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Libia, tensione per una petroliera

(10 Marzo 2014)

Il governo accusa i miliziani di “vendita illegale” di petrolio nel porto di es-Sider. Tripoli alza la voce: “se la nave si muove, la bombarderemo”. Ma i ribelli avvertono: “l’attacco sarà una dichiarazione di guerra”.

libiatensione

dalla redazione

Roma, 10 marzo 2014, Nena News – Ancora caos in Libia. Da due giorni regna un clima di forte tensione nel porto di es-Sider dove il governo accusa i miliziani armati di “vendita non autorizzata” di petrolio.

Sabato la petroliera battente bandiera nordcoreana, Morning Glory, è giunta nel porto di Es-Sider e, stando a quanto ha rivelato il quotidiano locale al-Wasat, avrebbe caricato una quantità di petrolio greggio stimata in 36 milioni di dollari. La “vendita illegale” ha mandato su tutte le furie Tripoli la cui risposta non si è fatta attendere: “Se la petroliera proverà a partire, l’aviazione la bombarderà”.

Ma a mostrare i muscoli sono anche i ribelli. “Se l’attacco avverrà – fanno sapere - sarà una dichiarazione di guerra”. Da sei mesi il gruppo armato protagonista dello stato di allarme di questi giorni blocca i porti principali del Paese. Il leader del gruppo, Ibrahim Jathran, sostiene che queste azioni servano a fare pressioni sul governo centrale affinché combatta la corruzione del paese e fornisca maggiori risorse alle zone orientali “trascurate”da Tripoli.

Nel momento in cui vi scriviamo, la situazione è abbastanza fluida. Il Ministero della Difesa ha dato ordine al Capo di Stato Maggiore, all’Aeronautica e alla Marina di “occuparsi” della petroliera. “L’ordine autorizza l’uso della forza e attribuisce la responsabilità di ogni danno al proprietario della nave” si legge in una nota della Difesa.

“Diverse navi della Marina sono state mobilitate. I movimenti della petroliera sono sotto il nostro controllo e nessuno può muoverla” ha dichiarato il Ministero della Cultura Habib al-Amin. “La petroliera resterà dove è”.

Toni minacciosi anche da parte dei ribelli. In una conferenza stampa, Abd-Rabbo al-Barassi, parlando a nome del gruppo armato che controlla i porti, ha affermato che in Cirenaica [regione orientale del Paese, ndr] “non prestiamo attenzione” alle parole di Tripoli. Barassi ha poi sfidato le autorità libiche affermando che il suo gruppo esporta petrolio “alla luce del giorno” e non lo“ruba”. Come fosse il primo ministro del Paese ha poi aggiunto: “noi vogliamo rassicurare tutti i nostri amici libici che manterremo la nostra promessa di preservare il loro benessere”. Barassi ha sostenuto, infatti, che i proventi del petrolio saranno distribuiti anche alle altre due province, quella meridionale e occidentale. Ma, ha precisato, che la spartizione dei guadagni avverrà secondo la legge del 1958 che conferisce all’Est la fetta maggiore dei profitti perché è la regione più ricca di petrolio.

La tensione che si respira in queste ore ad es-Sider tra istituzioni e gruppi armati non è una novità nella Libia post-Gheddafi. La scorsa settimana miliziani che fanno capo a Juma’a al-Shahm avevano provato ad attaccare la televisione di Stato. E qualche giorno prima numerosi manifestanti avevano fatto irruzione nel Congresso Nazionale Generale (GNC). L’assalto si era concluso con il ferimento per arma da fuoco di due parlamentari. Lo scontro continuo tra governo e miliziani sta minando il processo di transizione verso un sistema democratico e il Paese resta in balia delle fazioni armate che, finanziate anche dagli occidentali, avevano combattuto Gheddafi.

Nonostante il problema sicurezza e la debolezza del suo governo, il premier Zeidan ha ribadito anche ieri la sua intenzione di non dimettersi. “Al momento, le dimissioni sono impossibili. Non per amore del posto, ma perché lo stato attuale del Paese non lo permette”. Ma ha precisato che potesse farlo senza mettere la Libia in pericolo, lo farebbe.

Nena News

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