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EXPO, TANGENTI, EVENTI E GRANDI OPERE: IL MODELLO E’ SBAGLIATO E PERICOLOSO

(13 Maggio 2014)

tangentexpo

Silvio Berlusconi nella sua disarmante semplicità d’analisi questa volta ha centrato il bersaglio: di fronte agli enormi flussi di denaro che viaggiano attorno ai grandi appalti le tangenti sono un elemento “fisiologico” e si direbbe quasi positivo, elemento fondamentale per mettere in moto una positiva concorrenza.
In questa valutazione risiede tutta la similitudine tra la “Tangentopoli” anni’90 e la vicenda odierna che in molti si affrettano a negare spaccando il capello in quattro circa il ruolo dei soliti faccendieri, all’epoca al servizio diretto dei partiti e oggi semplici intermediari d’affari tra le aziende, in particolare tra le cooperative rosse e bianche.
Si dimentica, in quest’affannosa ricerca di “diversità” il mutamento profondo avvenuta nella struttura del sistema politico, tanto è vero che per una fase si ritenne l’azione tendente al malaffare del tutto interna al sistema, attraverso la distrazione dei fondi del finanziamento pubblico quale nuova frontiera della “questione morale”.
Questo tipo di analisi è stata così smentita perché il nuovo ruolo dei faccendieri è effettivamente quello del raccordo tra le imprese e la pubblica amministrazione che avviene seguendo le vie concesse dal meccanismo di separazione tra “politica” e “amministrazione” (pensiamo alle leggi Bassanini) ma che alla fine, come già accaduto nei casi della cosiddetta P3 e del modello “Protezione Civile” ma, alla fine, il flusso di denaro arriva in grembo ai soliti noti di questa “politica senza partiti”.
Esistono quindi elementi concreti di continuità nella vicenda della “questione morale” almeno dagli anni’80 in avanti e su questa base va sviluppato un ragionamento che vada al cuore del problema.
Appare davvero ridicolo, intanto, l’atteggiamento del Presidente del Consiglio che, chiaramente a disagio per la scarsa conoscenza della materia, infarcisce i suoi discorsi della più vieta banalità del gergo calcistico “dobbiamo provare”, “possiamo farcela” e amenità di questo genere che davvero forniscono l’idea dell’improvvisazione e del pressapochismo che appaiono essere la cifra più evidente di questo governicchio attraverso il quale si punta, addirittura, a realizzare una svolta autoritaria che tagli i bisogni sociali e prosegua nell’operazione, già in atto da tempo, di impoverire ulteriormente settori sempre più rilevanti della società italiana.
Intanto si scopre anche l’acqua calda delle infiltrazioni mafiose al Nord per operazioni di riciclaggio nell’economia “pulita”: fenomeno sottovalutato per decenni e appare del tutto ignobile l’atteggiamento dei grandi mezzi di comunicazione di massa tendenti a minimizzare per cercare di favorire l’ipotesi di qualche “mela marcia” (e a questa ipotesi si attaglia l’idea davvero minimalista della “task force” guidata, tra l’laltro, dai soliti noti) e quindi dell’”avanti tutta” sempre e comunque, pena la “credibilità internazionale”.
Il punto però sul quale centrare la nostra attenzione riguarda l’intreccio grandi eventi/grandi opere sulle quali s’intende imperniare la prospettiva stessa di questa Expo 2015 sulla quale s’intende-addirittura-sviluppare una fase espansiva valida per tutta l’economia del Paese: un Paese è bene ricordarlo di 60 milioni di abitanti, con le infrastrutture al collasso, priva di politica industriale, con la disoccupazione al 13%, dato che all’interno contiene un 42% per quel che riguarda i giovani dai 18 ai 24 anni.
Pensiamo a due situazioni simili, a livello internazionale, che hanno causato (e stanno causando) fenomeni di vero e proprio dissesto per chi le ha adottate: le Olimpiadi del 2004 ad Atene con la Grecia che sta ancora pagando un salatissimo conto anche sul piano dell’escalation della corruzione; i Mondiali d calcio 2016 in Brasile che minacciano lo stesso esito, in una nazione dilaniata da una crescita esponenziale dei livelli di diseguaglianza.
E’ inutile girarci intorno: il nesso grandi opera/ grandi eventi provoca disastro ambientale, ulteriore precarizzazione del lavoro, crescita della corruzione complessiva, accumulo di enormi debiti.
Un modello da contestare fino in fondo reclamando un’inversione di rotta immediata: certo il rischio è quello di apparire nemici del progresso e disfattisti rispetto alle capacità nazionali ma vale proprio la pena di farlo con coraggio.

Patrizia Turchi e Franco Astengo

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