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Precari a vita: il Far West di Renzi

(19 Marzo 2014)

precafarwest

Martedì 18 Marzo 2014

Mille euro (attraverso uno sconto fiscale) ai lavoratori dipendenti con un reddito inferiore ai 25.000 Euro annui: questa è la promessa (subito rinviata di un mese, a oggi priva di coperture finanziarie) fatta da Matteo Renzi dopo le prime settimane di governo.

Anche se, in fin dei conti, non è certo questa elemosina a poter incidere sul tenore di vita dei lavoratori italiani, si potrebbe anche pensare che in tempo di crisi, piuttosto che niente, anche 2,73 Euro al giorno possano far comodo per tirare la fine del mese: se si è fortunati, ci si compra un kilo di pane.

Ma è il classico boccone avvelenato, servito perché i lavoratori possano ingoiare più facilmente, senza neppure rendersene conto, i primi provvedimenti sul lavoro annunciati dal governo: il famigerato Jobs Act che comincia a prendere forma. La proposta, contenuta in un comunicato stampa ufficiale, si articola in un pacchetto di misure urgenti e un altro da realizzare nei prossimi mesi.


Contratti a termine e apprendistato

I provvedimenti urgenti riguardano la riforma immediata di contratto a termine e apprendistato: è così urgente liberalizzarli che le modifiche saranno contenute in un decreto legge, dunque in teoria senza neppure passaggi parlamentari preventivi.

Per i contratti a tempo determinato è prevista la sospirata (dalle aziende) liberazione dal fastidioso obbligo di indicare la motivazione del ricorso all’assunzione precaria, per tutti i contratti fino a 36 mesi di durata, con la possibilità di fare fino a otto proroghe o rinnovi nell’arco del triennio. Considerato che la legge stabilisce in 36 mesi il limite massimo (sia pure ampiamente derogabile) di impiego di un medesimo lavoratore con contratti a tempo determinato, il provvedimento significa sostanzialmente l’abolizione completa dell’obbligo della causale: quello che Elsa Fornero aveva solo cominciato (il contratto “acausale” era consentito per il primo anno di lavoro), Renzi ha intenzione di finire. In pratica, un’azienda potrà assumere chiunque, con il solo limite, pure variamente derogabile, del 20% rispetto all’intero organico, prorogando o rinnovando ogni quattro mesi il contratto fino a tre anni complessivi, senza mai dover scrivere il perché, senza mai garantire la prosecuzione del rapporto, e quindi di fatto vincolandola a ogni tipo di ricatto: chi alza la testa può sempre essere sbattuto fuori alla scadenza senza possibilità di impugnare il contratto.

Ancora più radicale, se possibile, è la trasformazione per quanto riguarda l’apprendistato: anche in questo caso infatti si procede a fondo sulla strada intrapresa dalla controriforma Fornero. Da un lato, Renzi intende eliminare ogni controllo sull’effettivo scopo formativo del contratto, abolendo sia l’obbligo di indicare per iscritto il piano formativo che l’obbligo di integrare la formazione interna (di fatto impossibile da verificare in mancanza di un piano scritto preventivo, e comunque soggetta a mera autocertificazione da parte del datore) con quella pubblica. Dall’altro, viene eliminato ogni vincolo all’assunzione di nuovi apprendisti legato alla stabilizzazione di quelli precedentemente assunti. Infine, la retribuzione degli apprendisti viene fissata per legge, per le ore di formazione (sempre quelle che sono impossibili da verificare) al 35% di quella contrattuale ordinaria.

Lo scenario annunciato dal governo dunque è questo: un imprenditore potrà assumere sempre apprendisti limitandosi a dichiarare (senza provarlo per iscritto) che verrà effettuata un’attività formativa; potrà gonfiare il numero di ore di formazione senza che nessuno possa verificare che effettivamente in quelle ore venga svolta una qualsiasi attività formativa in modo da ridurre ulteriormente il costo aziendale, già sgravato dagli oneri contributivi; e infine, alla scadenza dell’(inesistente) “progetto formativo”, potrà serenamente mandar via l’apprendista vecchio e rimpiazzarlo con uno nuovo senza dover rendere conto a nessuno.

Non è esagerato prevedere che le conseguenze per i lavoratori, se queste misure saranno effettivamente attuate, siano destinate a essere drammatiche: di fatto, viene meno qualsiasi certezza di poter pianificare la propria vita per più di tre anni (ma di fatto per più di quattro mesi!), dal momento che per le aziende sarà sempre più conveniente un turn over costante della forza lavoro, sia in regime di apprendistato che in regime di contratto a termine. La concorrenza dei finti apprendisti è destinata ad abbassare ulteriormente il livello generale dei salari, già infimo. Il tutto, senza che venga creato un solo posto di lavoro in più, beninteso.

Colpisce che il segretario della CGIL Susanna Camusso, di fronte a questo disastro, dichiari che “oggi si può cominciare a festeggiare“ (salvo rivedere il giudizio il giorno dopo). Speriamo che questi provvedimenti ad uso e consumo del padronato smorzino sul nascere anche le aperture di credito che il segretario della Fiom, Landini, aveva fatto a Renzi.

A festeggiare sono in effetti gli imprenditori grandi e piccoli, che possono davvero tirar fuori lo champagne. E solo con l’esigenza di dimostrare rapidamente la propria lealtà al padronato, del resto, si spiega anche il motivo per cui questi provvedimenti siano qualificati come “urgenti”, tanto da giustificare l’annunciata emanazione di un decreto legge.


Le deleghe al governo

Per tutte le altri provvedimenti che entreranno a far parte del Jobs Act, spiega il comunicato stampa, si procederà con lo strumento della legge delega al governo – che è poi la modalità con cui a suo tempo venne forgiata la cosiddetta “legge Biagi”. Anche in questo caso, dunque, l’intervento parlamentare sarà ridotto a una serie di indirizzi, mentre la disciplina vera e propria sarà stabilita direttamente dall’esecutivo: già immaginiamo gli strepiti e dei Civati della situazione, prima dell’immancabile Sì.

Qui c’è un po’ di tutto, ma dal fumoso marasma spiccano alcuni “principi” particolarmente inquietanti, specialmente per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali: materia particolarmente delicata, in un futuro assetto in cui la platea di chi ne avrà bisogno è destinata ad aumentare di pari passo con l’aumento della precarietà. Il primissimo punto della lista, infatti, è quello di “rivedere i criteri di concessione ed utilizzo delle integrazioni salariali escludendo i casi di cessazione aziendale“. In un periodo di crisi tutt’altro che prossimo a conclusione, con cessazioni aziendali all’ordine del giorno e scarse possibilità di reimpiego, eliminare la cassa integrazione straordinaria significa gettare sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie.

Per quanto riguarda le forme contrattuali, i principi enunciati riguardano il riordino di quelle esistenti e l’introduzione di ulteriori tipologie “a tutele crescenti”: è il famigerato contratto unico di lavoro, cavallo di battaglia dei vari Ichino e Boeri, già del resto annunciato nella primissima bozza divulgata a gennaio. Se ne riparlerà quando saranno resi noti i dettagli, ma l’obiettivo è chiarissimo, e consiste nella liberalizzazione dei licenziamenti illegittimi, riducendo ulteriormente le sanzioni già indebolite dalla legge Fornero.

Precarietà istituzionalizzata, licenziamenti liberalizzati e totale ricattabilità dei lavoratori: la svolta di Matteo Renzi conduce dritta nel Far West.

La nostra risposta deve essere immediata e all'altezza dell'attacco: organizziamo la mobilitazione e la lotta contro il governo Renzi e il padronato.

Alessandro Villari - FalceMartello

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