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Giorno della memoria

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(27 Gennaio 2012) Enzo Apicella

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Sharon, vita e morte di un falco

(12 Gennaio 2014)

Israele . L'ex premier israeliano, in coma per otto anni, si è spento ieri in ospedale. La vicenda di un militare e uomo politico che per i palestinesi è legato al massacro compiuto nei campi profughi di Beirut. Gli israeliani, Obama, i Clinton e altri leader occidentali lo esaltano come "soldato valoroso" e "uomo di pace" dimenticando i suoi crimini di guerra

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Era la metà degli anni ‘90 quando, con il col­lega Mau­ri­zio Mat­teuzzi, in quei giorni a Geru­sa­lemme, pren­demmo parte a tour in Cisgior­da­nia dav­vero spe­ciale e inquie­tante. A gui­darlo c’era Ariel Sha­ron, il falco della destra israe­liana che una doz­zina di anni prima in Libano era stato accu­sato di aver «lasciato fare» alle mili­zie falan­gi­ste cri­stiane che ave­vano mas­sa­crato circa tre­mila pro­fu­ghi pale­sti­nesi nei campi di Sabra e Sha­tila a Bei­rut. A metà degli anni ‘90 Sha­ron era dipinto dai suoi stessi con­na­zio­nali come un “falco” schie­rato con­tro la “pace di Oslo”, un “estre­mi­sta” nemico dei diritti dei pale­sti­nesi, un acca­nito soste­ni­tore del movi­mento dei coloni e, in defi­ni­tiva, un uomo poli­tico che gli stessi israe­liani, o la mag­gio­ranza di essi, pre­fe­ri­vano tenere ai mar­gini per quel suo tor­bido pas­sato. Fu pro­prio quel tour che invece ci con­fermò che Sha­ron non era «ai mar­gini», non era un alieno tra sin­ceri paci­fi­sti desi­de­rosi solo di arri­vare a uno accordo con i pale­sti­nesi. Al con­tra­rio era uno degli espo­nenti più rap­pre­sen­ta­tivi di Israele e della sua poli­tica, desti­nato a reci­tare un ruolo deci­sivo per anni ancora e a rac­co­gliere tanti con­sensi in casa (che lo por­ta­rono a diven­tare pre­mier nel 2001) e per­sino all’estero. Ieri Sha­ron si è spento all’età di 85 anni, dopo otto anni di coma pro­fondo in seguito all’ictus che lo aveva col­pito il 4 gen­naio del 2006. Non ci sor­prende che da morto sia descritto come un grande sta­ti­sta da alcuni lea­der occi­den­tali. Ariel Sha­ron è stato «uno dei per­so­naggi più impor­tanti nella sto­ria di Israele», ha detto ieri il primo mini­stro bri­tan­nico David Came­ron. «Ariel Sha­ron è stato un eroe per il suo popolo, prima come sol­dato, poi come sta­ti­sta», ha aggiunto il segre­ta­rio gene­rale dell’Onu, Ban ki-moon. «Ha dato la sua vita per Israele» e l’ha dedi­cata «alla ricerca di una pace giu­sta e dure­vole», hanno affer­mato da parte loro l’ex pre­si­dente Usa Bill Clin­ton e l’ex segre­ta­rio di Stato Hil­lary Clin­ton. Parole di elo­gio e stima per­chè nel 2005 Sha­ron ordinò il ritiro di sol­dati e coloni da Gaza. E’ sva­nito ogni rife­ri­mento al respon­sa­bile di cri­mini di guerra, a comin­ciare da quello di Sabra e Sha­tila. Senza dimen­ti­care la pro­vo­ca­to­ria “pas­seg­giata” sulla Spia­nata delle Moschee che inne­scò la Seconda Inti­fada e i sospetti dei pale­sti­nesi di un suo coin­vol­gi­mento nella morte miste­riosa di Yas­ser Ara­fat nel 2004. In Israele è diven­tato quasi un santo. Un gior­nale ha pub­bli­cato non la foto dello Sha­ron infles­si­bile e audace coman­dante mili­tare ma quella dello Sha­ron con­ta­dino sor­ri­dente con al collo un pic­colo agnello. L’uomo di Sabra e Sha­tila è diven­tato Cincinnato.

In quel tour a cavallo tra la «pace di Oslo» e la Seconda Inti­fada, Sha­ron guidò una qua­ran­tina di gior­na­li­sti su e giù per le col­line della Cisgior­da­nia occu­pata, tra le recin­zioni di quelle colo­nie ebrai­che con­tra­rie al diritto inter­na­zio­nale di cui era stato un acca­nito soste­ni­tore, ripe­tendo a più riprese e con tono fermo: «Posso assi­cu­rarvi che nes­sun governo israe­liano rinun­cerà a que­sta por­zione di terra». Aveva ragione. Tutti quei ter­ri­tori che definì «ince­di­bili», rien­trano oggi nelle ampie parti di Cisgior­da­nia pale­sti­nese che il governo Neta­nyahu in carica (ma anche quelli pre­ce­denti) intende annet­tere a Israele. Sha­ron cono­sceva bene il pro­getto «nazio­nale» a lungo ter­mine. Era parte inte­grante dell’establishment, con­di­vi­deva con gli “avver­sari” labu­ri­sti le ambi­zioni stra­te­gi­che di Israele. Sha­ron per tutta la sua vita ha pie­na­mente rap­pre­sen­tato Israele. Più del pre­mio Nobel Shi­mon Peres, ora capo dello stato, chia­mato a dare una voce e un volto ras­si­cu­rante al Paese con le forze armate tra le più potenti al mondo, che ogni anno esporta armi per miliardi di dol­lari, che occupa da oltre 46 anni un altro popolo. Sha­ron non aveva pro­blemi ad accet­tare que­sta realtà, anzi la riven­di­cava. Peres invece l’ha masche­rata con una reto­rica paci­fi­sta che con­vince i governi occi­den­tali ma che non trova riscon­tro nella realtà oggi ben rap­pre­sen­tata dal governo di destra di Benya­min Netanyahu.

Nato il 27 feb­braio 1928 nell’insediamento di Kfar Malal da una fami­glia di ebrei lituani, Ariel Schei­ner­mann (cam­biò poi il cognome in Sha­ron) ini­ziò la mili­tanza nel movi­mento sio­ni­sta già a 10 anni. Da ado­le­scente prese parte ai pro­grammi di pre­pa­ra­zione mili­tare della mili­zia Haga­nah, che poi sarebbe diven­tata Tza­hal, l’esercito di Israele. Capi­tano a 21 anni, evi­den­ziò subito le sue doti di coman­dante abbi­nate a una spic­cata man­canza di scru­poli. Il 14 otto­bre 1953 di quell’anno Sha­ron, al comando di 200 uomini, diede l’ordine di attac­care nel cuore della notte il vil­lag­gio di Qibya in Cisgior­da­nia. Mori­rono 69 pale­sti­nesi, tra i quali donne e bam­bini, 45 case, una scuola e una moschea furono rase al suolo…in alcuni casi con den­tro i civili. I comandi mili­tari dichia­ra­rono di essere stati con­vinti di aver eva­cuato ogni abi­ta­zione prima dell’inizio dei bom­bar­da­menti. Negli anni ’70 Sha­ron, che nel frat­tempo si era gua­da­gnato i nomi­gnoli di “Arik” e “Bull­do­zer”, fu nomi­nato mini­stro dell’Agricoltura diven­tando deter­mi­nante per la costru­zione degli inse­dia­menti colo­nici in Cisgior­da­nia, Gaza e a Geru­sa­lemme Est. Per decenni sarà il punto di rife­ri­mento pri­vi­le­giato dei coloni che poi lo male­di­ranno nel 2005 quando, da pre­mier, ordinò il loro ritiro da Gaza.

Il suo mar­chio però Sha­ron lo ha lasciato da mini­stro della difesa. Nel 1982, deciso a spaz­zare via la resi­stenza pale­sti­nese dal Libano e a por­tare al governo a Bei­rut gli amici falan­gi­sti liba­nesi, rap­pre­sen­tati dalla fami­glia Gemayel, “Arik , Bull­do­zer”, all’inizio di giu­gno fece avan­zare le divi­sioni coraz­zate israe­liane fino alle porte della capi­tale liba­nese. A metà set­tem­bre, dopo la par­tenza da Bei­rut di Yas­ser Ara­fat e dei guer­ri­glieri pale­sti­nesi e l’uccisione in un atten­tato di Bashir Gemayel, dive­nuto pre­si­dente all’ombra dei carri armati israe­liani, i falan­gi­sti fero­ce­mente anti-palestinesi ebbero strada libera per una pre­sunta ope­ra­zione «anti­ter­ro­ri­smo» nei campi di Sabra e Sha­tila. Fu un mas­sa­cro orri­bile, andato avanti per giorni, men­tre i sol­dati israe­liani osser­va­vano e non inter­ve­ni­vano. Sha­ron si difese soste­nendo che non rice­vuto infor­ma­zioni sulle inten­zioni dei falan­gi­sti ma anche il più inge­nuo dei poli­tici sa che non si può man­dare un lupo affa­mato in un ovile. «Arik, Bull­do­zer» non è mai stato por­tato davanti a una corte inter­na­zio­nale, tutti i ten­ta­tivi di pro­ces­sare i respon­sa­bili di quel mas­sa­cro sono fal­liti. Sha­ron fu costretto a dimet­tersi da mini­stro solo per­chè una com­mis­sione di inchie­sta israe­liana di fatto ne ordinò, all’inizio del 1983, la rimo­zione. Sha­ron lasciò ma già ottenne un mini­stero senza por­ta­fo­glio nel bien­nio 1983–1984. Vale ben poco la vita dei pro­fu­ghi palestinesi.

Dopo la pas­seg­giata sulla Spia­nata delle Moschee di Geru­sa­lemme nel set­tem­bre 2000, Sha­ron vinse le ele­zioni e divenne per la prima volta pre­mier. La sua rispo­sta alla Seconda Inti­fada fu duris­sima. Nel 2002 dopo una serie di atten­tati pale­sti­nesi ordinò la rioc­cu­pa­zione delle città auto­nome pale­sti­nesi (cen­ti­naia i morti) e con­finò Ara­fat nella Muqata di Ramal­lah, dove il pre­si­dente pale­sti­nese sarebbe rima­sto fino alla malat­tia miste­riosa che nel novem­bre 2004 lo avrebbe ucciso. Quello stesso anno ci furono ten­ta­tivi per far pro­ces­sare Sha­ron all’Aja presso il Tri­bu­nale per i Cri­mini di Guerra, per i fatti di Sabra e Sha­tila. Ma il prin­ci­pale accu­sa­tore e respon­sa­bile della strage, Elie Hobeika, fu ucciso e da allora quel mas­sa­cro è chiuso in un cas­setto. Sem­pre nel 2002 Sha­ron avviò la costru­zione del Muro nella Cisgior­da­nia pale­sti­nese. Poi tra il 2004 e il 2005 avviene la «svolta mode­rata» che fece di Sha­ron «un eroe della pace» presso i governi occi­den­tali. «Arik» decise di eva­cuare coloni e sol­dati dalla Stri­scia di Gaza. Più che una scelta di pace, si trat­tava di una mossa stra­te­gica. Israele in fondo non aveva mai riven­di­cato Gaza e Sha­ron cre­deva che riti­rando coloni e sol­dati da quel faz­zo­letto di terra avrebbe poi rice­vuto il soste­gno inter­na­zio­nale a un dise­gno volto ad impe­dire la nascita di un vero Stato pale­sti­nese in Cisgior­da­nia. E alle pro­te­ste del suo par­tito, il Likud, reagì fon­dando con Peres un par­tito “cen­tri­sta”. L’ictus del 2006 lo tolse all’improvviso dalla scena. La sua ere­dità poli­tica, pas­sata a Benya­min Neta­nyahu, è sem­pre pre­sente. E lo sarà ancora per molti anni.

Michele Giorgio, il manifesto

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