarsi una lotta per il potere tra due gruppi di ispirazione islamica, l'AKP di Erdogan ed il movimento Cemaat guidato da Gulen.

    Dall'altra ci sembra fondamentale valutare che la società turca non è uscita pacificata dalle settimane di lotta contro la distruzione di Gezi park e che, anzi, ha continuato in diversi settori e con differenti metodologie a mettere in discussione l'autorità governativa ed il sistema di potere nazionale. In questo senso, se la voglia di cambiamento delle piazze potrà difficilmente essere soddisfatta da un rimpasto di questo Governo, non è detto che la sconfitta dell'AKP nelle prossime elezioni possa porre fine alle proteste laddove rimangano inalterate le cause della mobilitazione.

    Francesca La Bella - Nena News

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