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Violenza sulle donne

Violenza sulle donne

(30 Luglio 2013) Enzo Apicella

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Aborto, più obiettori dove la sanità sprofonda

(18 Marzo 2014)

Interruzione di gravidanza. La storia di Rossana Cirillo non è isolata. In alcune regioni si arriva all’88,4% di medici che non praticano l’aborto, negando un diritto. Cinque proposte politiche concrete per affrontare il problema

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«In coscienza non posso», lo dice chi rifiuta ciò che reputa moral­mente inac­cet­ta­bile. L’obiezione di coscienza è pre­vi­sta per gli ope­ra­tori sani­tari nell’art.9 della legge 194 sull’interruzione volon­ta­ria della gra­vi­danza. I gine­co­logi che oggi si avval­gono di tale facoltà sono circa i ¾ dei gine­co­logi ita­liani (69,3%). Il con­si­glio d’Europa ha valu­tato ecces­sivo que­sto dato e ci ha con­dan­nati per aver discri­mi­nato le donne e leso gra­ve­mente i loro diritti.
I medici che si sono dichia­rati obiet­tori, a cin­que anni dall’applicazione della 194, erano il 59,1%, un dato che dopo 30 anni più o meno per­si­ste, e in qual­che caso dimi­nui­sce, ma pre­va­len­te­mente nelle Regioni con un sistema sani­ta­rio com­pleto e svi­lup­pato. Men­tre nelle Regioni dove la sanità è male orga­niz­zata e defi­ci­ta­ria gli obiet­tori cre­scono in misura abnorme fino a toc­care punte dell’88,4 %. E sono le stesse Regioni che non garan­ti­scono i Lea (livelli essen­ziali di assi­stenza), per gran parte com­mis­sa­riate per pro­blemi di bilan­cio, dove i malati regi­strano i più alti tassi di mobi­lità. In 30 anni i gine­co­logi obiet­tori sono cre­sciuti media­mente del 17.3 %, ma se ana­liz­ziamo i dati ci accor­giamo che in alcune Regioni que­sto dato si rad­dop­pia lasciando pen­sare che, a scala nazio­nale, il grosso degli obiet­tori si con­cen­tri pro­prio nelle Regioni più pro­ble­ma­ti­che dal punto di vista sani­ta­rio. E’ plau­si­bile che in mol­tis­simi casi l’obiezione non riguardi la loro coscienza, ma pro­ba­bil­mente la sal­va­guar­dia del ruolo pro­fes­sio­nale in con­te­sti sani­tari ostili. Se ciò fosse vero, come pare, dovremmo inclu­dere tra i com­por­ta­menti difen­sivi degli ope­ra­tori, coloro che obiet­tando con­tro l’ivg: si difen­dono da disfun­zioni, quindi da asses­sori e da diret­tori che non garan­ti­scono le giu­ste con­di­zioni di lavoro.Se ammet­tiamo l’obiezione oppor­tu­ni­stica accanto a quella legata alle con­vin­zioni per­so­nali, il discorso va allar­gato e le respon­sa­bi­lità da tec­ni­che diven­tano poli­ti­che. Que­sto è il senso della testi­mo­nianza dram­ma­tica di Ros­sana Cirillo, una gine­co­loga dalla parte delle donne. Con­tro le sue idea­lità, dopo 25 anni di ivg, è stata costretta per soprav­vi­vere pro­fes­sio­nal­mente a dichia­rarsi obiet­trice (la Repubblica, 15 marzo).
Per­so­nal­mente rispetto e difendo il prin­ci­pio dell’obiezione di coscienza e non avrei nes­suna dif­fi­coltà a ricor­rervi se fossi chia­mato a sce­gliere tra certi obbli­ghi e le mie con­vin­zioni morali. Più volte ho invi­tato pub­bli­ca­mente gli ope­ra­tori della sanità a fare obie­zione di coscienza nei con­fronti di quelle poli­ti­che sani­ta­rie pale­se­mente lesive di deon­to­lo­gie, diritti, com­pe­tenze, pre­ro­ga­tive pro­fes­sio­nali. Nel caso dell’aborto, l’obiezione pone alla sanità pub­blica, il pro­blema di come difen­dere in ogni caso i diritti delle donne. L’art.9 della legge 194, pre­vede che il per­so­nale che intende obiet­tare dichiari for­mal­mente la sua volontà, quindi con­si­dera l’obiezione come un diritto dell’operatore ad avere le pro­prie con­vin­zioni e non già, come prima della moder­nità, un dovere impo­sto da un prin­ci­pio nor­ma­tivo supe­riore. Ma l’art.9 non rinun­cia ad avva­lersi del dovere dal momento che lo ricol­loca a livello di coloro che hanno delle respon­sa­bi­lità gestio­nali, diret­tive o poli­ti­che. La legge è chiara: costoro devono assi­cu­rare l’ivg e «la Regione ne con­trolla e garan­ti­sce l’attuazione…». Per cui men­tre la legge auto­rizza l’obiettore in base alla pro­pria coscienza a non rispet­tare un prin­ci­pio di lega­lità nello stesso tempo sal­va­guarda tale prin­ci­pio, sta­bi­lendo dei doveri, quindi degli obbli­ghi, posti in capo a delle figure responsabili.
Nel caso in cui sus­si­stono forme di obie­zione stru­men­tali, si com­mette un reato. Se poi le obie­zioni stru­men­tali come nel nostro caso, sono tal­mente nume­rose da impe­dire il rispetto dei diritti , il reato diventa di massa per­ché per motivi di oppor­tu­ni­smo, si dan­neg­giano in modo grave cen­ti­naia di migliaia di per­sone. Ma se i motivi stru­men­tali sono cau­sati da coloro che non orga­niz­zano i ser­vizi neces­sari , vio­lando così i loro doveri isti­tu­zio­nali, in que­sto caso gli obiet­tori di fatto non sono i gine­co­logi ma gli asses­sori regio­nali e i diret­tori gene­rali delle asl, senza che nes­suna norma li auto­rizzi ad esserlo. Il pro­blema da tec­nico, limi­tato ai gine­co­logi, come ha fatto inten­dere la mini­stra della sanità e la com­mis­sione affari sociali della camera con la sua riso­lu­zione, diventa poli­tico e come tale andrebbe affrontato.In che modo? Cin­que proposte:
In sanità negare i diritti e non gli spre­chi è immo­rale e ille­gale, quindi reato. Le Regioni che disat­ten­dono l’applicazione della legge 194 vanno denun­ciate e com­mis­sa­riate per­ché i reati vanno per­se­guiti. Nel caso della 194 si tratta di nomi­nare un com­mis­sa­rio straor­di­na­rio ad hoc. La legge 400/88 recita: «Al fine di rea­liz­zare spe­ci­fici obiet­tivi deli­be­rati dal Par­la­mento o dal Con­si­glio dei mini­stri (.….) può pro­ce­dersi alla nomina di com­mis­sari straor­di­nari del Governo».
Le Regioni hanno il dovere di garan­tire con i ser­vizi i diritti san­citi dalle leggi. I ser­vizi devono essere i più ade­guati alle neces­sità degli utenti e con­ce­piti in modo da non depau­pe­rare le pro­fes­sio­na­lità. Per quanto riguarda la legge 194, si tratta di isti­tuire in ogni azienda sani­ta­ria il “dipar­ti­mento per la salute della donna” supe­rando così vec­chie con­ce­zioni Onmi (opera nazio­nale materno infan­tili). I dipar­ti­menti per la salute della donna sono costi­tuiti dai ser­vizi ter­ri­to­riali e da ser­vizi ospe­da­lieri, sono una unica entità ope­ra­tiva, con un unico orga­ni­gramma e gli ope­ra­tori che ne fanno parte ope­rano in regime di mobi­lità interna, ognuno di loro accede in modo pro­gram­mato per quota ora­ria set­ti­ma­nale ai vari sot­to­si­stemi del dipar­ti­mento. Non devono più esi­stere gine­co­logi che fanno solo ivg , o solo con­sul­to­rio, o solo ospe­dale o solo ambulatorio.
Veri­fica di tutti coloro che si sono dichia­rati obiet­tori. L’art.9 della 194 pre­scrive: «L’obiezione di coscienza si intende revo­cata, con effetto, imme­diato, se chi l’ha sol­le­vata prende parte a pro­ce­dure o a inter­venti per l’interruzione della gra­vi­danza pre­vi­sti dalla pre­sente legge..». Non è più tol­le­ra­bile la dop­pia morale di chi obietta nel pub­blico e ese­gue ivg nel privato.
E’ inne­ga­bile che se si ragio­nasse nella logica dei cari­chi di lavoro tra obiet­tori e non obiet­tori vi è ogget­ti­va­mente una dispa­rità pre­sta­zio­nale. Ciò nono­stante non tro­ve­rei giu­sto dif­fe­ren­ziare i trat­ta­menti tra obiet­tori e non obiet­tori discri­mi­nando gli ope­ra­tori per le loro con­vin­zioni per­so­nali. Tro­ve­rei giu­sto però che le loro pre­sta­zioni fos­sero per lo meno equi­li­brate. Come? Appli­cando alla let­tera l’art.9 della legge 194 : «L’obiezione di coscienza eso­nera il per­so­nale(…) a deter­mi­nare l’interruzione della gra­vi­danza, ma non dall’assistenza ante­ce­dente e con­se­guente all’intervento». L’obiettore è tenuto a garan­tire comun­que l’assistenza neces­sa­ria. In ter­mini dipar­ti­men­tali ciò vuol dire qual­cosa che asso­mi­glia ad una com­pen­sa­zione orga­niz­za­tiva, quindi si tratta di impie­gare gli obiet­tori comun­que nei con­sul­tori, negli ambu­la­tori poli­spe­cia­li­stici, nelle scuole, nelle comu­nità par­te­ci­pando a tutte le stra­te­gie dipartimentali.
Infine vor­rei rimar­care con forza, rivol­gen­domi soprat­tutto agli obie­zio­ni­sti che le prime per­sone che vor­reb­bero “obiet­tare” con­tro la neces­sità di abor­tire sono le donne. Non si obietta libe­ra­mente e respon­sa­bil­mente con­tro que­sta neces­sità a volte subita, non voluta, o acci­den­tale, al di fuori di poli­ti­che di infor­ma­zione con­trac­cet­tiva, di edu­ca­zione ses­suale, di coun­se­ling, di cre­scita cul­tu­rale, di edu­ca­zione ses­suale nelle scuole, di lotta alla vio­lenza e alle discri­mi­na­zioni. La grande prio­rità che deve unire obiet­tori e non obiet­tori, resta la pre­ven­zione dell’aborto intesa non come la inten­dono molti obie­zio­ni­sti, che ten­tano di con­vin­cere la donna in cinta a non abor­tire, ma come for­ma­zione alla scelta ses­suale respon­sa­bile, libera e con­sa­pe­vole. Esat­ta­mente come dice la legge.

Ivan Cavicchi, il manifesto

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