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Usa e Cina: spie contro

(21 Maggio 2014)

usaecina

Martedì 20 Maggio 2014 23:00


Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato questa settimana una mossa senza precedenti, lanciando un’incriminazione formale di fronte ad un “grand jury” federale contro cinque ufficiali dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese con l’accusa di spionaggio industriale ai danni di alcune corporations americane. Per la prima volta, il governo americano ha messo sotto accusa presunti “hackers” non per le loro azioni individuali ma in quanto condotte come membri delle forze armate di un determinato paese e, in questo caso, della seconda economia del pianeta nel pieno di una rivalità sempre più marcata con Washington.

La portata della decisione presa dall’amministrazione Obama, assieme all’estrema improbabilità di ottenere una condanna, lascia intendere che l’incriminazione rappresenti una provocazione studiata per far salire la tensione tra i due paesi. Ciò è stato ammesso in maniera indiretta dallo stesso ministro della Giustizia americano (“attorney general”), Eric Holder, protagonista lunedì di una conferenza stampa nella quale ha affermato che le accuse sollevate in questa occasione sono “le prime in assoluto ai danni di attori conosciuti di uno stato”, accusati di avere “infiltrato obiettivi commerciali negli Stati Uniti con mezzi informatici”.

“Quando un paese straniero utilizza risorse militari o di intelligence contro un manager o una corporation americana per ottenere segreti industriali o informazioni commerciali sensibili a beneficio delle proprie compagnie pubbliche”, ha aggiunto Holder, “dobbiamo dire: basta!”.

I cinque ufficiali cinesi incriminati sarebbero assegnati alla cosiddetta “Unità 61398” dell’Esercito di stanza a Shanghai, descritta tra l’altro in un articolo apparso lo scorso anno sul New York Times. La rivelazione era basata su informazioni approssimative fornite dalla compagnia informatica Mandiant che accusava l’Unità 61398 di avere condotto una lunga serie di attività di spionaggio contro aziende americane.

Gli indagati dalla giustizia statunitense si ritrovano così con una trentina di capi d’accusa e, se saranno ritenuti colpevoli, rischiano in teoria lunghe pene detentive, anche se ovviamente il governo cinese non prenderà nemmeno in considerazione un’eventuale ipotesi di estradizione.

Secondo le autorità USA, le aziende prese di mira dall’attività di spionaggio dei cinque accusati sono il colosso della produzione di alluminio Alcoa, la costruttrice di centrali nucleari Westinghouse Electric, la produttrice di acciaio U.S. Steel, l’altro gigante della metallurgia Allegheny Technologies e la filiale americana della tedesca SolarWorld. I cinesi avrebbero anche intercettato comunicazioni di dirigenti del sindacato metallurgico United Steelworkers, coinvolti in una battaglia legale contro l’importazione di acciaio a basso costo dalla Cina.

Allo stesso modo, gli accusati sarebbero responsabili di operazioni di hackeraggio per ottenere informazioni e documenti riservati di queste compagnie, tutte impegnate in operazioni d’affari in Cina e, soprattutto, in cause legali con le loro rivali di questo paese per violazioni delle norme commerciali internazionali.

I documenti prodotti dal Dipartimento di Giustizia USA ipotizzano che alcune compagnie statali cinesi avrebbero ingaggiato l’Unità 61398 per ricevere “servizi informatici”, tra cui la creazione di un archivio con dati di intelligence relativi alle corporations americane.

Il ministero degli Esteri di Pechino ha prevedibilmente reagito in maniera molto dura alla notizia dell’incriminazione, affermando che la vicenda è stata fabbricata ad arte da Washington e prospettando un peggioramento delle relazioni bilaterali.

Inoltre, il governo cinese ha annunciato di avere sospeso le attività di un gruppo di lavoro con gli USA proprio sulle questioni relative al “cyber-spionaggio”, avviato più di un anno fa e già moribondo dopo le rivelazioni di Edward Snowden sulle attività di monitoraggio dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana (NSA).

Nonostante l’ampio spazio ottenuto dalla notizia dell’incriminazione degli ufficiali cinesi sui media d’oltreoceano e la valanga di commenti che accolgono con entusiasmo il maggiore impegno dell’amministrazione Obama nel contrastare una pratica spionistica a cui la Cina ricorrerebbe regolarmente contro le aziende americane, la decisione proclamata da Holder è in realtà un esercizio di ipocrisia considerevole anche per gli standard difficilmente uguagliabili del governo americano.

I documenti segreti della NSA diffusi da Snowden nei mesi scorsi hanno infatti mostrato al mondo come gli Stati Uniti siano di gran lunga il principale responsabile di operazioni illegali di “hackeraggio” del pianeta. Il personale e le risorse a disposizione dell’apparato spionistico americano non hanno precedenti noti e permettono di intercettare virtualmente ogni comunicazione elettronica che avviene in ogni angolo del globo, in pratica senza alcun vincolo legale.

Le autorità di Washington questa settimana hanno nuovamente cercato di tracciare una linea tra le attività di spionaggio per la sicurezza nazionale e quelle a fini commerciali, con queste ultime giudicate più gravi rispetto alle prime. Oltre al fatto che una simile interpretazione risulta alquanto discutibile, se non totalmente falsa vista la clamorosa violazione dei diritti democratici che comporta l’intercettazione di telefonate, e-mail e traffico internet di cittadini privati innocenti, lo stesso governo USA non è estraneo ad operazioni contro compagnie straniere.

In relazione alla Cina, ad esempio, una recente rivelazione di Snowden aveva descritto l’attività di sorveglianza da parte della NSA contro il gigante dell’informatica Huawei, primo concorrente nella vendita di server e router nel mondo della statunitense Cisco Systems.

Lo spionaggio industriale e quello per motivi di sicurezza nazionale, d’altra parte, appaiono sempre più inscindibili per governi - come quello americano - diretta espressione dei grandi poteri economici e finanziari.

Lo stesso Holder, infatti, lo ha ammesso nella conferenza stampa di lunedì, quando ha affermato che “la nostra sicurezza economica e l’abilità di competere in maniera equa sul mercato globale sono legate in maniera diretta alla nostra sicurezza nazionale”.

L’incriminazione ai danni degli ufficiali dell’esercito di Pechino, infine, fa parte di una campagna sempre più aggressiva orchestrata da Washington nell’ambito della cosiddetta “svolta” asiatica decisa dalla Casa Bianca per contenere l’espansionismo cinese.

Quest’ultima provocazione è arrivata infatti a breve distanza dalle recenti visite in Estremo Oriente del Segretario alla Difesa, Chuck Hagel, e dello stesso Obama - entrambi impegnati a dare lezioni al governo cinese e a rassicurare gli alleati circa l’impegno americano al loro fianco contro Pechino - ma anche dalla riesplosione di contese territoriali tra la Cina, le Filippine e il Vietnam, istigate in varia misura direttamente da Washington.

Michele Paris - Altrenotizie

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