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Gli USA lasciano Falluja

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(16 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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(3 Febbraio 2005)

Gli irakeni hanno votato coloro i quali scriveranno la costituzione irachena. La quale dovrà essere convalidata da un referendum, al quale seguiranno, chissà, le vere e proprie elezioni politiche.

Questo significa che fino a questa data, prevista per dicembre prossimo, il governo resterà comunque quello di Allawi, e che quindi pare quantomeno improprio parlare di nascita di un nuovo Irak. Questo spiega anche perché l'Onu ed i media dei paesi, che conoscono il senso di queste elezioni, non abbiano insistito troppo sulla loro perfezione formale, e si accingano a certificarle senza grosse tensioni.

Le cifre dei votanti (più o meno il 60% dei registrati, meno del 50% degli aventi diritto) vanno prese con le pinze, vista la situazione di occupazione militare, guerriglia e caos in cui si sono svolte le elezioni costituenti. Quel dato (50-60%) riflette la presenza sciita e curda nel paese, niente più. Da questo punto di vista era scontata. La maggioranza della minoranza sunnita non ha votato, perché tanto avrebbe perso in ogni caso.

Nel dopo-elezioni in Irak non cambia niente, al contrario, ora viene il difficile; che consiste nel verificare se il risultato del voto verrà accettato, quanti saranno veramente i voti, a quale composizione dell'Assemblea Costituente porteranno, e se questa sarà in grado di produrre un testo condiviso. Esattamente per questo motivo, le elezioni irakene sono presto sparite dalle edizioni internazionali, passato l'effetto celebrativo. L'Irak torna sulle prime pagine dei giornali stranieri solo perché si è scoperto che qualcuno ha evaporato qualche miliardo di dollari; qualcuno se ne è accorto, e negli Usa ed in Irak è la notizia del giorno.

Si parla di bustarelle. Considerando che le aziende che operano in Irak sono per gran parte americane, e che il governo lo hanno designato loro, si può ben dire che qualche americano ha rubato qualche miliardo di dollari destinato agli irakeni. Storie che per l'Italia hanno poco fascino, nel Sud del nostro paese sono anni che aspettano l'acqua, nonostante le cifre stanziate fossero sufficienti per mettere tubi d'oro negli acquedotti.

Gli irakeni continueranno a non avere acqua e luce e a far la fila per la benzina, mentre i contractors americani faranno sparire i soldi dei contribuenti americani. La novità è che alcuni irakeni si giocheranno con gli americani la futura costituzione del paese. Un altro anno di trattative e campagna elettorale a base di sangue e bombe, che magari farà crescere nel popolino la voglia di un governo forte, come della tutela americana. Continueranno a non avanzare i lavori pubblici, non c'è alcuna ragione per aspettarsi un miglioramento della sicurezza, o del benessere della popolazione, in particolare a Baghdad e nella zona sunnita la situazione continuerà a peggiorare.

Bush ha già la risposta in tasca, quando dice che se ne andrà se richiesto dagli irakeni lo fa solo per alimentare l'illusione. Il voto di domenica non poteva, neanche per assurdo, formare una maggioranza in grado di chiedere il ritiro americano. La questione non si poneva nella realtà, è stata posta nei paesi alleati solo per segnare sui media un punto a favore, un punto che segnalasse una prova dell'esistenza della famosa democrazia export, portata in Irak con tanta irruenza.

In Irak non ha ancora vinto nessuno, di sicuro ogni giorno perdono gli irakeni, quelli definiti meravigliosi ieri perché andava così; gli stessi che domani torneranno di nuovo invisibili per noi. Questa sconfitta, questa pena degli irakeni è il vero motivo per quale, da sempre, si chiede il ritiro delle truppe d'invasione; per la nostra politica la loro pena non esiste, l'Irak è un'opportunità come un altra, solo un tema sul quale scannarsi.

s.b.

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