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Recensione a "Dove sono i nostri. Lavoro, classe e movimenti nell'Italia della crisi"

(24 Aprile 2014)

dovesoino

Clash City Workers
Dove sono i nostri. Lavoro, classe e movimenti nell'Italia della crisi
ed. La Casa Usher, Lucca, 2014
€10,00

Numeri. Assoluti ed in percentuale. E poi grafici. Istogrammi. E le "torte". In bianco e nero.

Sono la prima cosa che lo sguardo coglie al solo sfogliare questo volume di 200 pagine circa. Beh, di questi tempi è una caratteristica sorprendente che, sì, colpisce. Setacciate le fonti Istat (classificazione Ateco delle attività economiche appunto), fonti INPS, ministeriali, Eurostat, OCSE, ABI, sindacali... Riprese fonti classiche: insostituibile Marx soprattutto. E un pizzico di Debord. Per costruire un duplice telaio.

Quello tematico: ri-trovare oggi nella materialità dei numeri e nella loro interpretazione i nostri: il proletariato, gli sfruttati, i non-possessori dei mezzi di produzione, la classe, i subordinati, i dipendenti salariati, le trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro.

Quello politico: smontare alcuni miti costruiti negli ultimi 20 anni (deindustrializzazione, scomparsa della classe, fine del proletariato, era della moltitudine, del precariato cognitivo, delle lotte madri di tutte le altre, delle disobbedienze di turno) per riposizionarsi nell'unica centralità che conta (quella proletaria), e ri-costruire sulla base della materialità dei dati una precisa prassi di lotta: "supportare la resistenza" vertenziale, "ma preparare l'offensiva" politica.

Sullo studio di questa impressionante mole di dati si fonda dunque questa presa di posizione netta che caratterizza l'attività di ricerca e di lotta del collettivo Clash City Workers, al momento attivo - si apprende dalla quarta di copertina - a Napoli, Roma, Firenze, Padova.

Dati pubblici, già disponibili ed usati anche in maniera superficiale in precedenza. Ma qui diventano dati economicamente intellegibili, politicamente significativi per un uso collettivo anticapitalista. Non si può dunque che salutare con piacere questo ritorno ad un'analisi strutturale classica.

Ma, per ogni settore lavorativo, dopo aver dato conto della sua materialità, il collettivo CCW prova a dare anche indicazioni di intervento, senza nascondersi difficoltà e con opportuna prudenza. Con un obiettivo che però attraversa la lotta sindacale e che è quello di acquisire la "coscienza di sé, la coscienza di classe" (pag.197). Ma come?

Vediamo. Nel capitolo finale, gli autori - senza presumere di inventare nulla di nuovo - si preoccupano di dare delle opportune indicazioni pratiche che qui scorriamo velocemente. La prima è "ricostruire la filiera [di un settore produttivo] agendo su ogni punto per creare l'alleanza più vasta possibile fra i lavoratori coinvolti nella produzione estesa" (pag.180). Ma farlo anche ad un livello internazionale, creando network internazionali di filiera. Agire sulle contraddizioni della questione femminile e degli immigrati (pag.183-186). Saper collocare la questione meridionale nella questione sociale nazionale e viceversa (pag.186-190). Lotta al neocorporativismo (pag.190-197). Qui un'analisi non ideologica del ruolo del sindacalismo confederale dal 1992 in poi. "Evitare un errore che è stato fatto e rifatto dalla sinistra negli ultimi venti anni. Quello di pensare che ci siano scorciatoie che ci permettano di rappresentare la classe, attraverso parole d'ordine o cartelli elettorali" (pag.197)

A pag. 198, gli autori sembrano dichiarare a quale livello intendono fissare il loro compito: "(...) ogni forma sindacale (dall'autorganizzazione dei lavoratori, al sindacato di base, fino a quello confederale e autonomo) può e deve essere impiegata per entrare in contatto con quanti più lavoratori è possibile". E fin qui siamo nella prima parte dell'indicazione strategico-tattica "supportare la resistenza, ma preparare l'offensiva" (pag. 200).
Per preparare l'offensiva politica occorre che ogni opzione, ogni formula, ogni pratica va valutata in base alla "definizione quanto più chiara possibile dell'interesse proletario" (pag. 200). "Parliamo dei rapporti di produzione!" (pag. 200). "Siamo per il massimo sviluppo delle forze produttive, per l'organizzazione del lavoro e per le innovazioni tecnologiche che liberano il tempo e alleggeriscono il lavoro, per l'utilizzo a nostro vantaggio di tutto ciò che il capitale unisce" (pag. 200). "(...) accumulare le forze ... prendendoci le case, le merci, i trasporti, il denaro e tutto ciò che abbiamo prodotto e di cui la borghesia si è appropriata" (pag. 200). Infine "(...) lavorare tutti, lavorare meno e a salari più alti" (pag. 202) è la rivendicazione che deriva dal fatto che "l'indice più chiaro per misurare i rapporti di forza tra le classi è la quota di plusvalore che viene estratto dal proletariato (...)" (pag. 201-202).

Non è esattamente il linguaggio che si era soliti ascoltare negli ambienti di movimento fino a pochi anni fa. Rimane però non esplicitata fino in fondo qual è la funzione politica a cui gli autori pensano.

Se il contatto con la classe può e deve avvenire per via vertenziale/rivendicativa nonché organizzata sindacalmente, vi è una sola strada: far parte di quella filiera produttiva in quanto lavoratore o lavoratrice ed organizzare il conflitto insieme agli/alle altri/e, contribuendo a far crescere la coscienza di classe nella lotta sul posto di lavoro. Oppure incontrare i/le lavoratori/lavoratrici nel territorio sulla faglia di altre contraddizioni sociali costruendo organismi di base con cui sollevare vertenzialità e conflitto (abitare, servizi, ambiente...) e di cui si è membri naturali, perché residenti nel medesimo quartiere o nel medesimo territorio.

Nella prassi del "dualismo organizzativo" di cultura comunista-anarchica, la funzione espressa dall'organizzazione politica è del tutto dialettica e dinamica rispetto all'organizzazione di massa (sindacato, comitato di lotta, di quartiere, ecc.); i militanti dell'organizzazione politica sono parte della classe, in cui vi svolgono un ruolo interno di orientamento delle idee e non di direzione esterna. Stare col proletariato vuol dire porsi inizialmente al livello di coscienza di classe che esso esprime in un dato momento storico. Partecipare con tutti/e alla crescita della coscienza di sé e della coscienza del proprio ruolo come classe.

Le esperienze storico-politiche sostitutive della classe (quella leninista in generale) oppure quale organo della classe (quelle bordighiste in generale) hanno - su questo versante - dimostrato ampiamente i loro limiti ed errori, alimentando un processo di cessione di coscienza di sé e di titolarità decisionale alle strutture esterne del partito. Con conseguente deleteri meccanismi di delega, di deresponsabilizzazione, di inutilità degli organismi di base.

Oggi quel poco che si muove sul piano delle lotte sociali e proletarie "del grigio lavoro quotidiano" (pag.197), cerca di farlo su basi completamente diverse: lo fa su basi di prassi libertaria.

Ma questo gli autori di questo straordinario contributo all'analisi ed alle sorti della lotta di classe lo sanno benissimo.

Donato Romito - Fdca

Fonte

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