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(4 Febbraio 2011) Enzo Apicella
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    (Dove và la CGIL?)

    17° Congresso CGIL:
    per un intervento di classe

    (9 Gennaio 2014)

    La CGIL, dopo una lunga stagione di “non disturbo” ai governi Monti e Letta-Alfano, di cedimenti vergognosi sulle pensioni e sull’art. 18, di deroghe ai CCNL, di accordi antidemocratici sul sistema di regole e rappresentanza, di passivizzazione dei lavoratori e di ritrovata sintonia di vertice con CISL e UIL, va al suo 17° Congresso nazionale, che si svolge mentre le condizioni di lavoro e di vita dei proletari peggiorano drammaticamente.
    Dal 7 gennaio sono convocate le assemblee di base, per discutere e votare i due documenti congressuali presentati: “Il lavoro decide il futuro” presentato dalla segretaria Camusso, appoggiato da Landini della FIOM e dalla stragrande maggioranza dei dirigenti nazionali e locali; “Il sindacato è un’altra cosa” della minoranza guidata da Cremaschi.
    Quali sono i contenuti di questi documenti? Quali le loro caratteristiche di classe e i loro intenti? Cominciamo ad analizzarli, per orientarci sull’atteggiamento da tenere.

    Il documento delle “larghe intese”
    Il documento Camusso-Landini – articolato su una premessa comune e undici “Azioni” – ripropone tutte le tesi e la linea riformista che purtroppo abbiamo visto in opera negli ultimi anni.
    La crisi economica viene concepita come conseguenza del ”primato del sistema finanziario e monetario e dall'affermarsi di scelte politiche che hanno reso possibile la circolazione dei capitali senza alcun vincolo né controllo”, con la conseguente svalorizzazione della forza-lavoro e la riduzione dell’occupazione.
    Dunque per la maggioranza dell’apparato CGIL, la colpa della crisi e della recessione sarebbe della “ortodossia neoliberista” e non del capitalismo, sistema basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sull’estrazione di plusvalore dalla classe operaia, dunque sullo sfruttamento; anzi, per costoro questo è un sistema valido, l’unico possibile.
    Stessa solfa riguardo l’Unione Europea (non a caso è l’Azione n. 1, sulla quale non sono stati presentati emendamenti): sarebbe una istituzione deviata dalle scelte liberiste e da politiche sbagliate come quella d’austerità e il Fiscal compact, quindi da riformare, rivedere e potenziare, a livello parlamentare e istituzionale, coltivando il progetto impossibile o reazionario in ambito capitalistico degli Stati Uniti d’Europa.
    La critica piccolo borghese all’imperialismo e la magnificazione del capitalismo produttivo di plusvalore, non impediscono alla maggioranza CGIL di proporre punti del programma europeo in piena sintonia con gli interessi dei gruppi dominanti del capitalismo, come l’unione bancaria e il completamento della libera circolazione interna.
    Dunque il “ripensamento” e la “rilettura critica” degli ultimi trenta anni, nei quali i vertici sindacali e i socialdemocratici hanno sposato e applicato i fondamenti ideologici ed economici del neoliberismo, si arrestano a una parziale messa in discussione di alcune politiche liberiste e l’adozione di qualche palliativo socialdemocratico.
    Ciò si accompagna alla riproposizione del “dialogo sociale” e del ruolo degli apparati sindacali come cogestori della crisi (e pompieri delle lotte operaie), in nome della “competitività” e della “competizione” capitalistica italiana e europea. In questo senso, la rivendicazione degli “inscindibili” accordi del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013, mai votati dai lavoratori ed apprezzati da Confindustria, è piena.
    In coerenza con le premesse, il programma rivendicativo si basa su alcuni perni:
    a) il sostegno al “capitalismo sano”: risorse, innovazioni, credito, investimenti, capacità di attrarre “competitori internazionali”, aggregazione di impresa (qui il documento sembra quello di un consorzio di industriali), dentro una nuova centralità del ruolo pubblico nelle politiche di sviluppo, per la crescita dell’occupazione”, senza però negare del tutto le privatizzazioni, che andrebbero proseguite senza gli “errori già compiuti nel passato”;
    b) il Piano del Lavoro, inadeguato e irrealizzabile in un quadro contrassegnato dagli eurotrattati vincolanti e dal pareggio di bilancio costituzionalizzato; esso se da un lato è il sogno di nuovo piano Marshall dell’UE dei monopoli (che procede in tutt’altro senso), dall’altro serve a giustificare il “patto sociale” e una nuova stagione di concertazione;
    c) politiche anticicliche e rilancio keynesiano della domanda. Con gli aumenti salariali? Attaccando gli immensi profitti dei monopoli? Neanche per sogno, solo con un alleggerimento della pressione fiscale, specie per i risultati della contrattazione aziendale (ovviamente a scapito di quella nazionale). Ciò non potrà che tradursi in nuovi attacchi al salario e agli stipendi dei lavoratori.
    Come ciliegine sulla torta, ecco il rilancio della previdenza complementare e dei fondi sanitari integrativi a livello regionale, sancendo il passaggio dalla previdenza e della sanità pubblica a quella privatizzata, a tutto vantaggio della speculazione finanziaria e degli interessi della burocrazia sindacale.
    Il documento “unitario” (in realtà gli intrighi e le manovre si sprecano nelle stanze dell’apparato) disegna un sindacato che rinuncia a qualsiasi rivendicazione di classe e si pone a sostegno di una politica di razionalizzazione e modernizzazione imperialista, di concentrazione e centralizzazione monopolista, da realizzare attraverso il rilancio del ruolo delle istituzioni borghesi.
    La linea in esso contenuta dimostra a quale livello di abbandono delle istanza dei lavoratori e di integrazione nell’organismo economico e statale del capitalismo, di collaborazione di classe sono giunti i capi socialdemocratici e riformisti della CGIL.
    Non si vuole soltanto un sindacato che predica la moderazione e frena il conflitto di classe (l’affermazione di Camusso sull’inutilità dello sciopero generale la dice lunga), ma un sindacato organico al capitale monopolistico e ai suoi governi, che si appoggi sempre più sugli strati piccolo-borghesi, che adatti il movimento operaio agli interessi della classe dominante, aiutandola a stabilizzarsi e trovare una soluzione alla sua crisi.
    All’interno di questa linea collaborazionista, a cosa possono servire gli astrusi emendamenti alle “Azioni”, che Landini e altri dirigenti (tra cui alcuni ex appartenenti alla “sinistra sindacale”), hanno presentato per riaprire il dibattito su questioni come le pensioni, la contrattazione, il reddito minimo? Essendo funzionali a quella che lo stesso Landini ha definito “una nuova strategia comune”, avranno come unico effetto quello di ritardare il risveglio di classe.

    Il documento “alternativo”
    Su Scintilla di settembre 2013 abbiamo apprezzato l’intento della “Rete 28 Aprile”
    di presentare un documento alternativo a quello della maggioranza riformista di Camusso e Landini, per una battaglia congressuale che fosse legata alla ripresa della mobilitazione e della lotta contro le politiche di austerità e di guerra.
    Ritenevamo però necessario valutare con attenzione il contenuto e le prospettive
    politico-sindacali del documento, nonché il metodo stesso con cui sarebbe stato elaborato e proposto. Questo perché da sempre critici riguardo l’impostazione e la
    pratica sindacale seguite dalla “Rete 28 Aprile”, contrassegnata da limiti profondi.
    Ora, alla luce della pubblicazione del documento “Il Sindacato è un’altra cosa” non possiamo che confermare le nostre opinioni critiche. Nel documento troviamo infatti numerose posizioni deboli ed errate.
    Anzitutto va detto che esso è stato elaborato senza un reale coinvolgimento di lavoratori e delegati, essendo il prodotto di un ristretto gruppo di funzionari e dirigenti
    sindacali. Ciò riflette uno dei limiti intrinseci della R28A, unito alla mancanza di autocritica. In particolare, vengono costantemente rimosse le fallimentari esperienze di componenti e aree programmatiche della “sinistra sindacale” (un aspetto dell’involuzione dell’intero gruppo dirigente della CGIL).
    Nel documento “alternativo” è assente qualsiasi riferimento alla classe operaia, la classe fondamentale per la ricostruzione/riorganizzazione del sindacato di classe e la trasformazione sociale. L’indipendenza di classe è qualcosa di estraneo per gli estensori.
    La stessa lotta di classe viene concepita da una parte sola: quella “dei ricchi e dei potenti ai nostri danni”.
    Non vi è una seria analisi della crisi che continua a scuotere l’economica capitalistica. Seppure definita “la più grave crisi dal dopoguerra a oggi” non se ne rintracciano le origini, le responsabilità, non si denuncia il capitalismo e le sue insanabili contraddizioni come sua causa. Se si cela questo ai lavoratori, come si può pensare di organizzare una battaglia contro le sue conseguenze e per una via di uscita dalla crisi che metta in discussione il sistema che inevitabilmente la produce?
    Sono presenti nel documento micidiali illusioni sulla riforma dell’imperialismo (che
    viene visto solo ad “occidente” e non a livello internazionale) e sul presunto ruolo
    sociale che potrebbe essere svolto dall’Unione Europea, una volta depurata dal Fiscal compact, dalla politica di austerità e dalla Bolkestein.
    Di conseguenza, non si parla di uscita dalla UE, dall’euro e dalla NATO, ma di una
    non meglio precisata “rottura”.
    Di qui la soluzione alle piaghe croniche e incurabili dell’imperialismo individuata nel documento: una nuova (e impossibile) stagione riformista, un “nuovo modello di
    sviluppo” imperniato sulle nazionalizzazioni di importanti rami produttivi senza sconfiggere la borghesia, rimanendo in ambito capitalistico, distogliendo così gli operai dalla lotta per il socialismo. Le stesse rivendicazioni immediate più condivisibili perdono significato se scollegate dalla prospettiva rivoluzionaria.
    Nel documento la solidarietà internazionale di classe – decisiva in questo momento di assalto imperialista e capitalista globale – è completamente assente. Al suo posto la “certezza del diritto internazionale e il rispetto delle autonome scelte di ciascun popolo”.
    Dunque nel suo impianto il documento “alternativo” resta ideologicamente e politicamente subalterno al riformismo e alla socialdemocrazia egemoni in CGIL,
    sebbene più massimalista nei contenuti (per il fatto che deve tenere conto della
    radicalizzazione delle masse).
    A livello politico-organizzativo il suo difetto principale sta nel fatto che la R28A
    non mira a costruire una vera opposizione di classe organizzata alla base del sindacato, che si unisca alle altre opposizioni che esistono all’esterno, ma solo a ipotizzare un’illusoria autoriforma “democratica e pluralista” della CGIL.
    Rivelatore un lapsus contenuto nel documento, quando si afferma che il sindacato non deve vivere con i finanziamenti degli enti bilaterali, dei fondi integrativi, dalle controparti e dallo Stato “perché altrimenti la burocrazia sindacale entra in conflitto di interessi con il proprio ruolo di rappresentanza”. Una vera e propria rivendicazione del ruolo insopprimibile della burocrazia sindacale!
    Riteniamo che il documento “alternativo” non rappresenti l'effettiva volontà dei tanti operai e lavoratori rivoluzionari e combattivi che nutrono una crescente sfiducia verso i vertici sindacali e sentono l'esigenza di un’opposizione alla linea riformista e socialdemocratica in CGIL.
    In ogni caso, nei confronti di settori che sostengono questo documento, così come nei confronti della base operaia socialdemocratica che si inganna in buona fede e appoggia quello della maggioranza, pensiamo che le diverse posizioni ideologiche e politiche esistenti fra i proletari non possano e non debbano costituire un impedimento
    all’unità di azione contro i capitalisti e i loro governi, nell’ottica della costruzione di un ampio fronte di lotta comune di tutti coloro che si rifiutano di pagare la crisi e i debiti della borghesia.

    Intervenire nel dibattito tra i lavoratori
    Come prepararsi allora alla discussione congressuale? Quali temi di fondo
    affrontare? Con quali prospettive?
    Anzitutto va favorita la partecipazione e nelle assemblee di base dei lavoratori,
    iscritti e non, in produzione e in CIG. Nel dibattito va denunciata a chiare lettere la
    politica governativa e della UE imperialista, di conseguenza la linea e la pratica collaborazionista sindacale seguita dai vertici CGIL, che hanno prodotto pesanti arretramenti nel movimento operaio e un indiscutibile peggioramento dei rapporti di forza e delle condizioni di vita e di lavoro.
    Di fronte a un bilancio così fallimentare le domande da sollevare sono: possiamo continuare così? si può essere d’accordo con l’appoggio ai governi antipopolari
    dell’austerità? vanno bene gli accordi senza consultazione e gli scioperetti farsa? di quale sindacato e di quale linea di lotta abbiamo bisogno?
    Per offrire una risposta corretta dobbiamo respingere le tesi illusorie e dannose secondo cui è possibile riformare la burocrazia sindacale, spostare a sinistra le direzioni opportuniste, cambiare la linea seguita dai vertici della CGIL. Altrettanto illusorio, nelle condizioni, attuali pensare di conquistare l’apparato riformista.
    La nostra presenza in CGIL non può limitarsi a correggere la linea dei vertici, non può esaurirsi nel “controbilanciare” la deriva a destra dell’apparato, riducendo la nostra attività ad un problema parlamentaristico di maggioranze e minoranze all’interno della
    Confederazione e delle sue categorie.
    Conquistare posizioni nella CGIL significa conquista della massa operaia, non dell’apparato burocratico; significa strappare con la lotta le strutture di base dalle mani degli opportunisti e dei funzionari espressione dell’aristocrazia operaia e della piccola borghesia; significa guadagnare credibilità e autorevolezza fra i lavoratori nelle battaglie quotidiane, senza fare compromessi di principio.
    Il centro della nostra attività non dev’essere l’apparato, la federazione, la segreteria in cui prospera la burocrazia sindacale. Dev’essere invece la fabbrica, l’ospedale, la scuola, l’ufficio, i quartieri popolari, l’assemblea di base, il comitato degli iscritti, la RSU, le strutture territoriali di primo livello. Insomma, le masse sfruttate ed oppresse.
    Fra queste masse devono basarsi ed essere organizzati gli organismi sindacali.
    Assieme ad esse si deve portare avanti la lotta per la loro trasformazione in centri di
    organizzazione e resistenza contro il capitalismo. Così si potrà anche aumentare la pressione sulla burocrazia sindacale riformista, smascherandola e mettendola alle corde senza subirne i condizionamenti.

    Ragionare sui contenuti di classe, non sui numeri
    La crescita e il rafforzamento del fronte sindacale di classe, non si costruiscono
    dentro una rituale e votazione congressuale, ma lavorando per fare dei posti di lavoro, in primo luogo le grandi fabbriche, il fulcro della vita e dell’attività sindacale.
    In questo senso gli operai coscienti e combattivi devono saper utilizzare tutte le occasioni e i momenti di confronto e di lotta, compreso il congresso della CGIL, principalmente le assemblee di base, per svolgere un lavoro di chiarimento, agitazione e organizzazione.
    Bisogna agire nelle assemblee per rifiutare la politica governativa, criticare a fondo
    le scelte fallimentari del gruppo dirigente e smascherarlo davanti ai lavoratori, rompere con la “coesione sociale” e sostituirvi la lotta aperta, economica e politica contro le classi dirigenti e i loro governi.
    Assieme a ciò va dato impulso alla formazione di una nuova opposizione sindacale
    rivoluzionaria e di classe, alla costruzione di organismi di lotta su vasta base nei luoghi di lavoro e nel territorio (come i Comitati di lotta, che raggruppino il maggior numero possibile di lavoratori, sia i sindacalizzati sia i non organizzati), a processi unitari con tutte le forze politiche, sociali e popolari che si scontrano col capitalismo.
    Il problema che abbiamo di fronte non è la conta dei voti fra i documenti, anche perché nel Congresso CGIL non esistono parità di condizioni fra le diverse opzioni, né garanzie per un reale confronto e una votazione trasparente e democratica. Il problema è il contenuto e l’organizzazione di classe!
    Se la questione di fondo è il tipo, il modello di sindacato che vogliamo, bisogna proclamare chiaramente la necessità di un’opposizione sindacale di classe e
    rivoluzionaria, senza lasciarci ingannare dai proclami e dalle promesse della burocrazia sindacale.
    Dobbiamo costruire un segmento organizzato del movimento operaio e sindacale
    composto da operai e militanti sindacali di classe, non per ridurlo a “componente di minoranza” in CGIL, non per separarlo dall'insieme, ma affinché, agendo con una
    adeguata direzione, possa incidere sul resto della classe operaia alzando le bandiere più conseguenti, classiste e rivoluzionarie.
    E’ su questo obiettivo di fondo che bisogna concentrare l’attenzione, sulla base delle esperienze compiute in CGIL. E’ in funzione di tale obiettivo politicoorganizzativo
    – che va ben oltre il Congresso e riguarda l’interesse del movimento generale - che si decide l’atteggiamento da adottare nelle assemblee, tenendo in conto la situazione concreta: quali candidati sostenere come punti di appoggio ed elementi in grado di creare un ambiente più favorevole alla linea e all’organizzazione di classe,
    quali ordini del giorno mettere ai voti, senza nutrire alcuna illusione nei confronti dei
    documenti in campo.
    Allo stesso tempo le assemblee congressuali di base devono essere l’occasione per rilanciare le vertenze in corso sulla base della mobilitazione di massa, per offrire
    solidarietà alle lotte dei settori colpiti da licenziamenti, ristrutturazioni e dalla politica governativa, per spingere verso un coordinamento delle componenti e correnti classiste esistenti dentro e fuori i sindacati confederali, nei movimenti e nelle istanze di lotta.

    La questione dell’unità
    Di qui un punto chiave, quello dell’unità sindacale. Con chi dobbiamo farla? Non
    certo con i collaborazionisti, siano essi i dirigenti complici di CISL e UIL o gli stessi
    vertici della CGIL, che sono i principali nemici dell’unità dei lavoratori. Non certo con
    quei funzionari sindacali che tendono a sorreggersi l’uno con l’altro per salvaguardare i propri privilegi e posizioni, contrapponendosi sistematicamente alla volontà dei
    lavoratori.
    E allora per compiere dei passi avanti dobbiamo cercare la massima unità anzitutto
    a partire dai luoghi di lavoro, fra tutti i genuini militanti sindacali, i delegati onesti, gli
    iscritti, i lavoratori, ovunque siano collocati, sia pure con le loro ingenuità e illusioni,
    ma che vogliono resistere e lottare di fronte al brutale attacco capitalistico.
    L’unità e le posizioni dei lavoratori si consolidano soprattutto attraverso il rafforzamento delle posizioni più coerenti e battagliere dentro i posti di lavoro, negli organismi di base del sindacato, per lottare non solo all’interno della CGIL, ma con tutto il movimento operaio e sindacale, confederale e non, organizzato o meno.
    L’obiettivo che può determinare una svolta veramente positiva nello scontro di
    classe è la creazione del più vasto fronte unico di lotta del proletariato contro la
    borghesia. Ciò implica la sconfitta di ogni settarismo e la realizzazione pratica dell’unità
    di azione degli operai e degli altri lavoratori sfruttati sulla base della difesa intransigente
    degli interessi politici ed economici di classe, a tutti i livelli e in tutti i momenti, e della
    costruzione di appositi organismi di classe (non solo sindacali).
    Per fare questo c’è bisogno di una piattaforma unificante che esprima in forma avanzata e concreta le esigenze e le aspettative immediate degli sfruttati, da sostenere con la mobilitazione e la lotta.

    Resistenza e lotta contro le politiche capitaliste
    Quali sono le bandiere che dobbiamo impugnare nelle lotte quotidiane? Sono quelle
    emerse dalle lotte operaie degli ultimi tempi, quelle agitate dalle componenti più
    avanzate del movimento operaio e sindacale:

    • No ai licenziamenti e alle chiusure, alla precarietà, esigiamo lavoro per tutti,
    regolare e dignitoso.
    • Forte aumento dei salari e delle pensioni dei lavoratori, a partire da quelli più bassi, a spese dei profitti.
    • Riduzione dell’orario a 32 ore, dei ritmi e dei carichi di lavoro; età pensionabile a 60 anni o con 35 di contributi, all’80% dell’ultima retribuzione, per dare lavoro ai giovani.
    • Difesa intransigente dei CCNL senza deroghe.
    • Basta con la politica di austerità e competitività, le privatizzazioni, le liberalizzazioni; abolizione del Trattato sulla stabilità, del Fiscal compact, del pareggio di bilancio.
    • Colpire i profitti, i patrimoni finanziari e immobiliari, le rendite parassitarie,
    l’evasione fiscale, i redditi di quel 10% che possiede il 50% della ricchezza, i beni delle mafie, dei corrotti, dei padroni che non rispettano le norme. La crisi e il debito devono essere pagati da chi li ha causati e ne beneficia.
    • Ripristino e estensione art. 18. Diritti, salute e sicurezza sui posti di lavoro. No alla devastazioni ambientali.
    • Casa, sanità, istruzione, trasporti sono diritti sociali e devono essere gratuiti e garantiti per le famiglie dei lavoratori e dei disoccupati.
    • Parità di diritti per i migranti, abolizione delle leggi razziali e dei CIE.
    • No alle controriforme istituzionali, difesa e ampliamento delle libertà e dei diritti conquistati dalla classe operaia.
    • Piena libertà di sciopero, di assemblea e di organizzazione sindacale. Via i servi dei padroni dai sindacati. Riammissione dei combattivi militanti sindacali espulsi.
    • Basta con la politica di guerra e le spese militari. No Muos e F-35. Ritiro immediato delle truppe all’estero. Fuori l’Italia dall’euro, dalla UE e dalla NATO.

    Il nostro punto di partenza devono essere i bisogni concreti, immediati e più urgenti della classe operaia, indipendentemente dalla loro conciliabilità con le esigenze capitalistiche, con la competitività, la concorrenza e le altre truffe capitalistiche.
    Al centro della nostra azione vi devono essere gli operai colpiti dai licenziamenti e impoveriti, i disoccupati senza prospettive, i giovani senza futuro, i migranti discriminati e schiavizzati, gli impiegati pubblici colpiti dalle misure di austerità, i giovani e le donne condannati alla precarietà, i pensionati al minimo.
    E’ il sindacalismo di lotta e di classe che deve essere sviluppato, il rapporto vivo con gli sfruttati. E’ il problema fondamentale della direzione autonoma degli scioperi e delle mobilitazioni che va risolto, non la ricerca di accordi e compromessi con i gruppi dirigenti per salvaguardare la collocazione di taluni funzionari nell'apparato del sindacato o la “gestione unitaria” delle strutture con i collaborazionisti.
    Solo su questa base - difendendo con le unghie e con i denti le conquiste, le libertà
    e i diritti frutto di dure lotte operaie e popolari, rivendicandone di nuovi e più avanzati - sarà possibile trovare soluzioni che consentiranno di ripartire da posizioni più avanzate e organizzate.

    Sviluppare la solidarietà internazionalista
    Su tali presupposi va impostata e risolta una questione fondamentale: la solidarietà
    internazionale dei lavoratori sfruttati e dei popoli oppressi dall’imperialismo.
    Il sistema capitalista in crisi profonda applica ricette e politiche aggressive simili in tutti i paesi del mondo. Il peggioramento delle condizioni di vita è simile in molti paesi, i problemi degli operai sono comuni. Ciò fa si che la necessità di un nuovo livello di solidarietà internazionale con ogni lotta della classe operaia e dei popoli oppressi si
    rivela oggi più imperiosa.
    E’ la stessa crisi imperialista che sta apportando importanti elementi che favoriscono una risposta sempre più generale. Perciò dobbiamo potenziare tutti gli elementi di un internazionalismo proletario dinamico e multilaterale.
    Non l’europeismo in varie salse, non la collaborazione con le classi dominanti, la
    “coesione sociale” invocata dalla borghesia, bensì la lotta e solidarietà internazionale degli operai e dei sindacati combattivi dei lavoratori è una necessità vitale.
    Una necessità resa ancor più impellente dal fatto che i capitalisti di tutti i paesi per
    venire fuori dalla crisi mettono sempre più in concorrenza fra di loro i proletari di
    diversi paesi, cercano soluzioni attraverso il riarmo e la politica di guerra per una nuova ripartizione del mondo. E sappiamo bene che quanto più procedono su questa strada tanto più peggiorano le condizioni di tutti, si rafforza la reazione politica, si aggrava l’oppressione e si preparano le condizioni per condurre le masse al macello.
    Perciò va combattuta a fondo la politica di divisione e di guerra imperialista
    rafforzando la solidarietà di interessi e la comunione di aspirazioni del proletariato,
    stringendo legami sempre più stretti con i sindacati di classe e le organizzazioni combattive dei lavoratori degli altri paesi.
    È impellente un rafforzamento internazionale di tutte le forme organizzative che sul piano sindacale di classe si sviluppano nei diversi paesi; è doveroso sostenere ambiti nei quali si stabilisce l'unità internazionale del movimento sindacale con tutte le forze con le quali si coincide nella lotta contro il capitale e l'imperialismo.

    Per un’opposizione sindacale di classe e rivoluzionaria
    Per concludere questo nostro contributo in vista delle assemblee di base. E’ del tutto evidente l’esistenza di una catena, che parte dal liberal-riformismo ed arriva alla
    socialdemocrazia e alla burocrazia sindacale di “sinistra”, che svolge una funzione di puntello sociale al capitalismo, “critica e alternativa” finché si vuole, ma che non mette mai in discussione i rapporti sociali su cui si fonda lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
    Se la massa operaia e le sue avanguardie politiche e sindacali non spezzeranno
    questa catena e riconquisteranno la loro completa indipendenza dall’opportunismo e da tutte le tendenze borghesi e piccolo borghesi esistenti dentro il movimento operaio e sindacale, se non si condurrà una lotta aperta contro queste tendenze, fino all’aperta separazione da esse, non sarà possibile veri passi in avanti verso un’opposizione sindacale operaia radicata nelle fabbriche e negli altri posti di lavoro, premessa del futuro sindacato di classe.
    L’offensiva della borghesia imperialista e dei suoi governi, la sempre più manifesta volontà collaborazionista dei capi riformisti e socialdemocratici, sono elementi che ci
    fanno dire che ormai occorre uscire dall’ambiguità e dall’incertezza. La situazione non permette più “mezze misure”.
    Le forze genuinamente di classe attive nel movimento sindacale e operaio devono assumersi le proprie responsabilità e lavorare in modo tenace e sistematico nei sindacati e nella altre organizzazioni di massa del proletariato, nei luoghi di lavoro una vera opposizione sindacale di classe, organizzata nei posti di lavoro e centralizzata. Altro che le parole su “una CGIL ben diversa da quelle di questi anni” che esprimono solo la volontà di non compiere passi concreti in questa direzione!
    Noi siamo per una vera alternativa alla linea, agli obiettivi e alle pratiche dei vertici e della burocrazia sindacale, che sia espressione degli interessi di classe nel suo programma e nella sua organizzazione. Una proposta unitaria che agisca nella base
    sindacale e contenda la direzione delle sue strutture nei posti di lavoro, che agisca per il fronte unico proletario e si costituisca come strumento della classe operaia nella lotta per i suoi diritti, per abbattere il capitalismo sfruttatore.
    E’ ora che gli operai rivoluzionari e avanzati si distacchino dai riformisti e dai socialdemocratici, prendendo nelle proprie mani la questione sindacale.
    Questo lavoro non può essere concepito in maniera limitata o separata, ma deve
    essere organicamente connesso alla costruzione del Partito comunista nel seno stesso della classe operaia, un partito basato sui principi del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario. Questo è il nostro principale obiettivo, più che mai
    attuale.
    Gennaio 2014

    Piattaforma Comunista

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