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Buona domenica, vera Italia!

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(21 Luglio 2013) Enzo Apicella

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ROSS@ SAVONA: CONVEGNO DI APPROFONDIMENTO “IL GOVERNO RENZI E LA POLITICA ITALIANA . A CHE PUNTO E’ IL SISTEMA POLITICO ITALIANO”.

(22 Marzo 2014)

Sabato 22 Marzo presso la sala dell’Hotel Riviera Suisse, Savona, si è svolto il convegno di approfondimento organizzato da Ross@ Savona sul tema “ Il Governo Renzi e la politica italiana. A che punto è il sistema politico italiano”.
Confortato da una lusinghiera partecipazione il dibattito, presieduto da ANGELO BILLIA, ha registrato gli interventi di VINCENZO FACCIOLO, MI MMO FILIPPI, ELIO PESCIO, BRUNO CARDINO E DELLO STESSO ANGELO BILLIA.
Di seguito pubblichiamo le due relazioni introduttive di ALDO GIANNULI e FRANCO ASTENGO

Aldo Giannuli :I PROBLEMI DI RAPPRESENTANZA POLITICA SI PONGONO ORMAI IN TERMINI DRAMMATICI
L’Italia del dopoguerra può essere definita come una “democrazia fondata sui partiti”. Partiti il cui modello era rappresentato da un compromesso tra il classico modello del partito ad integrazione di massa e il partito di tipo leninista fondato da un gruppo dirigente che s’innervava in un corpo politico di tipo sostanzialmente socialdemocratico.
Un sistema che ha fornito una classe dirigente che, comunque pur tra limiti e contraddizioni, ha fatto funzionare il Paese nella fase della ricostruzione, funzionando anche da straordinario strumento di acculturazione pubblica.
Il sistema così fondato è stato contestato da due parti: da destra dal permanere di una sorta di “cittadinanza impolitica” formata da ceti intermedi che la DC neutralizzava attraverso la distribuzione selettiva delle risorse; da sinistra, a partire dal ’68, attraverso una “critica di sistema” portata avanti da un’intellettualità radicale che non accettava l’integrazione del PCI nel sistema, partendo dall’espressione di una “cittadinanza antifascista” che si era formata nel corso degli anni quale vero e proprio elemento fondativo della sinistra italiana.
L’unico vero tentativo riformatore in quegli anni fu compiuto dal centro-sinistra nel periodo precedente all’ingresso del PSI nel governo con la scuola media unica e la nazionalizzazione dell’energia elettrica.
Il primo grande fattore d’insoddisfazione politica fu però rappresentato dalla crescita dell’oppressione fiscale nel periodo dello sviluppo del welfare italiano.
Emerse così un dissenso trasversale destra/sinistra che ebbe il suo momento di crescita attraverso la cosiddetta “stagione referendaria” e l’ingresso sulla scena della TV commerciale.
Il modello della TV commerciale fu quello dell’azienda privata neo-liberista, assunto dai ceti sociali che ne erano i principali fruitori: casalinghe e pensionati.
Sotto quest’aspetto, attorno agli anni’70-’80, la TV cominciò a sostituire il sistema dei partiti.
Si formò così una “cittadinanza populista –neo liberista” che gradualmente andò a sostituire quella antifascista.
Nel momento dell’esplosione di Tangentopoli i tempi erano così maturi per il passaggio dal pentapartito (ancora organizzato sulla base dei partiti ad integrazione di massa) al “non partito” di Forza Italia, con il voto al “leader” considerato come immagine evocativo/simbolica.
Il grande salto sotto quest’aspetto fu rappresentato dalla riforma elettorale del 1993: un vero e proprio “colpo di stato” riuscito a differenza da quelli tentati negli anni’60 –’70 dal Piano Solo alla Rosa dei Venti.
Salì così al potere la borghesia dell’antipolitica.
Tutto questo è durato in coincidenza con l’epoca del neo-liberismo rampante, con il ceto politico che non solo non è scomparso ma ha approfittato della situazione per far esplodere, a tutti i livelli, i propri privilegi.
La crisi in atto ha fatto esplodere il patto tra i lavoratori autonomi e i partiti dell’antipolitica che aveva retto il Paese nel corso di questi anni.
Ci troviamo così di fronte ad un sistema politico suddiviso stabilmente in tre aree:
a) Il centrosinistra, rappresentato dalla carta stampata e dalla TV pubblica
b) Il centrodestra rappresentato dalla TV commerciale
c) Il movimento 5 Stelle rappresentato dal web.
I partiti nella sostanza sono stati surrogati dai media ed è sparita la rappresentanza politica.
Il sistema politico è ormai formato da tifoserie contrapposte, congelate dall’essere “contro”.
Il movimento 5 Stelle è un pentolone dove dentro c’è di tutto.
PD e Forza Italia appaiono soggetti in crisi perché difettano di risorse da distribuire e non riescono più a produrre cultura politica.
A Sinistra, SeL sembra aver esaurito la sua funzione e il PRC appare il simbolo del fallimento del partito- connubio tra leninismo e socialdemocrazia producendo soltanto, ormai, un apparato di tipo burocratico.
In questo quadro i problemi di rappresentanza si pongono in termini drammatici.
La crisi di sistema appare irreversibile e la corrosione dei presupposti della democrazia appare essere il danno più grave del neo-liberismo.
Occorre dunque ragionare su quale modello organizzativo per ridarci un soggetto politico di sinistra?
Possiamo calcolare che un 35% della vecchia area della sinistra adesso si collochi nell’astensione, un 35% nel Movimento 5 Stelle, il 20% nel Partito Democratico, il 10% nell’area della lista Tsipras.
Occorre dire subito alcuni “no”: “no” al partito del leader, “no” al partito dei funzionari.
Inoltre un partito basato sulla democrazia diretta attraverso il web non può reggere.
E’ necessario ricominciare a zappare la terra dall’inizio e il punto vero è quello del come riuscire a sviluppare cultura politica oggi, prendendo atto dei cambiamenti intervenuti.
Il discorso del potere è completamente cambiato: adesso appare suddiviso tra lobbie, BCE, agenzie di rating.
Fare cultura politica discutendo del cambiamento, pensando soprattutto agli strumenti di comunicazione e di riflessione.
Nel disastro delle organizzazioni a sinistra serve ripartire con processualità: in questo senso Ross@ presenta aspetti di interesse specifico nel cercare di tenere assieme il radicalismo politico e quello sindacale, nell’idea di un’immediatezza di un conflitto provvisto però del bagaglio identificativo di una trasformazione sociale.
E’ necessario però allargare il campo, realizzare scambi tra le tante soggettività sparse in particolare dal punto di vista del Web e dei diversi strumenti di comunicazione che si presentano a quel livello.
Sarebbe utile programmare una serie d’incontri anche temi e, in questo senso, sviluppare quel terreno di ricerca ad approfondimento politico in questo tempo quanto mai necessario.

Franco Astengo: DALL’INDIVIDUALISMO ALLA PERSONALIZZAZIONE. I RISCHI DELL’INVOLUZIONE AUTORITARIA
Lo scenario complessivo dentro il quale deve essere inserito un discorso analitico riguardante la trasformazione del sistema politico italiano a partire dalla “infinita transizione “ degli anni’90 non può che essere delineato principiando da un radicale cambiamento di carattere antropologico che ha percorso, fin dagli anni’80 e anzi principalmente negli anni’80, l’intera società italiana.
Negli anni’80, anni di effimera ripresa economica, di crescita esponenziale del debito pubblico e di liberazione da un recente passato di violenza e crisi (terrorismo, crisi petrolifera), fermenta una società che comincia ad assaggiare il disimpegno e l’individualismo.
Crolla così il ruolo dei partiti politici che avevano guidato la ricostruzione del Paese dalle macerie della guerra: la legittimità dei partiti fino a quel punto era risultata del tutto incontestata.
In Italia, come nel resto d’Europa, il ritorno alla democrazia aveva coinciso con il pluralismo partitico.
Lo scenario cambiò rapidamente nel corso di quegli anni: la società introiettava nuovi habitus culturali, trovandosi a esaltare senza complessi l’affermazione individuale, il successo personale come principale ordinatore della vita di relazione, la proiezione ipertrofica dell’Io.
L’individualismo si manifestava così anche in forme diverse, quelle post-materialiste e libertarie.
L’italiano medio si trovò così in fuga da Stato e Chiesa per cavalcare verso il privato professionale e personale: questo avvenne anche in tutte le periferie più sperdute ma tutte televisivizzate.
All’interno di questo scenario la trasformazione del sistema politico, al riguardo della quale cercherò di approfondire alcuni aspetti.
Entrando dunque nel merito del tema all’ordine del giorno:
Lo sviluppo del processo di trasformazione del sistema politico italiano, iniziato a cavallo degli anni’90 del secolo scorso, non può che essere giudicato negativamente almeno dal punto di vista di chi ritiene di dover star dentro il dettato costituzionale, nello specifico del punto in cui si determina che “la sovranità appartiene al popolo”.
Giusto, quindi, definire l’itinerario fin qui percorso come di trasformazione/involuzione.
Il punto cruciale dell’intera vicenda è stato rappresentato dalle diverse modifiche imposte al sistema elettorale, tenendo conto che è sul sistema elettorale che s’incardina il complesso della vita democratica di un Paese.
La cornice all’interno della quale gli avvenimenti presi in esame sono avvenuti è ovviamente quella della situazione economico-sociale e del peso complessivo del cosiddetto “vincolo esterno”, posto quest’ultimo in specifico riferimento alle vicende riguardanti la costruzione dell’Unione Europea.
Pur tuttavia esiste e resiste, anche in quest’ambito, una specificità di carattere nazionale: ad esempio in Ungheria è al potere un regime fascista, ma l’Unione Europea non intende minimamente – per questo – porne in discussione l’appartenenza alla Comunità.
La crisi evidente della democrazia italiana va quindi assunta in quanto tale come fatto specifico: si tratta di farlo senza alcuna vocazione al provincialismo, ma anzi cercando di inserire il quadro attuale in un contesto ben più ampio anche sotto l’aspetto geopolitico.
La rottura del sistema dei partiti che aveva retto il Paese a partire dalla lotta di Liberazione contro il nazi-fascismo e fino – almeno – alla metà degli anni’80 e che si può considerare quale scaturigine vera dello stato di cose in atto, si realizza, infatti, attorno a 3 spinte concomitanti tutte di natura sovranazionale:
- La ventata neoliberista (assunta in pieno nel nostro Paese fin dal governo Craxi, preciso applicatore dei dettami contenuti nel documento sulla “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975 dalla loggia massonica P2, all’interno della quale – è bene ricordarlo – si ramificavano rapporti importanti con i generali golpisti d Cile e Argentina, paesi nei quali fin dagli anni’70 furono sperimentate le metodologie liberiste dei cosiddetti “Chicago - Boys” poi alla base della”stretta” imposta dai governi Reagan negli USA e Tachter in GB);
- La caduta del muro di Berlino, che diede spunto ad analisi profondamente sbagliate come quelle riguardanti l’immediata apertura di nuovi mercati e foriera, quindi, di una fase di prosperità a livello globale;
- La stipula del trattato di Maastricht, origine dell’accettazione del monetarismo quale base e presupposto per la costruzione europea.
A questi elementi va aggiunto, per non trascurare nulla nell’obiettività dell’analisi, il soffocamento del quadro politico interno derivante dal consociativismo parlamentare (quale risposta a un sistema bloccato dalla “conventio ad excludendum” e dal peso crescente del debito pubblico).
La risposta che venne fornita, a quel punto, può essere così riassunta: sblocco del sistema politico (parola d’ordine sulla base della quale fu sciolto il PCI: punto d’origine della crisi verticale della sinistra italiana), superamento del quadro multipartitico presente nell’epoca del sistema elettorale proporzionale: primo atto di questa strategia, perseguita per via referendaria, fu l’elezione diretta dei Sindaci e successivamente l’adozione di un sistema elettorale misto, maggioritario per il 75%e proporzionale (con liste bloccate) al 25%.
Le conseguenze dirette di queste scelte, sul piano politico, furono rappresentate da un’abnorme crescita di peso della personalizzazione della politica (fenomeno enfatizzato dalla cosiddetta “discesa in campo” di Silvio Berlusconi), il conseguente eccesso di invadenza della comunicazione televisiva, oltre ad un cedimento sul tema dell’antica contraddizione centro/periferia rimescolata in salsa razzista, esprimendo così sudditanza alle logiche portate avanti dalla Lega Nord, nel frattempo sostituitasi nelle preferenze di settori di ceto medio al neo-corporativismo democristiano.
Risultò decisivo, come già accennato, lo smantellamento dei grandi partiti di massa : un fenomeno al riguardo del quale risultò più importante la caduta del muro di Berlino (anche rispetto alla stessa DC, costruita originalmente “a specchio” sull’anticomunismo verbale) della stessa “Tangentopoli”.
Lo scioglimento del PCI, fatto al quale va comunque riservata anche a questo punto un’attenzione particolare, risultò del tutto decisivo, non essendosi realizzato in quel frangente neppure un processo di piena social democratizzazione del partito cui avrebbe potuto affiancarsi una soggettività in grado di riprendere i temi peculiari portati avanti dalla sinistra comunista.
Si procedette, invece, sia sul versante del PDS, sia su quello di Rifondazione Comunista a una compiuta omologazione all’interno del sistema politico delineato dall’impianto personalistico/maggioritario: lo stesse fenomeno investì anche i soggetti usciti dal “cupio dissolvi” della DC.
A distanza di molti anni possono essere individuati due esiti, derivanti – appunto – dallo scioglimento dei grandi partiti di massa:
1) L’arroccamento del sistema all’interno di una negativa concezione dell’autonomia del politico e della personalizzazione;
2) La riduzione della funzione politica complessiva, con la conseguente difficoltà ad affrontare le grandi questioni dell’economia, dell’immigrazione, fino al ritorno del tema della guerra portato, per eccesso di “realismo politico” fino al punto di partecipare ai bombardamenti nei Balcani.
Un segnale importante dell’avvio di una fase di degrado della vita democratica del Paese arrivò dalla diminuzione della partecipazione al voto, in particolare al livello delle autonomie locali, sede nella quale ha continuato a svilupparsi l’intreccio corruzione/personalizzazione/autonomia del politico/esasperazione nell’usufruire dei privilegi/costruzione del concetto di casta.
Il fenomeno della diminuzione della partecipazione al voto risultò del tutto sottovalutato e scambiato, anche dai grandi centri di analisi politica, per un progressivo allineamento ai modelli più avanzati di democrazia occidentale.
Si ravvide, in quell’epoca, una responsabilità collettiva, quella dell’illusione dell’alternanza convergente al centro nell’ottica di una “governabilità” intesa quale fattore esaustivo dell’azione politica: mentre veniva meno la possibilità di presenza per una sinistra d’opposizione, in grado di presentare una vera e propria alternativa di sistema.
Si esauriva così, in breve, la stessa funzione storica esercitata per decenni dai comunisti italiani.
Nella sostanza la fase di transizione avviata, come già ricordato all’inizio degli anni’90, si trasformò in un vero e proprio fenomeno di degenerazione del sistema.
Un fenomeno di degenerazione fondato su 3 elementi portanti:
a) Il decisionismo, impersonificato dalla modifica di ruolo del Presidente della Repubblica;
b) Un vero e proprio “sfarinamento sociale”;
c) Quell’idea di governabilità, già espressa in precedenza, e considerata unico e solo “Bene in sé” dell’azione politica.
Intorno al tema della legge elettorale si è comunque realizzato il vero e proprio “precipitare degli eventi” di questi ultimi tempi: in precedenza la vicenda del cosiddetto “Porcellum” giudicato – caso unico davvero nel quadro delle cosiddette democrazie avanzate –illegittimo dalla Corte Costituzionale, fino al cosiddetto accordo “Berlusconi/Renzi” per una proposta di legge liberticida contenente, per di più, gli stessi profili di incostituzionalità della precedente.
L’intreccio tra questo stato di cose potrebbe anche trovare il suo punto di saldatura nel consegnarsi alla protezione di un “uomo forte”: un pericolo da non sottovalutare.
Tornando alla personalizzazione della politica , sono da registrare il totale smarrimento del PD che attraverso l’infausto meccanismo delle primarie (vero momento di solleticazione negativa del fenomeno personalistico) ha plebiscitato l’homus novus Renzi, oltre al ruolo da lungo tempo esercitato da Berlusconi e quello ricoperto, in tempi più recenti, da Beppe Grillo.
Il pericolo vero è così rappresentato, in tempi di “taglio” e “riduzione” della risposta politica alla domanda sociale in forma autoritaria.
Questo contesto ha prodotto gli ultimi avvenimenti che sempre più sembrano allontanare le dinamiche del quadro politico italiano dal dettato Costituzionale.
Siamo alla vigilia di una stretta grave sul piano dell’agibilità democratica
Un sistema politico sfibrato, da anni in crisi e rivelatosi del tutto incapace di generare soggetti in grado di affrontare le contraddizioni reali della modernità, ha generato alla fine un governo di stampo “giovanilistico – arditesco” che si propone di vivere effettuando delle “sortite” dalla fortezza isolata al centro di quel vero e proprio “Deserto dei Tartari” che appare essere oggi proprio sistema politico italiano.
Prima di tutto c’è da considerare che il governo nasce dalla confluenza di due minoranze: una prepotente e arrogante sorta all’interno del PD come maggioranza grazie all’artifizio (pericoloso) delle primarie e l’altra frutto di una scissione di palazzo di quel ramo avventurista – populista della destra italiana che aveva governato, a diverse riprese, negli ultimi vent’anni segnando profondamente la trasformazione del concetto stesso di “politica” presso le cittadine i cittadini.
La fase conclusiva, fin qui, di questa crisi perenne del sistema è stata contrassegnata dall’acuirsi dei meccanismi di personalismo e presidenzialismo portati avanti da loro rispettivo canto da Berlusconi e Napolitano, i veri interpreti della degenerazione della nostra democrazia: accompagnati entrambi dai cori plaudenti dell’informazione di massa e non contrastati da alcuna opposizione di sistema, salvo – nelle fasi più immediatamente vicine a noi – da un omologo populista – personalista capace, comunque, di creare un soggetto politico a metà tra il web e il dialogo diretto tra il “Capo e le masse”.
Il governo Renzi tenterà, allora, di vivere eseguendo delle “sortite”(come hanno dimostrato sia i recenti annunci in materia di politica del lavoro e fiscale e dall’altro lato le slide della spending rewiew di Cottarelli) prima di tutto cercando di attaccare e distruggere ciò che rimane dei corpi intermedi necessari tra la società e la politica e delle istituzioni rappresentative: già circolano voci relative alla “inutilità del Parlamento” e inneggianti all’idea di una sorta di democrazia diretta fondata su un municipalismo “recitante” nel piccolo lo stesso meccanismo che vedremo all’opera nel governo centrale: un “Capo” decisionista rivolto direttamente al popolo.
Non sono escluse “sortite” anche sul terreno ultra delicato- delle relazioni europee: ma il piatto forte sarà quello dell’apparente distruzione della “casta” allo scopo di crearne un’altra ridotta a “cerchio magico”, isolata dal contesto sociale, capace di dispensare – al di fuori dal processo democratico – favori e punizioni.
Si prepara, dunque, una grave crisi democratica: probabilmente in tempi non immediati, ma certamente il nodo della democrazia rappresentativa e del concerto delle idee fuori dal “pensiero unico” verrà al pettine
“E’ più facile trovare frati con la tonaca dello stesso colore piuttosto che le buone ragioni” (Blaise Pascal.)
Come abbiamo già avuto occasione di argomentare corrono tempi grami per la ragione e per la democrazia: torme di frati cambiano la tonaca indossando quella del colore del nuovo “Principe Fiorentino”, l’uomo dal labbro d’oro e dalla pubblicità facile, andando a ingrossare le fila dei questuanti nella distribuzione di quelli che i manuali di scienza politica definiscono “incentivi selettivi”.
Intanto le buone ragioni neglette sono state gettate in un canto: le buone ragioni della politica fondata sulle idee derivanti dalle contraddizioni sociali, sviluppata in collettivo, al di fuori dal personalismo e dall’individualismo esasperato.
L’Europa impone il “fiscal compact” e l’obbligatorietà in Costituzione del pareggio di bilancio ma nulla quaestio circa una legge elettorale che potrebbe essere adottata da uno dei più importanti Paesi membri come l’Italia.
Una legge elettorale che ben si può giudicare come liberticida:, non ci saranno eletti ma ancora una volta nominati, una minoranza potrà disporre della maggioranza assoluta, i rappresentanti di potenziali milioni e milioni di elettrici ed elettori non avranno accesso in Parlamento.
Lo svuotamento di senso delle elezioni, la suddivisione feudale del potere, lo spettacolo dell’annuncio televisivo di provvedimenti dei quali s’ignora colpevolmente la sorte appaiono essere i tre pilastri della nuova identità della patria italica, nel contesto maligno dell’Unione Europea delle banche e dell’alta finanza.
Contro tutto ciò non si leva una voce coerente di opposizione: chi dovrebbe portarla avanti in scienza e coscienza si limita a inalberare cartelli nell’emiciclo di Montecitorio.
Il resto del quadro parlamentare sostanzialmente si allinea con qualche voto contro per esigenze di bottega, senza mai però accennare a un minimo di mobilitazione politica che non sia quello della raccolta di firme per partecipare, in forma nascosta rispetto alla propria identità, all’ennesima kermesse elettorale.
Intanto il “Sistema” procede a grandi passi nella sua opera di cancellazione della rappresentanza e di soffocamento della democrazia e da “sistema delle larghe intese” passa a personalizzarsi in “Sistema Renzi”, mandato avanti nella logica di un decisionismo di periferia, mentre i profittatori di un gigantesco conflitto d’interessi sogghignano soddisfatti.
Dobbiamo ritrovare subito le “buone ragioni” dell’opposizione: un’opposizione di sistema, contrapposta al liberismo dilagante e promotrice di una vera cultura della radicale trasformazione del sistema e un’opposizione democratica che dovrebbe essere provvista, riassumendo con due parole dello ”spirito repubblicano”.
Resterà tagliato fuori, irrimediabilmente, chi pensa in questa fase a una “sinistra di governo” e a un “nuovo centrosinistra”: formule che non esistono più nella realtà.
Le “buone ragioni” dell’opposizione: è questo il solo orizzonte possibile perché una sinistra coerente con i propri principi “storici” di fondo e con una prospettiva rivoluzionaria ritrovi volontà e forza per tornare a essere protagonista sulla scena politica italiana organizzando, prima di tutto, una vera e propria Resistenza.

Redazione Perchè La Sinistra

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