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Ricordando Stefano Chiarini

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(6 Febbraio 2007) Enzo Apicella
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A CENTO ANNI DI DISTANZA: I SOCIALISTI E LA PRIMA GUERRA MONDIALE

(17 Gennaio 2014)

giacintomeno

Giacinto Menotti Serrati

E’ passato un secolo dallo scoppio della prima guerra mondiale: un evento che ha segnato un confine nella storia del mondo e non solo dal punto di vista degli equilibri internazionali nel cuore del “Secolo breve”, ma che è risultato decisivo per le vicende del movimento operaio e delle sue grandi organizzazioni politiche.
Si può affermare che dai diversi atteggiamenti tenuti verso la guerra, sono derivate le opzioni che hanno sviluppato la storia del mondo negli anni successivi, quelli dei grandi totalitarismo fino alla scontro della seconda guerra mondiale.
Vale la pena, ancor oggi, soffermarsi su una possibile ricostruzione storica, sia pure molto sommaria, cercando di tracciare alcune linee di interpretazione naturalmente giovandoci della rilettura di “classici” della nostra storia che risultano, ancor oggi, del tutto insuperabili.
Nel momento in cui l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando viene assassinato a Sarajevo, l’Internazionale socialista sembra al culmine della sua influenza e potenza.
I partiti che essa federa non sono mai stati tanto forti: 90.000 iscritti e 1.400.000 voti in Francia (elezioni del 1914), 58.000 iscritti in Italia, 1.425.000 voti alle elezioni tedesche del 1912, nello stesso anno 800.000 voti in Russia sotto un regime semidispotico e 600.000 nel piccolo Belgio; un milione di voti in Austria nell’anno precedente.
Questi progressi istituzionali sono accompagnati, dopo il 1910, nella maggior parte dei Paesi tranne che in Francia, da una recrudescenza di grandi lotte di classe, il cui sviluppo coincide con gli anni di massima prosperità capitalistica.
Forze nuove si affacciano alla ribalta in molti partiti, talvolta anche nell’emigrazione tra intellettuali non sempre legati alle lotte reali, ma anche il nuovo sindacalismo sembra partecipe di questa spinta in avanti.
Per questi motivi il crollo sarà quindi tanto più clamoroso.
Tra la fine di luglio e i primi di agosto del 1914, l’Internazionale deve confessare la sua totale impotenza: la guerra scoppia e l’Internazionale non sa fare altro che indire per il 29 luglio a Bruxelles, un’ultima riunione del Bureau.
Il fatto è che la bandiera della vecchia Internazionale è apparsa, nell’ora della grande tragedia come un simbolo derisorio anche perché i socialisti di quasi tutti i grandi paesi europei, fatta eccezione per la Russia e la Serbia (e più tardi l’Italia) hanno partecipato nella loro enorme maggioranza e in gradi diversi all’union sacrée con le classi dirigenti in nome della “difesa nazionale”.
Il colpo di pistola sparato al Caffè du Croissant la sera del 31 luglio 1914 da uno squilibrato solitario che uccide Jean Jaurès segna l’inizio della catastrofe.
IL 1 Agosto la Germania dichiara guerra alla Russia e il governo francese decreta la mobilitazione generale: il socialismo europeo non è certo responsabile della guerra ma fallisce senza essersi veramente battuto.
Primo atto decisivo: i deputati socialisti votano i crediti di guerra.
La decisione del partito tedesco viene maturata in 3 diverse fasi: il 2 Agosto, durante la riunione dell’esecutivo la direzione esita ancora, ma la destra impone una nuova riunione per il giorno dopo: in quella sede la frazione parlamentare convinta che la SFIO non creerà ostacoli al governo Viviani decide con 78 voti contro quattordici, nonostante la violazione della neutralità del Belgio, di votare i crediti militari.
Questa posizione sarà illustrata al Reichstag il 4 agosto dal presidente del gruppo parlamentare Haase.
In Francia la Camera dei Deputati adotta all’unanimità i progetti di legge presentati dal governo Viviani per organizzare la difesa nazionale e, quindi, i crediti necessari, senza che si svolga un soltanto minimo accenno di dibattito.
In Gran Bretagna la resistenza alla guerra è più forte: si dimette il presidente del gruppo parlamentare laburista Mac Donald e quattro deputati dell’Indipendent Labour Party votano contro: ma la grande maggioranza dei dirigenti delle trade unions, la maggioranza del British Socialist Party e numerosi fabiani (ancorché la società fabiana non prenda ufficialmente posizione) approvano.
Quali le cause di questa clamorosa sconfitta?
Naturalmente nel corso degli anni molte analisi e ricostruzioni sono state sviluppate in sedi molto più importanti e prestigiose di questa: purtuttavia è il caso di porre l’accento su due elementi, il primo la sottovalutazione del pericolo di guerra e il secondo il deficit di analisi teorica sulla natura dell’imperialismo.
Da Hilferding a Rosa Luxemburg le analisi approfondite capaci di porre in evidenza i motivi profondi della nuova aggressività del capitalismo furono elaborate con notevole ritardo e per di più in un ambiente ristretto di intellettuali e specialisti.
Da più parti, e non soltanto nella destra socialista ma anche nella sinistra pacifista, da Kautksy a Bauer, Haase fino allo stesso Jaurès non si regola il passo sulle analisi di Rosa Luxemburg e si ritiene , seguendo, la teoria dell’ultraimperialismo che il capitalismo internazionale avrebbe regolato pacificamente i propri conti.
In Russia il rifiuto della guerra da parte dei dirigenti socialisti è netto, pur con qualche sbavatura all’interno: la Russia è, però, un paese privo di qualsiasi tradizione nazionale democratica.
Il solo gruppo che, riesce comunque a mantenere una chiara posizione rivoluzionaria (Martov e Trotskij su Mysl e Goloi pubblicate a Parigi si collocano comunque su posizioni pacifiste) e unanime a livello di dirigenti è quello bolscevico, che ha saputo forgiarsi nel corso di numerosi conflitti, quando l’intera Internazionale condannava il suo settarismo.
Le “Tesi sulla guerra” redatte da Lenin vengono approvate a metà ottobre dai membri dispersi del Comitato Centrale e il 1 Novembre, Lenin e Zinoviev pienamente consapevoli di agire controcorrente riprendono a Berna la pubblicazione del “Social – democrakt” facendone l’organo di una coerente lotta rivoluzionaria.
Diversa e originale la posizione dei socialisti italiani che, fin dopo la scissione mussoliniana (Ottobre 1914) e con l’Italia ancora neutrale, avevano preso posizione per reagire alla montatura guerrafondaia di nazionalisti, democratici, massoni e riformisti.
Ma, scrive Gaetano Arfè: “ di fatto l’agitazione socialista nonostante l’enfasi del linguaggio è condotta con i metodi classici della pacifica mobilitazione dell’opinione pubblica, assomiglia magari di più a una accesa campagna elettorale che non a una leva di forze rivoluzionarie pronta a una azione energica e decisa”.
Tuttavia nel 1915 questa agitazione continuò nonostante le difficoltà e i rischi.
Così, quando la piazza interventista era ormai vittoriosa con le violente dimostrazioni di piazza e l’occupazione del Parlamento, i dirigenti del PSI si riunirono a Bologna, il 16-19 maggio 1915 per decidere la posizione del partito.
Da quella riunione scaturirà il celebre “né aderire, né sabotare”.
Questo il quadro delle posizioni emerse dalle sparse membra della Seconda Internazionale di fronte al dramma della guerra mondiale.
Gli oppositori della guerra, di diverse correnti pur minoritari, a partire dalla primavera del 1915, iniziarono però a cercare nuovamente un collegamento internazionale.
A questo desiderio, dopo un intenso e anche oscuro lavoro preparatorio svolto ad esempio fra il partito italiano e quello svizzero di cui non è possibile dar conto nel corso di questo lavoro, risponderanno le conferenze di Zimmerwald (5-8 Settembre 1915) e di Kienthal (24-30 Aprile 1916).
L’idea di una conferenza internazionale di tutti i gruppi, di tutte le organizzazioni operaie scelte non in funzione della loro rappresentatività ma in ragione della loro condanna dell’union sacrée e della loro fedeltà ai “vecchi principi” e alle vecchie risoluzioni dell’Internazionale operaia, matura lentamente tra il fallimento dei neutralisti e il relativo successo della conferenza femminile e di quella giovanile.
Essa prende forma tra il maggio e il settembre del 1915 per iniziativa di due militanti, lo svizzero Robert Grimm e il menscevico di sinistra Martov e su di un appello di un partito il PSI.
L’incontro vede riuniti 38 delegati di 11 paesi: sono rappresentati ufficialmente i partiti che si richiamano al marxismo, quello italiano, russo, bulgaro, romeno, polacco e lettone, la Norvegia è rappresentata dall’organizzazione giovanile, l’Olanda e la Svezia da gruppi della sinistra dei rispettivi partiti; significative le presenze tedesche, rappresentanti la sinistra operaia e francesi.
Il Manifesto votato all’unanimità a Zimmerwald non chiama alla rivoluzione, ma punta “a ripristinare la pace tra i popoli sulla base della pace senza annessioni e del diritto dei popoli all’autodeterminazione”, inoltre giudica la guerra come “ un prodotto dell’imperialismo che mette a nudo il carattere reale del capitalismo moderno” (si sente in questo passaggio la mano dei francesi ma soprattutto di Trotskij).
La votazione di Zimmerwald avvenne, come già ricordato, all’unanimità ma le interpretazioni del documento furono diverse e sei delegati l’accettarono come un “appello alla lotta” stilando un’apposita dichiarazione di condanna dell’opportunismo e specificando come fosse assente un’indicazione dei mezzi idonei a combattere la guerra.
I sei delegati erano Lenin, Zinoviev, Radek (delegato di Brema), Hoglund e Nerman (rappresentanti dell’estrema sinistra scandinava) e il delegato lettone Winter.
Era nata la “sinistra di Zimmerwald” che, alla successiva conferenza di Kienthal allargò i propri consensi sino a 19 delegati su 44 con l’adesione dei menscevichi , della maggioranza degli italiani (tra i quali Serrati e Angelica Balabanoff) e di una parte dei tedeschi (fra i quali due delegati spartachisti).
Nel documento finale la classe operaia viene chiamata all’azione di massa per la pace e per le proprie rivendicazioni, fino al “trionfo finale del proletariato”.
L’esito di Kienthal è chiaro: pur nelle difficoltà la prospettiva della rivoluzione è aperta, mentre diviene possibile quella di una rottura organizzativa con la Seconda Internazionale.
Zinoviev ammette, senza farsi illusioni, che si tratta di un “nuovo passo avanti verso la Terza Internazionale”.
Siamo praticamente alla vigilia della rivoluzione russa e della vittoria dei bolscevichi: un’altra piega della storia, improvvisa e violenta che determinò una cesura netta anche rispetto alla fase della quale si è cercato di ricostruire, sia pure sommariamente, i difficili passaggi.
E’ passato un secolo: serve ancora ricordare, riflettere, analizzare. Non è mai tempo e fatica sprecati.

Sono stati consultati per questo lavoro i seguenti testi:
“Storia del Socialismo” (volume secondo) a cura di Jacques Droz. Editori Riuniti 1974
Giorgio Galli “Storia del Socialismo Italiano” Laterza 1980
G.D.H Cole “Storia del pensiero socialista” (terzo volume) Laterza 1968

Franco Astengo

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