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Un congresso straordinario nei fatti

Contributo alla Tribuna Congressuale

(11 Febbraio 2005)

Il VI Congresso è nei fatti un congresso straordinario, poiché in questione vi sono la collocazione politica e la stessa ragione sociale del partito. Questa premessa è fondamentale per comprendere le ragioni di chi ha deciso di sostenere, aldilà di ogni precedente scelta congressuale, il documento “Per un Progetto Comunista”.

Per quanto riguarda la collocazione politica, è fuor di dubbio che la scelta di integrarsi nel blocco di centrosinistra comporti – nonostante i distinguo di circostanza – l’adesione del PRC ad uno schieramento che nemmeno tenta di mascherare la propria dipendenza strategica dai poteri forti, sia a livello nazionale (Confindustria, alta finanza, ecc.) che nella politica locale, dove ormai da anni i rappresentanti di Rifondazione Comunista sono indistinguibili da quelli del centrosinistra in quanto ad esternalizzazioni di servizi pubblici e precarizzazione dei rapporti di lavoro. In questo senso, si può affermare che l’esperienza romana degli anni di giunta Rutelli prima e Veltroni dopo abbia ormai fatto scuola.

Ma la nuova collocazione politica del PRC non potrebbe realizzarsi senza l’abbandono della stessa ragione sociale del partito, che deve rinunciare ad ogni velleità alternativa al capitalismo per accreditarsi come partner di governo affidabile per i veri padroni della coalizione di centrosinistra, i poteri forti interni ed internazionali.

La scelta strategica della nonviolenza non è solo uno strappo rispetto alla storia del movimento comunista, bensì un atto di fede: una cosa è la scelta razionale di avvalersi degli spazi e dei metodi democratici laddove questo sia possibile, altra e ben diversa cosa è condannare il diritto alla resistenza ed all’uso della forza nelle situazioni in cui ai proletari ed ai popoli non sia lasciata altra scelta, come avviene oggi in gran parte dell’umanità oppressa dall’imperialismo. L’assenza del PRC da tre anni di mobilitazioni a sostegno della resistenza palestinese è paradigmatica delle scelte della maggioranza del partito: Bertinotti ed il suo gruppo dirigente preferiscono tenere bordone agli stati maggiori di DS e Margherita, apertamente filosionisti, arrivando a criminalizzare il movimento di solidarietà con la Palestina anziché esserne parte attiva e protagonista. Analogamente, il gruppo dirigente bertinottiano non può che essere ostile alla resistenza irachena contro gli invasori imperialisti e tentare di traghettare il movimento contro la guerra dalla rivendicazione del ritiro delle truppe senza se e senza ma all’accettazione del “vincolo di maggioranza”, vale a dire alla subordinazione all’orientamento strategico del centrosinistra, volto verso una gestione dei conflitti dietro la maschera dell’ONU o dell’UE, ma non certo verso la liberazione dei popoli.

Tutta la politica del PRC è peraltro segnata dalla deriva governista: non si parla di proporzionale (perché D’Alema vuole ancora più maggioritario), non si sostiene il sindacalismo di classe (perché i poteri forti vogliono la concertazione), si rompe con i movimenti dopo aver predicato per anni il movimentismo più esasperato… cosa deve ancora accadere perché tutti comprendano che ormai la sola ragione sociale del gruppo dirigente bertinottiano è la collocazione di qualche migliaio di apparatcnik nei gruppi parlamentari e consiliari, negli assessorati e nei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche privatizzate?

In questo scenario, le critiche dell’Ernesto e di Erre appaiono poca cosa e la loro opposizione scarsamente credibile, sia perché sino a ieri hanno condiviso le responsabilità bertinottiane a tutti i livelli politici ed istituzionali, sia perché intendono comunque sostenere il centrosinistra, se proprio non nello stesso governo, almeno “dall’esterno”. Per questi motivi, ritengo che la mozione Per un Progetto Comunista, con la proposta di un semplice accordo tecnico per battere la destra, sia la sola alternativa credibile alla deriva bertinottiana ed allo sfaldamento del partito e che sia necessario ogni sforzo per realizzare un percorso congressuale partecipato ed unitario, appunto “aldilà di ogni vecchia collocazione”.

Germano Monti – Comitato Politico Federale di Roma

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