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L'angoscia dell'anguria

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(24 Luglio 2013) Enzo Apicella

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Al governo nel capitalismo: senza se e senza ma

VI° congresso PRC: critica della Iª mozione (Bertinotti)

(17 Gennaio 2005)

Proviamo a enucleare le parti salienti della prima mozione.

Belle premesse e grandi promesse...

Fin dal titolo ("L'alternativa di società") la prima mozione sembra indicare un orizzonte nobile. Anche nel testo le dichiarazioni roboanti non sono risparmiate: "(...) uscire a sinistra (...) dal fallimento e dall'impotenza strategica del riformismo" (Premessa); "(...) è attuale il tema della trasformazione della società capitalistica", che ripropone "l'alternativa 'socialismo o barbarie'" (tesi 1).

Così pure (in implicita difesa dalla critica "movimentista" di Erre) si ribadisce l'enunciato del V congresso: "(...) situare il baricentro (...) nel conflitto sociale e nei movimenti anziché nelle istituzioni" (tesi 9).

... ma poi arriva Prodi

D'altra parte, come insegnava qualcuno, le "frasi scarlatte" non si pagano a peso e non è quindi il caso di fare economia; anche se un briciolo di coerenza non guasterebbe.

E' possibile parlare di "impotenza strategica del riformismo" e poi proporre "una grande riforma" -fatta peraltro con gli artefici delle controriforme degli anni Novanta?

Si può parlare di "baricentro nei movimenti anziché nelle istituzioni" proprio quando ci si prepara a lasciare i movimenti per entrare con qualche ministro e sottosegretario a Palazzo Chigi?

E che senso ha rilanciare lo slogan "socialismo o barbarie" -utilizzato specialmente da Rosa Luxemburg per sostenere l'opposizione inconciliabile dei comunisti a ogni governo nella società borghese (inclusi governi "di sinistra" come quello che la fece assassinare nel 1918)- proprio quando si vuole sostenere la necessità di una partecipazione del Prc al prossimo governo Prodi, cioè a un governo imperialista, cioè a un governo della "barbarie" capitalista?

No al potere dei lavoratori... Sì al potere della borghesia

La Premessa e le prime dieci tesi costituiscono comunque solo il preludio al tema centrale che si incontra pazientando fino alla tesi 11.

"(...) il governo non è una scelta di valore ma una variabile dipendente della fase. Il governo, cioè, non è l'obiettivo o lo sbocco della politica di alternativa ma può essere un passaggio necessario."

L'asserzione mira a relativizzare l'ingresso al governo, a rassicurare i militanti sul fatto che alla fin fine si tratta solo di un "passaggio necessario" -che preparerà un giorno l'alternativa vera e propria: uno sciroppo maleodorante che però fa bene ai bronchi.

Alcune frasi nelle tesi precedenti, con pochi sapienti tratti di matita definiscono il paesaggio stilizzato in cui verrà calato all'improvviso il governo. Si tratta una manciata di vocaboli che danno per assodata la revisione del marxismo tracciata superficialmente in alcuni dibattiti estivi e nelle note interviste agostane del Segretario.

Alla tesi 6, con l'aria di prendersela con lo stalinismo, si liquida la prospettiva del potere operaio, ridotta al "nucleo duro che ha determinato quell'esito" [lo stalinismo, n.d.r.]. Il riferimento implicito è alla "conquista del potere" per via rivoluzionaria (cioè alla violenta espropriazione degli espropriatori) che è stato posto alle fondamenta dei partiti comunisti del Novecento da quei dirigenti (Lenin, ecc.) dichiarati morti "e non solo fisicamente" nella nota intervista al Manifesto del Segretario.

La prospettiva del potere operaio è già stata rimpiazzata nella tesi 10 da quella della "democrazia": o senza aggettivi o "partecipata". Così quando si arriva alla tesi 11, avendo già rimosso il senso marxista della "alternativa" (l'unico senso possibile: quello di alternativa al potere e alla società borghese) si può facilmente infilare una "necessità di dare vita a una alternativa programmatica di governo", da concordare nella Gad, con Prodi, Amato e Mastella (se quest'ultimo non sarà passato nel frattempo a Berlusconi).

Riformare il capitalismo (irriformabile) insieme ai liberali (controriformatori)

La sedicente "alternativa" di governo con i liberali si baserebbe (tesi 12) su "riforme di rottura col ciclo neoliberista". Cosicché, bastano un paio di giri di frase (potenza della sintassi!) per ritrovarsi insieme a Prodi e alla sua corte di banchieri ad aprire "la strada ad un'innovazione del modello generale di organizzazione della società" (sperando che i banchieri non facciano confusione con... le società per azioni, le uniche di cui tradizionalmente si occupano).

Le coordinate del programma restano -inevitabilmente- abbastanza vaghe: "valorizzazione del lavoro", "redistribuzione del reddito", "diritti individuali e collettivi" e non ci si spinge oltre l'invocazione di "un nuovo intervento pubblico" (che dovrebbe essere operato da Romano Prodi, già artefice delle più grandi privatizzazioni europee degli ultimi vent'anni...).

Le parole al potere

Nella tesi 11, a coronamento di tutto il testo, si trova una frase che sembra quasi voler esorcizzare le inevitabili conseguenze di ciò che si vuole fare. Così -con la stessa utilità di chi facesse un gesto scaramantico prima di buttarsi dal ventiduesimo piano- si assicura che il partito non perderà comunque la "autonomia strategica" dal "governo di cui pure sia possibile far parte". In altre parole, il Prc sosterrà il prossimo governo della grande borghesia italiana e le sue politiche anti-operaie, rinuncerà a un proprio ruolo di opposizione autonoma di classe: ma farà tutto ciò senza perdere la "autonomia strategica". Un'assicurazione confortante.

Che altro aggiungere a proposito di questa mozione? Si tratta di un buon testo, che ha il pregio di essere sintetico e ben scritto. Se le cose di questo mondo fossero governate dalle parole, agli autori andrebbe riconosciuto di diritto il ruolo di governatori del mondo (non solo qualche spelacchiata poltrona tra D'Alema e Treu).


Questo articolo sarà pubblicato nel dossier sul congresso pubblicato del prossimo numero di Progetto Comunista

Francesco Ricci

Fonte

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