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Trayvon

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(20 Luglio 2013) Enzo Apicella
Assolto il vigilante George Zimmerman che nel 2012 uccise il 17enne nero Trayvon Martin

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UN POPOLO MASSACRATO A ROMA

Ci abituiamo preoccupantemente alle violenze di piazza, declinate e raccontate in forme assolutamente unilaterali. Rompere questa breccia, un’opportunità.

(26 Aprile 2014)

La manifestazione sulla crisi, promossa da comitati di varia natura, si è risolta, avrebbe detto poetando Joe Strummer, in una “mattanza” da “clampdown” (repressione). De André avrebbe parlato di “tonnara di passanti”. Forse, oltre a leccarsi le ferite, si può salvare la condivisibilità di una proposta programmatica e vedere che fine faccia in concreto il principio democratico.

unpopolomassacrato

Almeno dalla stagione 2008/2009 l’acuirsi della crisi economica ha denudato sacche di disagio sociale potenzialmente distruttive. Oltre a categorie soggettive che nascono da una palese imperizia legislativa ed esecutiva (basti pensare agli esodati), dovrebbero aggiungersi sfruttati e sfrattati di varia natura -che non riescono ad accedere alla minima piattaforma del diritto all’abitare, su cui fior di enti pubblici non danno risposte- e una precarizzazione endemica e strutturale della forza lavoro, giovane e meno giovane (roba che il Marx della caduta tendenziale del saggio di profitto non avrebbe saputo e potuto attuar meglio).
La radicalità del disagio, nel processo di rispecchiamento che talora la prassi induce alla teoria, diventa, perciò, anche radicalità delle forme contestative di questo disagio. Lo hanno detto a chiare lettere studiosi non sospettabili di intelligenze oblique col nemico antagonista: più sale la disperazione e più la contestazione, dal nudo e crudo lato politico, riacquisisce, ancorché minoritaria, una determinante componente esistenziale. Portare a galla quello che i media non raccontano, rappresentare ingiustizie sociali, civili, penitenziarie che l’informazione non lascia passare nella selezione delle grandi notizie, smantellare l’ipocrisia della “grande riforma costituzionale” (argomento torrenziale per distrarre da un arretramento percepibile di condizioni essenziali).
Ad Aprile, a Roma, si è data appuntamento una fetta d’Italia che ha colto questa contraddizione, anche perché ci vive dentro. Una fetta d’Italia che lavora quotidianamente sul reddito, sull’abitare, sulle migrazioni. E non ottiene risposte. Una fetta d’Italia che ha da tempo rimosso ogni opzione di osmosi nei confronti della rappresentanza partitica e parlamentare -molto poco incline a misurarsi coi problemi concreti-, ma che si misura giornalmente con necessità partecipative e assembleari “dal basso” (cioè, un’Italia che, al netto di tutte le critiche di merito e metodo che si vede addossare, coltiva pure dei meriti).
Ed è andata in scena una mattanza, fatta di pestaggi, di sfollagente, di inseguimenti, di ronde, di diritti alla libera manifestazione del pensiero strappati di mano e ridotti alla carta straccia di una carica o di un troppo disinvolto ed esasperato utilizzo di misure, presuntivamente volte a cogliere e a garantire la sicurezza generale.
L’impressione più fondata che restituiscono adunanze oceaniche e non, che i media affliggono col solipsismo (raccontare unilateralmente la violenza, non i contenuti; raccontare vagamente chi c’era, il non far parlare una ad una le realtà coinvolte; dimenticare subito i problemi posti e l’urgenza di strutturarli nel dibattito pubblico), è la seguente: il giorno dopo non restano per strada solo giubbotti, schizzi di sangue, transenne divelte, o le foto di ventimila ragazzi, anziché i cinquecentomila che giocavano magari a radunare i confusi proclami “girotondini” di dieci anni addietro.
Per strada rimane la speranza, scacciata e schiacciata, di avere voluto dar voce a un ciclo di lotte, rispetto al quale il falso riformismo europeo e nazionale sembra più implacabile della Restaurazione.
Aprire un dibattito a 360 gradi, anche al di fuori di chi (realtà associativa o singolo) vi avesse partecipato, sarebbe davvero un toccasana per tutti. Una breccia nell’agenda di un potere ora distratto, ora pugnace.

Domenico Bilotti

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