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Un bel di' vedremo

Un bel di' vedremo

(16 Dicembre 2010) Enzo Apicella
In tutta l'Europa cresce la protesta contro il capitalismo della crisi

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(Lotte operaie nella crisi)

Dietro CRISI e DISOCCUPAZIONE si prospetta il superamento rivoluzionario del capitalismo

(2 Aprile 2014)

La crisi del capitale è dovuta alla sovrapproduzione di merci. I borghesi, e i loro innumerevoli ruffiani di corte, si stupiscono di come questo meraviglioso sistema di produzione possa produrre simili anomalie. La disoccupazione dilaga e nessuno di loro, ovviamente, ha una soluzione.

Alla disoccupazione capitalista non esiste rimedio capitalista. Le risposte date ai lavoratori, episodiche, inconcludenti, prive di senso, non affrontano le cause reali del problema e si riducono ad un offensivo rivoltante piagnisteo. La borghesia non sa rispondere e nemmeno lo vuole. Deve confondere i lavoratori sulla natura di questa crisi che impone loro i sacrifici maggiori. La peggiore fra le litanie di giornali e Tv è quella che imputa la crisi alla cattiva amministrazione aziendale, o alla malvagità personale di qualche padrone senza scrupoli.

Noi comunisti rivoluzionari sosteniamo da sempre che il capitalismo non può né evitare queste sue periodiche tormente né tantomeno controllarne gli effetti sociali. Quello che può fare, e lo fa con grande maestria, è scaricarne gli effetti, per quanto possibile, sulle spalle dei lavoratori.

Il proletariato internazionale dovrà fare sua questa ineluttabile verità: la crisi, e quindi tutte le sue conseguenze, è dovuta non alle menzogne propagandate, ma al troppo ed inutile lavoro di ieri. A costringere milioni di salariati oggi a sottostare a questo stato di inerzia lavorativa è l’enorme, inutile e insensata produzione di merci, il paradossale meccanismo che spiega come fino a ieri i padroni richiedevano sacrifici, turni massacranti e straordinari per produrre di più ed oggi, quando va bene, impongono la cassa integrazione.

La parola della borghesia, avallata dai complici sindacati di regime e da tutti i partiti di destra e di sinistra, è sempre stata ed è: ripresa produttiva! Illusoria direttiva. Se, infatti, il problema è il capitalismo, quale la soluzione? Più capitalismo, dicono loro. Qui la chiave di volta della questione: questo sistema economico non ha via di scampo, non esistono passaggi segreti, nessuna via di fuga è consentita, è obbligato a percorrere la sua strada.

Lo dimostra il divenire storico nell’ultimo mezzo secolo delle nazioni in oriente, piccole e grandissime, le quali, nonostante le difformità iniziali, e anche la menzognera veste “comunista” che gli è stata imposta, non hanno manifestato “nuovi modelli di sviluppo” ma seguito alla lettera la tormentata e catastrofica via “occidentale” al capitalismo, esattamente come la descrisse Marx. Non esistono “percorsi alternativi”.

Oggi il dogma dei sindacati di regime, a livello mondiale veri agenti della borghesia in seno alla classe operaia, è sempre lo stesso: solo se crescono i profitti, e dopo di questo, è possibile richiedere un parziale adeguamento dei salari. Pertanto, in periodi di recessione i lavoratori dovrebbero passivamente acconsentire che i salari si riducano.

Ove, contro il capitalismo in crisi che taglia i posti mentre aumenta i carichi per chi è rimasto, gli operai tendano ad opporsi ai licenziamenti o, portandosi su un terreno di classe, richiedano un adeguamento delle paghe, ecco pronti i sindacati di regime a svolgere il loro compito: non turbare la pace sociale, che poi è pace per i borghesi, miseria guerra e super sfruttamento per i proletari. Anni di opportunismo sindacale hanno diffuso la pretesa che un’eventuale richiesta di adeguamento del salario risulterebbe in un danno per i lavoratori disoccupati, come se il monte salari fosse una quantità fissa e non entro certi limiti modificabile per mezzo della lotta operaia.

La impostazione sindacale del partito, anche se si sente vicino a chi lotta contro il licenziamento, considera insufficiente la parola d’ordine “difesa del posto di lavoro”, che confina l’orizzonte proletario all’interno della singola azienda. Il capitalismo mondiale in crisi non può non far crescere il numero dei senza lavoro. Anche dal punto di vista prettamente borghese sarebbe più razionale pagare direttamente un salario ai disoccupati che tenere in piedi una serie di attività totalmente improduttive.

È dalla rivendicazione di salario ai lavoratori disoccupati che probabilmente ripartirà il futuro sindacato di classe, portandola in antitesi agli interessi dei borghesi. Solo allora inizierà il riscatto proletario contro gli opportunisti sindacali e politici di ogni colore che sacrificano le vite di milioni di lavoratori in nome del profitto dei borghesi.

Per contro, la panacea di tutti i mali dei capitalisti, o quasi, è una: la guerra. La ripresa dei profitti infatti potrà esser raggiunta solo attraverso un terzo macello mondiale. Sarebbe una ripetizione della seconda guerra, con i suoi 55 milioni di morti, la quale, non solo ha permesso una ripresa produttiva in tutti i paesi, sia vinti sia vincitori, ottenuta con il bestiale sfruttamento della classe lavoratrice, ma ha anche in pochi anni abbattuto l’enorme disoccupazione del periodo pre-bellico, dovuta alla crisi economica che anche allora colpiva tutti i fronti borghesi in lotta.

Se il corso storico del Capitale è tragicamente segnato, anche per i lavoratori di tutti i paesi non esistono altre strade, se non quella che li porterà a lottare per il loro vero fine, una futura società non più basata sullo sfruttamento del lavoro salariato, non più divisa in classi sociali, il Comunismo. Allora la produzione non sarà, come è oggi, un processo incontrollabile, ma centralmente regolata per il progresso umano. Una società senza classi, che ordinerà e ripartirà la produzione e la distribuzione dei beni senza i feticci ossessivi del Costo, del Valore, del Profitto, oggi venerati Dèi sanguinari, usando finalmente in modo cosciente tutte le conquiste e le scoperte nei secoli acquisite. La società dell’uomo non del capitale.

Lo stato oggettivo – tecnico, economico e sociale – del capitalismo è oggi così pletorico, perfetto diremmo, nella sua diffusione planetaria e pervasività in ogni fessura della economia, in tutti i settori produttivi e della vita e della psicologia quotidiana, che chi vuol vedere non può non riconoscere che già appieno ha generato al suo interno il comunismo, in ogni sua parte formato e vitale. Tutto è ormai pronto e predisposto per la forma comunista di vita associata.

Ne trattiene, a forza, la nascita, il suo dispiegarsi, solo il fatto storico della controrivoluzione. Un aspetto di questa sarà la guerra guerreggiata fra gli imperialismi, che non è già molto distante. Un altro, che la rivoluzione appaia decisamente lontana, almeno nei cuori e nelle menti dei lavoratori, che hanno smarrito quella coscienza di classe acquisita in secolari lotte e battaglie. La lunga controrivoluzione ha determinato il prevalere dei partiti opportunisti e dei sindacati borghesi, che diffondono nella classe la sfiducia nella propria forza. È la controrivoluzione che fa apparire ai più l’organizzazione, la rivolta, la mobilitazione operaia inutile se non addirittura utopica e impossibile.

La controrivoluzione si è generata dalla sconfitta della rivoluzione nella guerra civile nel primo quarto del secolo scorso e si è potuta alimentare e mantenere da allora solo grazie al ciclo positivo di espansione dell’economia capitalistica e della sua diffusione mondiale ai paesi già colonizzati e a quelli ancora arretrati. La crisi economica è quindi la prima premessa per la inversione del ciclo della storia politica del mondo.

La classe lavoratrice, a differenza degli strati piccolo borghesi, contadini ed artigiani, è una classe internazionale, come il capitale che la opprime, ed ugualmente universali sono sia le causa delle sue sofferenze sia le sue ambizioni e destini, rimedio a quelle, che consistono nel suo programma di emancipazione comunista.

Quindi il movimento dei lavoratori sarà costretto a contrapporsi ai partiti e ai sindacati collaborazionisti, che li racchiudono nella gabbie aziendali e nazionali, e dovrà seguire le indicazioni del partito comunista rivoluzionario, che li schiererà in guerra al padrone, ai padroni, allo Stato. Non più difesa della fabbrica e sostegno dell’economia nazionale, e in un tragico domani, difesa in guerra della patria nazione, ma disfattismo di classe su tutti i piani e su tutti i fronti. Tramite il suo partito riconoscerà il comune fine di tutti i salariati del mondo a prescindere da nazionalità, razza, religione.

Tale movimento, indispensabile oggi per difendere i licenziati abbandonati a loro stessi, lo sarà domani ponendosi contro entrambi i fronti borghesi in guerra, nella convinzione che il nemico non è il proletario con una diversa uniforme ma la borghesia nazionale.

È grazie al filo rosso che ci lega al partito storico, alla rivoluzione comunista, alla nostra classe, che oggi con fermezza e decisione ribadiamo le parole d’ordine proletarie in difesa di occupati e di licenziati.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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