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Fermate il “serpente nero”. I Sioux Lakota dichiarano guerra alla Keystone XL pipeline

(7 Febbraio 2014)

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Il Final Supplemental Environmental Impact Statementfor per la lunghissima Keystone XL pipeline (che attraversando gli Usa da nord a sud dovrebbe trasportare il petrolio delle sabbie bituminose canadesi dell’Alberta fino alle raffinerie del Texas sulla costa del Golfo del Messico) sta sollevando molte perplessità, e ha scatenato quasi 300 vegli di protesta alle quali si sono aggiunte le voci di un gruppo di comunità di nativi americani hanno aggiunto le loro voci a chi si oppone al Keystone XL.

Nella dichiarazione congiunta “No Keystone XL Pipeline Will Cross Lakota Lands”, Honor the Earth, Oglala Sioux Nation, Owe Aku e Protect the Sacred annunciano la loro lotta non violenta all’oleodotto che passerebbe attraverso Montana, South Dakota, e Nebraska, quello che i pellerossa chiamano “Black snake”, serpente nero. I Lakota sono uno di tre gruppi sioux insieme ai Dakota/Santee e ai Yankton- Yanktonay ed è singolare che sioux in algonchino/chippewa fosse un termine dispregiativo traducibile in “meno che serpente”, mentre gli irochesi per i chippewa erano “vipera intera”, ora un serpente ben più grande fa paura ai bellicosi Lakota diventati pacifici. Il Keystone XL non attraverserà direttamente la riserva Lakota, ma passerà a pochi metri dal suo confine e taglierà in due il loro “historic treaty territory”, luoghi sacri e le vie d’acqua principali. La Nazione Lakota si sta preparando da anni a combattere il “serpente nero” ed ha messo in piedi il progetto “Shielding the People” per fermare la pipeline. Anche il Moccasins on the Ground program sta conducendo da due anni corsi di formazione per l’azione nonviolenta diretta nelle le comunità indigene che vivono lungo il percorso dell’oleodotto.

Nel marzo 2012, gruppi di nativi americani della Riserva di Pine Ridge, in South Dakota, hanno bloccato i camion che trasportavano parti della Keystone XL attraverso la loro terra e nell’agosto 2013 pellerossa dei Nez Perce (Nasi Forati) hanno bloccato la Idaho Highway 12 che porta ai giacimenti di sabbie bituminose dell’Alberta, per impedire ai camion di trasportare attrezzature minerarie, alla fine i Nez Perce hanno vinto la battaglia legale per impedire il traffico di camion delle tar sands nelle loro terre.

Ci sono piani per realizzare “campi spirituali” lungo tutto il tracciato del “serpente nero” ed anche i gruppi di nativi americani canadesi si stanno mobilitando per opporsi alla costruzione dell’oleodotto e per impedire un’ulteriore espansione delle miniere a cielo aperto delle sabbie bituminose che stanno devastando le loro terre ed i loro servizi eco-sistemici. Per rispondere al primo ministro liberista ed eco-scettico canadese, Stephen Harper, che vuole incrementare fortemente l’estrazione di combustibili fossili nella Native lands, le First Nation/ Premières nations, come vengono chiamati in Canada i popoli indigeni non inuit, si sono unite nel movimento Idle No More ed hanno organizzato flash mob round dances e blocchi stradali e chiesto al governo di proteggere terra ed acqua.

Ora la dichiarazione congiunta di Honor the Earth, Oglala Sioux Nation, Owe Aku e Protect the Sacred si rivolge direttamente al presidente statunitense Barak Obama: «La Oglala Lakota Nation ha assunto la leadership dicendo” NO” alla Keystone XL Pipeline. Ha fatto ciò che è giusto per la terra, per il suo popolo, dato che, organizzatori di base come Owe Aku e Protect the Sacred hanno invitato i loro leader ad alzarsi in piedi e proteggere le loro terre sacre. E hanno detto: il KXL non deve attraversare loro treaty territory, che si estende oltre i confini della Riserva. I loro cavalli sono pronti. Così come lo sono nostri. Noi siamo con la Nazione Lakota, siamo al loro fianco per proteggere l’acqua sacra, stiamo con loro perché gli stili di vita indigeni basati sulla terra non siano danneggiati da un oleodotto nocivo e tossico. Dobbiamo tutti stare con loro».

La dichiarazione ricorda che il 27 gennaio, il Dipartimento di Stato ha reso pubblica la sua dichiarazione d’impatto ambientale sulla Keystone XL Pipeline e che Obama ha detto che non approverà l’oleodotto se aumenta le emissioni di carbonio, ma denuncia che «Il rapporto è stato redatto in coordinamento con i consulenti che hanno lavorato per TransCanada, l’azienda che cerca di costruire l’oleodotto. Jack Gerard, il capo della American Petroleum Institute, è stato informato da “fonti interne all’amministrazione” sui tempi e il contenuto del rapporto prima della sua uscita ed è stato lieto di dire che non avrà un impatto sull’ambiente».

Ma i Lakota ed i loro alleati non mollano: «Come Native Nations, siamo pronti a proteggere le nostre patrie da questo oleodotto e dobbiamo consolidare il nostro sostegno a organizzazioni come Owe Aku e Protect the Sacred, che sono le organizzazioni sul territorio della Nazione Lakota. Dobbiamo fare pressione su Barack Obama perché riconosca che: 1) La Nazione Lakota – un organismo governativo sovrano – ha unito il suo governo e le sue organizzazioni di base contro la pipeline e gli Stati Uniti devono onorare i diritti del trattato dicendo no alla pipeline. 2) C’è un diretto conflitto di interessi nel rapporto pubblicato dal Dipartimento di Stato: il procedimento si è interrotto ed è necessario un nuovo rapporto che rifletta il vero impatto ambientale. 3) Questo oleodotto, infatti, aumenterà le emissioni di carbonio e provocherà gravi e irreversibili danni ambientali a livello globale. Questo gasdotto potrebbe arrecare un danno ambientale diretto – e mettere a rischio il benessere di tutti coloro che vivono in stretto rapporto con l’Oglala Aquifer. 4) Riconoscendo la nostra responsabilità di proteggere la Madre Terra, i popoli indigeni non permetteranno che questo oleodotto attraversi le nostre aree del Trattato. Noi difenderemo la nostra vita e la nostra Madre Terra, e abbiamo bisogno che Barack Obama faccia lo stesso».

Le organizzazioni pellerossa ricordano le veglie di protesta organizzate in tutti gli Usa da 350.org, Oil Change International, Sierra Club ed altre associazioni, «Dove la notte si accende con la nostra volontà di continuare a combattere» e concludono: «Dobbiamo dimostrare ai media, alle Big Oil ed al Presidente che noi, che i popoli indigeni (soprattutto della Great Sioux Nation), l’intero stato del Nebraska e le decine di migliaia di cittadini americani che hanno firmato per mettere i loro corpi in prima linea, utilizzando la disobbedienza civile non violenta di in ognuno del lower 48 Stati e in Alaska, la First Nations e i loro alleati in Canada, sono mobilitati e senza paura».

greenreport.it

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