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(10 Gennaio 2010) Enzo Apicella
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Impotenza della piccola borghesia

(3 Febbraio 2014)

Nei momenti critici, seppure non rivoluzionari, si muovono anche i sassi. Così per la piccola borghesia, incatenata alle sue micro-proprietà, e che può scivolare in condizioni addirittura al di sotto di quelle del proletariato. Non sono più questi i tempi in cui il regime del grande capitale, col sonnecchiante controllo del suo Stato ladrone e sciupone, le permetteva qualche privilegio e di campare sull’evasione fiscale.

Il cosiddetto “movimento dei forconi”, nel quale vorrebbero intrupparla, ha coinvolto il settore del piccolo commercio al dettaglio, un comparto parcellizzato, a conduzione familiare e che, per la generale crisi economica che contrae le vendite e non potendo competere con la grande distribuzione, è ridotto alla chiusura delle attività. Altri strati intermedi si sono aggiunti, compresi i sopravvissuti ibridi sociali della infinita gamma di lavoratori che dispongono di un piccolo capitale e sono sfruttatori di se stessi, come artigiani, piccoli trasportatori, contadini, tassisti.

Benché il procedere della centralizzazione capitalista li stritoli giorno dopo giorno, la loro protesta non può che rimanere un vano lamento reazionario, sia rispetto alle rivendicazioni, immediate e storiche, della classe operaia, sia dallo stesso punto di vista capitalistico: si trovano a difendere un mondo che non c’è più.

Vista la gravità dell’attuale situazione, i piccoli borghesi sono quindi sospinti verso il sottoproletariato. Lo riprova il loro sprezzante commento verso gli operai in sciopero, accusati di essere degli scansafatiche! E del sottoproletariato assumono le ideuzze ottuse e reazionarie. Gli argomenti uditi nei recenti “presidi” sono una raccolta dei luoghi comuni ed assurdità malamente apprese dai media, che li conducono come pecore ed ostentano le loro simulate “mobilitazioni”, assecondate se non ispirate dalle questure, con sventolio del tricolore e al canto dell’inno nazionale.

Il rimedio starebbe nel governo nazionale che, ripreso a Bruxelles il controllo della Banca centrale, stampi denaro a volontà per far riprendere il ciclo produttivo. La qual cosa, in realtà, è già stata fatta in passato, e lo sarà domani, ma senza risolvere per niente la sottostante crisi di sovrapproduzione. Ed ovviamente altro rimedio sarebbe quello di ridurre i costi e gli sprechi della “politica”.

Un movimento politico, un partito, vitale ed autonomo della piccola borghesia è ormai impossibile ed è inevitabile che ad informarla, inquadrarla e torchiarla sia il partito del grande capitale, sotto veste democratica o fascista: da un Pd al M5S a Casa Pound, facendone delle truppe della controrivoluzione e delle bande bianche-nere-brune. A meno che, domani, rinunciato alla sua sopravvivenza come mezza-classe, si metta a rimorchio di un proletariato all’attacco e si sottometta alla dittatura rivoluzionaria del partito comunista.

Per addivenire a questo capovolgimento del fronte sociale occorre che il proletariato, col suo partito e col suo movimento, si tenga fermo sulle sue sue posizioni, programmatiche ed organizzate, senza in nulla far proprie le illusorie rivendicazioni di semi-classi storicamente sterili.

In queste settimane, al contrario, si sono uniti a mercatari e padroncini falliti, oltre agli immancabili studenti e centri sociali, anche una parte dei salariati del commercio (commessi, cassiere, ecc.), finiti lì per grave smarrimento della loro appartenenza di classe, che si concreta nella presente mancanza di un loro partito e di una loro propria organizzazione sindacale; ma chiedevano aumenti salariali e orari di lavori decenti.

Partito Comunista Internazionale

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