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2014: L’ANNO DELLA RIPRESA COMINCIA CON LA DISOCCUPAZIONE AI LIVELLI DELL’IMMEDIATO DOPOGUERRA

(9 Gennaio 2014)

In una giornata politica del tutto confusa, dove si è registrato il pasticcio della trattenuta degli scatti d’anzianità agli insegnanti, il decreto sugli Enti Locali è stato ripescato dopo una bocciatura in Commissione, sulla legge elettorale tutti sparano stupidaggini (la più forte è quella del “preservare il bipolarismo) mentre mancano ancora le motivazioni della Corte Costituzionale e Parlamento e Governo, appaiono scavalcati dal decisionismo di Palazzo Vecchio, una notizia emerge su tutte le altre anche se i telegiornali l’hanno relegata al quarto o quinto posto: il tasso di disoccupazione non è il più alto dal 1977 (questa data è presa a riferimento perché soltanto da quel punto è iniziata la serie storica dell’ISTAT) ma è ai livelli dell’immediato dopoguerra.
Oltre il 40% di disoccupazione giovanile è una percentuale enorme, fuori da ogni qualsivoglia possibilità di valutazione statistica: si tratta di un dato drammatico, disperante, che fornisce l’idea di una situazione assolutamente insostenibile, da paragonarsi soltanto a quando c’erano proprie le macerie dei bombardamenti per le strade e si tornava vestiti di stracci dalla montagna o dal fronte, le fabbriche erano chiuse per mancanza di elettricità, parte dei macchinari erano stati trafugati, la vita quotidiana era ancora stretta tra la fame, il freddo, la paura.
In questa tragica classifica l’Italia si colloca, in questo momento, anche alle spalle della Grecia e della Spagna.
Le responsabilità della politica, di “questa” politica, di “questa” logica della governabilità subalterna alla ferocia dell’economia capitalistica che accomuna centrodestra e centrosinistra sono enormi, quasi incommensurabili.
Presidente del Consiglio e Ministro dell’Economia aveva, nelle scorse settimane, insistito molto nell’indicare il 2014 come l’anno della ripresa: questi dati li smentiscono immediatamente.
Servirebbe un’alternativa che proprio non pare esistere.
E’ necessario partire dall’opposizione a questo stato di cose, non arrestarci sulla soglia della mera propaganda, produrre una grande mobilitazione di massa, lavorare per aprire la strada a una diversa prospettiva politica anche se questa, adesso come adesso, appare lontana e molto difficile da raggiungere.
Per il movimento operaio, i ceti subalterni ed esclusi è davvero il momento della lotta.

8/01/2014

Redazione "Perché la sinistra"

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