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Scomparsa dei partiti e quindi delle fratture? Populismi e rappresentatività di classe: due sistemi tra loro alieni

(16 Maggio 2014)

Rispondo a distanza alla sollecitazione avvenuta qualche giorno fa circa l’imperativo categorico secondo cui occorre ridarsi allo studio della politica, considerato strumento necessario non solo alla crescita soggettiva ma, e soprattutto, a quella collettiva.

Quando si fa cenno agli elementi teorici il rischio è sempre quello di voler apparire come chi desidera collocarsi in una sorta di “torre d’avorio”, dalla quale far giungere insegnamenti e verità per interpretare il mondo.

Tralasciando quindi il puro gusto all’esegesi, che pure è necessaria, resta intatto il bisogno di dotarsi di strumenti significativi che portino almeno alla capacità di analisi dell’esistente.

Mi permetto una ipotesi di ragionamento per la quale sento forte la necessità di analisi e risposte.

Lo stato in cui si trova la politica italiana, e chi la agisce, è davvero colmo di spunti.

Tutto nasce, come una sorta di big bang, dal substrato culturale e politico in cui nacque l’idea secondo cui un sistema elettorale maggioritario avrebbe salvato l’Italia.

Banale, qualcuno potrebbe dire, ed in aggiunta: come è possibile che una legge elettorale sia in grado di trasformare così profondamente lo stato della politica italiana?

Eppure così è stato. Non la legge in se’ ovviamente, ma ciò che rappresentava in una determinata fase della storia italiana. E chi come me ha pensato che forse in venti/venticinque anni sarebbero tornate le condizioni per riparlare di rappresentatività in luogo di governabilità, deve assumersi la responsabilità d’aver sbagliato completamente non solo l’analisi, ma anche il pronostico.

Dopo vent’anni infatti siamo restati senza partiti (quelli conosciuti nel nostro pieno ’900 europeo), e con la loro scomparsa è tramontata l’idea che il collettivo politico potesse crescere sulla base di identità di classe, di interpretazione dei conflitti, di risposte strutturali compiute.

Abbiamo visto nascere la personalizzazione della politica (prima dal famigerato Silvio Berlusconi, con il suo iniziale partito-azienda, e poi via via da tutte le altre formazioni politiche, a prescindere dalla propria consistenza elettorale). L’opinione pubblica ha cambiato ruolo, l’agenda politica è stata surrettiziamente fatta intendere come “voler di popolo”, il popolo è diventato uno spettatore, l’annuncio politico esaurisce l’azione politica.

L’elisione sempre più marcata di valori di riferimento, a destra come a sinistra, ha fatto dapprima rincorrere le maggiori formazioni politiche verso un “centro” idealmente più forte elettoralmente (mentre paradossalmente il “centro” si svuotava), per poi esplicitarsi in una nuova (?) auto-definizione, urlata o espressa fattivamente:

né di destra né di sinistra (con buona pace di chi nel passato tale si definiva e ritiene ancora di poter usare tale etichetta).

É probabile che -almeno stante le condizioni attuali- ben presto troveremo a muoversi sul terreno politico e a scontrarsi, non solo elettoralmente, forme esclusivamente populistiche.

Da una parte l’approdo recente del PD, epifenomenicamente rappresentata da Renzi che ha saputo cogliere, sul piano soggettivo, il frutto ormai maturo di una trasformazione strisciante e generale ormai in atto da anni, dall’altra il M5S, a cui si possono aggiungere altri, affascinati da questo nuovo (?) pensiero.

Ora, le domande che mi pongo sono tremendamente semplici, per le quali non riesco -per colpa dei pochi strumenti culturali che possiedo- a trovare adeguata risposta.

1 – se è vera l’ipotesi (scontro tra populismi), siamo in un sistema dato che escluderà per una certa fase l’interpretazione della società secondo i canoni classici delle fratture (dato che di fatto ciascuna formazione -per una sua dichiarata mobilità e fluttuazione – può di volta in volta illudere d’interpretarne gli effetti e gli esiti)?

2 – se questi anni hanno visto la scomparsa di soggetti politici alternativi che pure avrebbero avuto un ruolo nel sistema ancora ibrido e in transizione, quale deve essere il terreno di coltura (e di cultura) di chi ritiene ancora valide e decrittanti quelle stesse fratture per la creazione ex-novo di organizzazioni politico/partitiche ?

Come già scritto non ho risposte, ammesso e non concesso che appunto l’ipotesi sia vera, salvo l’idea che qualora nell’infausto caso lo scenario prospettato si realizzi compiutamente non potremo neppure auspicare eventi traumatici che riportino a zero il sistema, poiché il rischio è quello della palude.

Patrizia Turchi

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