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Nel "giardino di casa" degli USA

Nel giardino di casa degli USA

(5 Ottobre 2010) Enzo Apicella
Elezioni presidenziali 2010. Il Brasile si sposta a sinistra.

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(4 Marzo 2014)

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Sappiamo che la maggior parte delle notizie e delle spiegazioni che ci giungono dai media ufficiali sono artefatte, se non integralmente false. Ancor di più i retroscena che ci vengono presentati.
L’Ucraina crea il pericolo di una guerra generalizzata, e se sì, nell’immediato?
Gli Stati Uniti hanno spesso cercato di provocare la Russia, tentando di trascinarla in guerre locali che l’indebolissero (L’Afghanistan al tempo dell’URSS, recentemente la Siria), ma si sono ben guardati dall’attaccarla direttamente, neppure nei periodi di massima debolezza, sotto Gorbaciov o durante la vodkacrazia di Eltsin. Anche in periodi di anarchia interna, l’arsenale atomico russo restava (e resta) un valido deterrente.
Obama sa che Putin – a differenza dei governi italiani – reagisce quando toccano gli interessi nazionali, come si è visto in Siria, anche se non muove un dito per impedire che altri paesi siano messi a ferro e fuoco ( Afghanistan, Iraq, Libia…). Chi lo vede come un baluardo contro l’imperialismo, sogna.
Il lungo lavorio della diplomazia, dei servizi segreti americani e della Nato hanno avuto un terreno facile in Ucraina, facendo leva sui contasti d’interessi tra oligarchi, sia quelli rappresentati da Yanukovich sia quelli difesi dalla Timoshenko. L’estrema fragilità di una classe dirigente corrotta, sia quella al governo, sia quella all’opposizione, i contrasti etnici e le proteste dovute al malcontento popolare per il declinante tenore di vita, hanno reso possibile l’intervento di bande mercenarie naziste, presentate dai media occidentali come combattenti per la libertà.
Gli Stati Uniti, come non si sono lasciati trascinare direttamente nella guerra russo- georgiana del 2008, altrettanto faranno in questa occasione. Non certo per pacifismo – visto che Washington è il massimo pericolo per la pace mondiale - ma per un corretto calcolo dei rapporti di forza. Tra l’altro l’Europa, se ha potuto accettare le sanzioni all’Iran, che le sottraevano notevoli rifornimenti di carburante, non può acconsentire a gravi sanzioni alla Russia, non solo per il veto all’Onu, ma anche e soprattutto perché il progresso della produzione americana di gas di scisti – devastante per l’ambiente, ma economico finché il prezzo è alto – non può certo sostituire la produzione russa, e i paesi europei, Germania in testa, entrerebbero in una crisi senza rimedio.
Tutto questo fa pensare a un accordo di spartizione dell’Ucraina tra USA e Russia, un secondo patto Molotov Ribbentrop, certamente non ufficiale. Si può discutere se questo accordo esiste già, e le due parti occuperanno territori già delimitati, anche se per la platea faranno dichiarazioni estremamente bellicose. Può darsi anche che, al contrario, l’accordo sia in via di definizione e che si vogliano saggiare i rapporti di forza con scontri locali prima dell’armistizio.
Perché parlo di patto Molotov Ribbentrop e non di accordo di Yalta, più in linea con il passato dei rapporti USA - URSS? Perché quella era un patto di lunga durata, e gli USA avevano una tale superiorità economica e una tale possibilità di fare profitti in Europa e in Giappone, che non era il caso di guastare tutto ciò con un’avventura militare contro la Russia.
Oggi l’America sta perdendo terreno sul piano economico, ma conserva un forte vantaggio sul piano militare, che deve far valere prima che altri paesi, in grande sviluppo economico, la raggiungano. Per questo è diventato un paese revisionista, cioè mira a cambiare i confini e le sfere di influenza, proprio come negli anni trenta erano Germania, Giappone e Italia. Può arretrare temporaneamente (Siria), ma poco dopo torna all’attacco. Non può accettare patti di vasto respiro, come Yalta, ma brevi tregue fatte apposta per essere violate poco tempo dopo. Questo potrà portare a una grande guerra, ma non subito. Bisogna utilizzare questo tempo per ridare vita, non a un pacifismo da parata, ma a un radicale antimilitarismo.

Michele Basso

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