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(24 Novembre 2010) Enzo Apicella
Crisi irlandese. La finanza specula sul debito pubblico. La politica chiede sacrifici.

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Ancora 10 anni di disoccupazione

(21 Gennaio 2014)

È la previsione del rapporto «Global Employment Trends 2014» pubblicato ieri dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro che attacca le politiche dell’austerità fiscale. «L'austerità dell'Europa è stata un fallimento: meno occupazione e più debito. Sarà necessario più di un decennio per tornare ai tassi di disoccupazione pre-crisi»

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Le poli­ti­che di auste­rità pra­ti­cate in Europa per rista­bi­lire il pareg­gio di bilan­cio e ridurre il debito pub­blico hanno depresso la domanda aggre­gata, rad­dop­piando la disoc­cu­pa­zione che nel 2007, primo anno della crisi, era al 6,1%, e nel 2015 rag­giun­gerà il 12,7% solo in Ita­lia. Nel 2013 i disoc­cu­pati nel mondo erano 202 milioni, 5 milioni in più del 2012. Nel 2018 aumen­te­ranno di altri 13 milioni. Ad oggi i lavo­ra­tori poveri sono 200 milioni e soprav­vi­vono con meno di due dol­lari al giorno. I più pena­liz­zati saranno i ragazzi tra i 15 e i 24 anni: 74,5 milioni di disoc­cu­pati. Solo In Ita­lia, ad oggi, sono il 41,7% del totale.

Secondo il rap­porto «Glo­bal Employ­ment Trends 2014» dif­fuso ieri dall’Organizzazione inter­na­zio­nale del lavoro (Oil), la crisi finirà quando le poli­ti­che di auste­rità non ver­ranno ritrat­tate, la ripresa sarà «fra­gile» e non pro­durrà un aumento dell’occupazione sta­bile. Sarà cioè una «Jobless reco­very», for­mula ormai nota per descri­vere il feno­meno del pros­simo decen­nio: una ripresa eco­no­mica — più pro­pria­mente finan­zia­ria — che non pro­durrà nuova occu­pa­zione, aumen­tando pre­ca­rietà, inoc­cu­pa­zione, disoc­cu­pa­zione e l’enorme feno­meno dello «scoraggiamento».

L’Italia ha rag­giunto un record anche in que­sto campo: ci sono 3,3 milioni (13,1% della forza lavoro, quasi un punto in più del terzo tri­me­stre 2012) di per­sone dispo­ni­bili a lavo­rare ma che non cer­cano alcun posto di lavoro. Per l’Ilo aumen­te­ranno le dispa­rità tra fasce di età. Quel poco di cre­scita occu­pa­zio­nale che c’è stata tra il 2007 e il 2012 è andata a bene­fi­cio dei lavo­ra­tori più anziani (55–64 anni). Secondo le sue pro­ie­zioni «sarà neces­sa­rio più di un decen­nio prima che i tassi di disoc­cu­pa­zione ritor­nino ai livelli pre-crisi».

Que­ste pre­vi­sioni pos­sono essere spie­gate anche con il rap­porto sulla coe­sione sociale dif­fuso a fine dicem­bre dall’Inps, Istat e dal mini­stero del Lavoro. I più col­piti dalla crisi sono stati i ragazzi tra i 15 e i 24 anni, e i gio­vani adulti fino ai 34 anni. I lavo­ra­tori dipen­denti sotto i 30 anni sono dimi­nuiti dal 18,9% al 15,9%. Nell’ultimo qua­drien­nio i «gio­vani» a tempo inde­ter­mi­nato sono pas­sati dal 16,8% al 14%. La pre­ca­rietà è esplosa. Nel primo seme­stre 2013 il 67% dei rap­porti di lavoro era a tempo determinato.

«Nei paesi in crisi nella peri­fe­ria dell’Eurozona (i cosid­detti “Piigs”: Por­to­gallo, Ita­lia, Irlanda, Gre­cia e Spa­gna) — scrive l’Ilo — le misure di con­so­li­da­mento fiscale hanno avuto effetti nega­tivi diretti sui con­sumi pri­vati in rela­zione al Pil». Que­sta valu­ta­zione è stata con­fer­mata da Ban­ki­ta­lia: dal 2008, la crisi ha bru­ciato 520 miliardi della ric­chezza nazio­nale, bru­ciando 24mila euro di risparmi a fami­glia. Ne è deri­vato il crollo dei con­sumi. Secondo l’Istat, solo nei primi nove mesi del 2013 il potere d’acquisto delle fami­glie con­su­ma­trici è calato dell’1,5%. Negli ultimi due anni avreb­bero «tagliato» 50 miliardi di euro di spesa. In com­penso arri­ve­ranno i ricari delle tariffe di cibo, auto­strade, luce e gas, riscal­da­mento, Impo­sta unica comu­nale (Iuc) e addi­zio­nali Irpef. Secondo Federconsumtori-Adusbef, una stan­gata pari a 1.394 euro a fami­glia nel 2014. Il sala­rio netto men­sile è rima­sto sta­bile a 1304 euro, il valore più basso dal 2008. Infine c’è il debito pub­blico che ha rag­giunto un nuovo record: 2.104 miliardi di euro.

Dati che con­fer­mano la tesi dell’Ilo: il com­bi­nato dispo­sto di poli­ti­che fiscali regres­sive ai danni del lavoro e dei con­sumi, la reces­sione e il taglio di inve­sti­menti pub­blici e pri­vati ha pro­dotto nuova disoc­cu­pa­zione, calo dei con­sumi, inde­bi­ta­mento pri­vato, aumento del debito pub­blico. Si tratta della più chiara con­fu­ta­zione dell’«austerità espan­siva» soste­nuta dal 2009 in Ita­lia dai neo­li­be­ri­sti Alberto Ale­sina e Sil­via Arda­gna. Insieme all’altrettanto cele­bre arti­colo del 2010 «Gro­wth in a Time of Debt» di Car­men Rei­n­hart e Ken­neth Rogoff — con­fu­tato dal capo eco­no­mi­sta dell’Fmi Oli­vier Blan­chard per i suoi gros­so­lani errori — hanno legit­ti­mato le poli­ti­che di auste­rity fiscale.

Al fondo, que­sta è la causa della crisi che viene fatta risa­lire addi­rit­tura al 1976. In Ita­lia i salari sono dimi­nuiti a favore dei pro­fitti di 15 punti, dal 68% al 53%, per un totale di 240 miliardi di euro. A que­sta cifra biso­gna aggiun­gere tutti quelli sot­tratti negli ultimi 8 anni. È il prezzo della «lotta di classe» pra­ti­cata dai ban­chieri e dai governi nell’austerità

Roberto Ciccarelli, il manifesto

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