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(19 Ottobre 2011) Enzo Apicella

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Renzi e Landini
L'asse Pd-Fiom contro i lavoratori

(11 Gennaio 2014)

renzielandini

La notizia che in questo inizio d’anno ha acceso il dibattito politico italiano è quella relativa al feeling tra il neo segretario del Pd Renzi e il segretario della Fiom Landini.
Certamente si tratta di una notizia che merita l’attenzione delle prime pagine dei giornali, se non altro per chi in questi anni ha creduto che il leader della Fiom rappresentasse l’ultimo baluardo in difesa dei lavoratori, colpiti dalla crisi economica e dalle politiche di austerità applicate di comune accordo da governo e padroni.
Una intesa tra il più “radicale e a sinistra” dirigente sindacale e il più “liberal e a destra” dirigente del Pd degli ultimi anni appare ai più come un accordo tra il diavolo e l’acqua santa. Cercheremo di spiegare perché a nostro avviso in realtà questo nuovo asse non rappresenti una rottura col passato, ma il naturale approdo del percorso politico di una parte della burocrazia sindacale italiana.

I nodi vengono al pettine
A favorire l’apertura di relazioni tra i due leader è stata la proposta avanzata dal segretario del Pd riguardante una nuova riforma del lavoro che dovrebbe essere ricompresa in un piano più generale, chiamato "Job Act" e che sarà presentato ufficialmente dopo la metà di gennaio, per favorire l’occupazione e lo sviluppo economico.
Al momento circolano al riguardo solo notizie frammentarie e indiscrezioni, ma già dal poco trapelato è possibile capire che la proposta del Pd non costituirà una rottura col passato e l’inizio di una politica più attenta alle esigenze dei lavoratori. Renzi e il Pd vorrebbero l’introduzione di un contratto unico di lavoro. Innanzitutto, la definizione di “contratto unico” risulta imprecisa in quanto, secondo alcune indiscrezioni (la più autorevole senza dubbio quella di Faraone, responsabile welfare del Pd e tra gli ideatori del Job Act), non verrebbero aboliti né i contratti a progetto né quelli di apprendistato.
Inoltre, col contratto unico per i primi tre anni i neoassunti non sarebbero tutelati dall’art 18 dello Statuto dei Lavoratori, o meglio da quello che ne rimane, i contributi sarebbero a carico dello Stato (quindi aumento del fabbisogno e quindi necessità di nuove misure di austerità a carico dei lavoratori) e non sarebbe previsto il ricorso alla cassa integrazione ma solo un sussidio di disoccupazione (quindi i lavoratori potrebbero essere solo licenziati).
Tra i primi a dirsi interessati a una riforma di tal genere c’è Confindustria, e non per caso. I capitalisti italiani si vedrebbero sgravati di costi per le assunzioni, vedrebbero ridotte le centinaia di forme contrattuale attualmente vigenti (che rappresentano un costo in termini di burocrazia soprattutto per le grandi imprese), mentre pochi o nulli sarebbero i rischi per le imprese una volta superato il periodo di prova (3 anni) in cui il Job Act agisce. Infatti l’eventuale stabilizzazione dei lavoratori avverrebbe in un quadro in cui il contratto nazionale di lavoro viene di fatto smantellato dopo l’accordo del 28 giugno 2011; l’articolo 18 rimane, come già detto, solo sulla carta, e con l’accordo sulla rappresentatività dello scorso maggio nei fatti si abolisce la conflittualità sui luoghi di lavoro, rendendo difficile anche per i lavoratori a tempo indeterminato lottare per la difesa dei propri diritti. In queste ore agli elogi sul Job Act si è unita l’Unione Europea, responsabile delle politiche sociali che da anni stanno immiserendo i lavoratori del Vecchio Continente.

Camusso e Landini: due facce della stessa medaglia
Visti i precedenti, ci si poteva aspettare una opposizione da parte della Fiom e ampie aperture da parte della Camusso. Invece è stata timida la reazione avuta dalla maggioranza della Confederazione di Corso Italia, un sindacato che negli anni non solo ha firmato, ma si è fatto promotore dei peggiori attacchi al mondo del lavoro. Il problema è più politico. La maggioranza dell’apparato della Cgil era schierato contro Renzi all’ultimo congresso del Pd (lo Spi, categoria dei pensionati ha fatto anche un endorsment pro Cuperlo, rappresentante del vecchio apparato del partito, anche se ultimamente la segretaria dello Spi ha lanciato segnali di apertura a Renzi): il neo segretario, già da quando era solo il sindaco di Firenze, ha attaccato l’apparato della Cgil, nella sua foga populista di rottamatore dei vecchi riti della politica.
Quindi la Cgil al momento guarda con sospetto alle proposte di Renzi in quanto è prioritariamente concentrata a difendere il suo ruolo di burocrazia di riferimento del governo e di ampi settori della grande borghesia imperialista italiana: non perché veda nel Job Act un attacco particolarmente virulento contro i lavoratori, ci mancherebbe!
E Landini? Il comportamento del leader della Fiom è opposto nella forma ma simile nella sostanza a quello della Camusso. Auspica di trovare in Renzi una sponda per poter avere più spazi, e forse addirittura arrivare alla segreteria della Cgil, possibilmente già in questo congresso.
E non si tratta certo di una "svolta a destra" da parte del segretario dei metalmeccanici, a differenza di quanto hanno commentato alcuni. In diversi articoli apparsi sul nostro sito e su Progetto Comunista abbiamo ampiamente dimostrato come le posizioni della Fiom, già a partire dalla vicenda Fiat, non rappresentavano, nella sostanza, nulla di diverso dalla posizione moderata e concertativa della Cgil. E lo abbiamo fatto nel momento in cui più forte era il "landinismo", cioè l'esaltazione per la presunta "linea dura" di Landini: una posizione di subalternità che ha colpito nella scorsa fase non solo (come era normale) i dirigenti della sinistra riformista (da Sel al Prc) ma anche quelli della sinistra centrista, cioè che critica i riformisti da sinistra ma poi si accoda nei fatti alle loro posizioni (sarebbe interessante andare a rileggersi certe dichiarazioni e articoli...).

XVII congresso Cgil: le due ali della burocrazia si uniscono contro i lavoratori
Per queste ragioni non condividiamo l’analisi fatta da Cremaschi (leader del documento di minoranza) sugli schieramenti oggi in campo nel XVII congresso della Cgil.
Non crediamo che le differenze di prospettiva tra la vecchia minoranza Cgil e l’apparato maggioritario siano state messe in sordina, per privilegiare una falsa unione di facciata, funzionale a una spartizione di posti di potere nel sindacato. Al contrario: pensiamo che le differenziazioni del passato fossero solo di facciata, all’epoca di un congresso in cui si discuteva la successione a Epifani, e in cui lo schieramento alternativo aveva come unico minimo comun denominatore l’avversione all’ipotesi di una segreteria Camusso, non certo una opposizione strategica di principio alla linea capitolarda seguita dal sindacato negli anni.
Oggi questo schema di finta contrapposizione non è più utile e quindi tutti tornano all’ovile della gestione unitaria.
Ciò non vuol dire che non voleranno coltelli o colpi bassi nelle assisi congressuali, ma tutto ciò in nome di chi e come dovrà avere un ruolo di primo attore nella gestione delle politiche di austerità che dovranno essere poste in essere negli anni futuri.
Oggi ribadiamo quanto già scritto in passato. La crisi economica in cui è precipitata l’Italia ha avuto il merito di fare chiarezza sulle posizioni in campo.
Dalle burocrazie politiche e sindacali il movimento operaio non deve aspettarsi nulla di buono.

Né Camusso né Landini: per una opposizione di classe ai governi borghesi
E’ necessario lottare perché dalle prossime lotte nasca una nuova direzione, politica principalmente e anche sindacale, che ponga all’ordine del giorno una diversa proposta politica da quelle oggi maggioritarie. Una proposta che veda il suo baricentro nell’opposizione ai governi borghesi di qualsivoglia colore, nel rifiuto delle politiche di austerità, nella convinzione che solo la lotta di classe e la mobilitazione diretta dei lavoratori, e non i trucchi e le manovre dei palazzi del potere, possono creare le condizioni perché il prezzo della crisi venga sostenuto dai padroni e non dagli operai e dagli impiegati.
Una lotta che oggi più che mai deve essere a trecentosessanta gradi e che abbia come scopo ultimo l’abbattimento del dominio del capitalismo e l'eliminazione della società divisa in classi.

Alberto Madoglio - Pdac

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