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    Yemen, la tregua è già finita

    (8 Febbraio 2014)

    La calma è durata poco. Dopo solo due giorni, i combattimenti sono ricominciati e con essi anche lo scambio di accuse su chi abbia violato gli accordi

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    di Francesca La Bella

    Roma, 8 febbraio 2014, Nena News – Dopo mesi di scontri e di discussioni sul futuro dello Yemen, all’inizio di questa settimana sembrava si fosse raggiunto l’accordo e che la possibilità di pensare ad una pacificazione nazionale stesse finalmente diventando concreta. Attraverso la mediazione del Governatorato di Sanaa si era, infatti, giunti ad un cessate il fuoco tra la tribù sciita zaidi degli Houthi, gli Hashid, famiglia zaidi da sempre regnante nel nord del Paese, e i loro alleati sunniti del partito al Islah. La tregua prevedeva la fine dei combattimenti nella provincia di Amran, poco a nord della capitale, il ritiro dei combattenti di entrambe le fazioni dai territori contesi e la libera circolazione di merci e persone sulle strade del Governatorato.

    La calma è, però, durata poco: dopo solo due giorni, i combattimenti sono ricominciati e con essi anche lo scambio di accuse su chi abbia violato gli accordi. Per quanto possa essere interessante tentare di capire chi si sia mosso per primo in un contesto nel quale, dopo le dichiarazioni in favore dello stato federale da parte del Presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi, tutte le fazioni cercano di ampliare il proprio controllo territoriale, è forse più significativo provare a comprendere perché questo è successo.

    In questo senso esistono problemi relativi al Paese nella sua interezza ed altri relativi a questi gruppi in particolare. A livello nazionale il progetto federalista si scontra con la mancanza di un apparato statale abbastanza forte da avere la capacità di guidare la transizione. In mancanza di esso, la prospettiva di divisione del territorio, più che calmare gli animi, induce i diversi gruppi a tentare di affermare il proprio predominio su un’area il più possibile ampia con conseguenti scontri laddove esistono interessi contrapposti. Allo stesso tempo, esistono delle figure politiche tanto importanti da riuscire ad incidere sulla situazione contingente senza avere cariche di Governo. E’ questo il caso dell’ex presidente Ali ‘Abd Allah Saleh. Accusato da più parti di essere freno al progetto di pacificazione del Paese, in questo caso specifico sembra aver avuto un ruolo significativo nella disgregazione del fronte degli Hashid e nella fine della tregua.

    La famiglia che, negli ultimi decenni, ha guidato gli Hashid è quella degli Al-Ahmar. Una dinastia invisa al vecchio presidente yemenita perché ritenuta responsabile della sollevazione del clan, fino ad allora fedele al Governo, durante i moti che portarono alla deposizione di Saleh. La sconfitta degli Al-Ahmar sul loro territorio e l’esclusione dal tavolo delle trattative con gli Houthi sono segnale della frattura ormai in atto tra la tribù e la famiglia a lungo al suo comando e avvicinano ulteriormente il resto del clan al Governo e a Saleh. Se da un lato gli Hashid escono indeboliti, ma con solide alleanze da questa fase, la marginalizzazione degli Al-Ahmar lascia ampi spazi di azione agli Houthi. Per mantenere il proprio ruolo nella regione e un peso al tavolo delle trattative diventa, così, fondamentale, per entrambe le parti, il controllo reale ed esclusivo del territorio.

    La situazione è, dunque, critica e mentre i droni statunitensi sorvolano i cieli yemeniti, Hadi chiede aiuto ai partner internazionali e la federazione internazionale dei giornalisti denuncia violenze e attacchi che limitano, quando non impediscono, il diritto di informazione, la prospettiva di una pacificazione a seguito delle elezioni di questo febbraio sembra sempre meno reale.

    Nena News

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