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Grazie Londra

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(27 Marzo 2011) Enzo Apicella
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Mutualismo e riappropriazione, la nostra lotta di classe

(2 Febbraio 2014)

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Il disco dell'ideologia neoliberista, seppur perde credibilità e consenso, suona sempre lo stesso pezzo e continua senza indugi ad essere lo spartito del capitalismo contemporaneo. L'accumulazione della ricchezza nelle mani dell'1% a danno del resto della popolazione continua ad essere giustificato dalla presunzione che l'egoismo serva a sviluppare la società nel suo complesso. Come? Maggiori profitti generano investimenti; maggiori investimenti si traducono in più occupazione; ne consegue ricchezza per tutti attraverso un aumento dei salari, del reddito, e quindi crescita diffusa. Senza soffermarsi sulle statistiche che da tempo dicono il contrario, la realtà segnala che solo la primissima parte di tale leggenda "anni 80" è effettiva. I profitti continuano ad aumentare, insieme a rendita finanziaria e speculazione, mentre investimenti, occupazione e salari, oltre a peggiorare per quantità e qualità, continuano inesorabilmente a dissolversi.

Negli stabilimenti dell'Electrolux si sta ripetendo qualcosa che è ben presente nel resto d'Italia, così come negli altri paesi d'Europa, dove il costo del lavoro non è adeguato alla "dea competitività". E il ricatto si ripete senza indugi; è stato il caso della Fiat, che senza colpo ferire saluta tutti e va via; di multinazionali quali la Natuzzi e la Bridgestone: se vuoi mantenere il "posto di lavoro" devi adattarti a nuove condizioni salariali, tutte al ribasso, e a nuove condizioni di produttività, tutte al rialzo. Devi sottostare al "lavoro senza diritti e tutele", altrimenti il mercato e la libera concorrenza ci permettono di andare ad investire altrove.

Semplicemente questa si chiama lotta di classe, in cui da una parte riemergono le basi di fondo dei padri fondatori del liberismo e della loro concezione di gestione del lavoro: "inteso come tutte le altre cose che si comprano e si vendono, e la cui quantità può venire aumentata o diminuita, ha il suo prezzo naturale e il suo prezzo di mercato..." (D.Ricardo, 1817).
Adam Smith aggiunge che il criterio di fissazione dei salari deve essere "lasciato alla reale e libera concorrenza di mercato, e non essere mai controllato per legge". Princìpi cardini finalizzati alla rigenerazione e trasformazione del sistema capitalistico nei tempi della crisi.
Dall'altra parte, data questa tendenza consolidata, è inutile tergiversare, ma bisogna iniziare a porsi alcune domane. Ad esempio: come rivoltare questa idea di forza-lavoro "usa e getta" dipendente dall'andamento del mercato globalizzato? E allora tutte quelle forme di conflitto sociale, di solidarietà diffusa, devono servire a non darsi per vinti, a prendere sempre più coscienza che si può ripensare l'esproprio senza indennizzo, come forma per dare una via d'uscita alla lotta per la difesa del posto di lavoro, e contestualmente come avvio di un progressivo rosicchiamento dei "diritti del capitale". Per riappropriarsi collettivamente della ricchezza sociale; per iniziare a reinventarsi il controllo pubblico e sociale di alcuni settori produttivi e di erogazione di servizi prioritari, attraverso una gestione ecologicamente compatibile. E poi rimettere al centro l'idea concreta del blocco-moratoria dei licenziamenti da legarsi alla riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di salario.
Ma ripristinare il "diritto al lavoro" non è sufficiente, bisogna innanzitutto riscoprire il "diritto a scegliere il lavoro", princìpio ormai cancellato dalla precarizzazione e dall'esauturazione del contratto a tempo indeterminato, conquistato proprio per garantire la scelta del lavoro dignitoso ed una continuità del reddito. Proprio un reddito sociale oggi servirebbe come deterrente nei confronti dei ricatti sul posto di lavoro e delle offerte di lavoro precario, a nero, sottopagato e senza diritti contrattuali; un reddito come garanzia di esistenza, come minimo vitale (e non caritatevole) erogato in forma monetaria e in servizi; da affiancare al salario minimo intercategoriale, da adeguarsi automaticamente all'aumento dei prezzi, di cui necessita tutta l'Europa come strumento per bloccare padroni e multinazionali alla ricerca di lavoro senza diritti, sgravi e tutele fiscali.

L'orientamento dei governi, e dei sindacati a loro annessi, rimane quello di mantenere circoscritte le resitenze fabbrica per fabbrica, settore per settore, rimane quella di produrre risultati innocui nell'ambito dell'estensione (temporanea e limitata) degli ammortizzatori sociali, dell'accettazione degli esuberi o della riduzione del salario diretto ed indiretto, con l'obiettivo di ottenere le briciole, consistenti (nel migliore dei casi) nel mantenimento di qualche ramo produttivo ancora sul territorio, per evitare la totale delocalizzazione dell'attività.
Nel frattempo, però, affinché questi propositi non rimangano solo fini a se stessi, o nel migliore dei casi rivendicazioni una tantum o da manifestazione del sabato pomeriggio, hanno bisogno di essere affiancate dalla forza delle pratiche concrete, quelle della riappropriazione ed autogestione, e delle disparate ed eterogenee forme di mutualismo. Dalle esperienze di occupazione a scopo abitativo, che nella quotidianeità producono forme indirette di reddito grazie al non pagamento dell'affitto e delle utenze, alle forme di autorecupero del patrimonio pubblico o privato, anche attraverso l'ottenimento di risorse di denaro proveniente dalla pubblica amministrazione, da strappare allo sperpero dei finanziamenti verso le multinazionali o per il pagamento del debito pubblico illegittimo. Dalle esperienze di riappropriazione di fabbriche da parte dei lavoratori, che attivano consapevolezza, capacità di autorganizzarsi, di ripensare democraticamente i piani produttivi industriali a favore delle esigenze del territorio e della popolazione, alle "sperimentazioni" di autoproduzioni agricole non solo a km0, ma anche a "sfruttamento zero", alle filiere distributive alternative.

E' tutto? No assolutamente! Anzi, c'è bisogno della parte più importante! La scommessa è creare solidarietà, percorsi di comprensione della propria condizione collettiva e non solo individuale per non subire passivamente forme di sfruttamento, discriminazioni, ricatti. Combinare azioni sui luoghi di lavoro, sul territorio, vertenze collettive, (auto)formazione ed autorganizzazione, che vedano nascere nuove reti sindacali orientate al conflitto, in grado di stimolare la partecipazione democratica facendo sempre più a meno della delega. Si tratta di una scommessa per chi ha un'idea rivoluzionaria del presente, per cambiare il mondo, consapevoli che nessun altro lo farà al posto nostro.

Ma noi chi siamo? Questo potremmo iniziare a capirlo dimostrando a noi stessi di essere una soggettività difficilmente comprimibile e normalizzabile in continua definizione e che necessita di una cesura col passato. Ma come farlo? Ecco qui la provocazione! Prima di tutto, non darsi per vinti, e poi riprendere a vivere le esperienze degli scioperi, non più quelli da poche ore e col preavviso, ma irrompendo nei processi di accumulazione della ricchezza; riprendere a picchettare davanti agli snodi nevralgici della produzione e circolazione delle merci. Utilizzare gli spazi occupati e recuperati sia come incursioni nella proprietà privata o pubblica, sia come esempi di aggregazione sociale, solidarietà e autoproduzione di controculture, di forme embrionali della società in cui vorremmo vivere; sempre pronti ad osservare il paesaggio "sociale" che viviamo quotidianamente, dal quale arrivano continuamente delle indicazioni inattese, che spetta a noi cogliere e rendere collettive, per creare eccedenze dentro e fuori il conflitto sociale, che sempre più è pratica di una quotidiana lotta tra classi antagoniste.

Thomas Müntzer - communianet.org

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