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(9 Gennaio 2014)
Braccio di ferro tra potere centrale e milizie separatiste: tre porti orientali controllati dal "governo della Cirenaica", che tenta di vendere il greggio all'estero.
di Chiara Cruciati
Roma, 9 gennaio 2014, Nena News - Ieri il premier libico, Ali Zeidan, ha annunciato imminenti dimissioni nel caso il Congresso Nazionale opti per la sfiducia e trovi qualcuno che assuma l'incarico. "Il governo sarà nominato non sulla base di partiti o gruppi politici, ma sarà formato da esperti indipendenti e tecnici", ha annunciato Zeidan ieri, dicendosi pronto a affondare ogni nave carica di greggio pronta a salpare dai tre porti occupati (Es Sider, Ras Lanuf e Zueitina, da dove venivano esportati 600mila barili di greggio al giorno) senza l'autorizzazione del governo: "Ogni Paese, compagnia o gang che tenterà a inviare petrolio dai porti occupati senza la coordinazione della National Oil Corporation, subirà il nostro intervento, anche se saremo costretti a distruggerla o affondarla".
Negli ultimi mesi il governo libico è infatti impegnato in un duro braccio di ferro con ex ribelli anti-Gheddafi - sempre più forti nel Paese, soprattutto a Est - che controllano le esportazioni di petrolio dai porti orientali libici, impedendone la vendita all'estero e quindi bloccando una delle principali economiche del Paese.
Una minaccia, quella di Zeidan, concretizzatasi già lunedì, quando la Marina libica ha aperto un fuoco d'avvertimento contro una petroliera maltese che stava cercando di raggiungere la costa libica per acquistare il greggio dal porto di Es Sider.
Sono passati sei mesi dalle prime occupazioni da parte di milizie e ribelli contro il governo centrale: la richiesta è chiara, fare della regione di Bengasi - la Cirenaica - entità autonoma da Tripoli. L'ultima mossa dei ribelli è il tentativo di vendere all'estero il petrolio libico, indipendenti dal governo centrale. Martedì i manifestanti hanno invitato compagnie straniere ad acquistare il petrolio bypassando il controllo di Tripoli.
L'occupazione dei porti e il braccio di ferro sul greggio sono l'esempio lampante della mancata unificazione interna della Libia post-Gheddafi. Il colonnello aveva saputo tenere insieme per decenni le tribù e le diverse comunità libiche, unità persa dopo l'attacco Nato e la scomparsa del dittatore. E sebbene la Cirenaica (e in parte anche la regione del Fezzan) non abbia mai nascosto le sue mire indipendentiste, oggi le spinte separatiste sono sempre più forti e radicate, guidate dai leader tribali e da Ibrahim Jathran, considerato un eroe nella cacciata del colonnello Gheddafi.
Jathran si è proclamato nei mesi scorsi presidente del governo indipendente della Cirenaica e pochi giorni fa il suo primo ministro, Abd-Rabbo al-Barassi, ha fatto appello alle compagnie petrolifere internazionale perché acquistino il greggio "ribelle", annunciando la fondazione della compagnia Libya Oil and Gas Corporation ma allo stesso tempo negando il coinvolgimento nell'arrivo della petroliera maltese. In una lettera pubblicata dal Wall Street Journal, il "governo della Cirenaica" si rivolge alle compagnie internazionali: "Garantiremo la piena sicurezza di ogni petroliera che entrerà nelle acque libiche per caricare il petrolio dai nostri porti". Non solo: nel documento, la neonata Lybia Oil and Gas Corp avverte il governo centrale e la National Oil Corporation, considerati "privi di autorità in Cirenaica".
Ai desideri separatisti, infatti, si aggiungono gli interessi dei gruppi armati che nel 2011 hanno sostenuto la caduta di Gheddafi e che non hanno mai abbandonato le armi: oggi chiedono riconoscimento politico e una parte dei proventi della vendita di petrolio. A risentirne è l'economia interna: le esportazioni sono ovviamente calate, tanto che l'OPEC ha pronosticato il mancato pagamento dei salari pubblici nel caso l'occupazione dei porti prosegua. A luglio, prima dell'inizio della protesta, Tripoli esportava 1.5 milioni di barili al giorno, contro i 510-650mila di oggi.
Nena News
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