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(28 Giugno 2012) Enzo Apicella

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NEL MONDO CRESCE LA COMPETIZIONE GLOBALE

(21 Maggio 2014)

Dal n. 17 di "Alternativa di Classe"

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Non è una novità il fatto che gli Stati Uniti d'America rappresentano la più forte e potente economia del mondo. Si può dire che dalla fine del 19° secolo, da quando, cioè, il capitalismo stava raggiungendo la propria fase imperialista, il dominio dell'economia statunitense si è affermato. In particolare è dal 1872, da quando, cioè, rubarono il primato alla Gran Bretagna, e poi durante tutte le diverse fasi dei cicli capitalistici che si sono succedute, comprese le crisi e le due guerre imperialiste mondiali, che gli USA hanno guidato, ininterrottamente questa significativa classifica.
Definito il PIL come “il valore dei beni e servizi prodotti in un Paese (o gruppo di Paesi) in un determinato anno”, e definito “PIL nominale” quello espresso in “valori di mercato correnti, convertiti al dollaro statunitense al tasso di cambio ufficiale”, le stime di tale PIL relative al 2012, a cura, rispettivamente, del Fondo Monetario Internazionale (F.M.I.), della Banca Mondiale e della C.I.A., nota agenzia americana, pur differendo nei valori numerici in dollari, forniscono la stessa graduatoria, e cioè: in testa gli USA, seguiti, nell'ordine, da Cina (con circa la metà del valore in dollari degli USA), Giappone e Germania; poi, prima dell'Italia, collocata al nono posto, vi sono ancora Francia, Regno Unito, Brasile e Russia. Sono seguiti da India, economia emergente, Canada ed Australia, prima della Spagna, collocata al tredicesimo posto.
Se è vero che l'Unione Europea (UE), come tale, supererebbe il PIL nominale degli USA, così non è per “Eurolandia”, l'insieme dei paesi UE che utilizzano l'Euro come moneta: mancano, cioè, all'appello Paesi come Regno Unito, Danimarca e Svezia, che hanno fatto scelte monetarie diverse... Aggiungendo a tutto ciò il fatto che, se non la UE nel suo complesso, nemmeno “Eurolandia” riesce oggi ad esprimere perlomeno una politica economica comune, è facile capire come gli USA sostanzialmente non temano la concorrenza internazionale europea: la stessa persistenza della prevalenza della UE come tale, anche sul piano commerciale internazionale, corrisponde, in realtà, ad una sommatoria di Paesi, e, perciò, di interessi non propriamente coincidenti: il problema per gli USA è relativo... Del resto, al legame di una alleanza militare, com'è la NATO, si sta per affiancare l'Accordo di Partenariato Trans-Atlantico (TTIP – n.d.r.: vedi Anno I n.12 di ALTERNATIVA DI CLASSE a pagg. 4 e 5), che dovrebbe entrare in vigore nel 2015, e che abdica poteri politici, sia in USA che in UE, direttamente alle multinazionali. Aldilà del nascente coro di rinnovate lamentazioni di stampo europeista sulla “dipendenza” dagli USA, che deriverebbe da ciò, si tratta di un colpo per i proletari italiani, addosso ai quali il capitalismo nostrano, fatto in prevalenza di piccole e medie aziende, non mancherà di cercare di ribaltare gli svantaggi che gliene deriveranno.
Non altrettanto vale per il “sorpasso cinese”. Fino dal 2009 la Cina è stato il primo Paese esportatore del mondo, ma già i dati relativi al 2012 rivelavano che il suo volume complessivo di scambi import/export aveva soffiato, anche se di poco, il primato commerciale agli USA; vi è la significativa differenza che per la Cina si parlava di “surplus”, mentre per gli USA di “disavanzo”!... Il primato si è poi consolidato nel 2013 con il superamento cinese del “muro” dei 4000 miliardi di dollari. Certamente sta pagando la politica cinese di divenire il “primo partner” di scambi bilaterali con diversi Paesi, soprattutto asiatici ed africani, oltre al crescente rapporto con quella Germania, che, di recente, è stata redarguita dagli USA. Il suo lungimirante (dal punto di vista capitalistico) export in aumento è stato definito “eccessivo” dagli americani, che hanno ricevuto una piccata replica tedesca, subendo anche l'aggiunta dello yuan cinese ad euro e dollaro per i suoi scambi commerciali internazionali!
In questo contesto, è facile capire quanto sia importante per gli USA il permanere del dollaro come valuta di riferimento internazionale: una sua eventuale sostituzione con una qualsiasi altra moneta farebbe risultare, se non altro, un quadro per la graduatoria dei PIL diverso da quello, oggi concreto, del “PIL nominale”...
Se si considera, invece, il PIL di un Paese in relazione al potere d'acquisto interno ad esso, con il vero costo della vita, pur mantenendo la conversione in dollari, si ha il PPA, che è, ovviamente, diverso dal “PIL nominale”, ed ha un senso più reale per l'intera popolazione. Da stime di PPA del F.M.I., per il 2012 la Cina risulta sì dietro agli USA, ma con ben tre quarti del suo valore in dollari! ...mentre l'India soppianta il Giappone al terzo posto! Mantenendo lo stesso ritmo di crescita del 2011 (24% per la Cina e 7,6% per gli USA), il F.M.I. preconizza poi, per il 2014, il sorpasso della Cina ai danni degli USA.
Sempre utilizzando il PPA, i maggiori economisti, invece, avevano previsto il superamento degli USA da parte della Cina per tale indicatore non prima del 2019. Un recente studio dell'International Comparison Program (ICP), coordinato dalla Banca Mondiale, rivela che il PPA cinese nel 2011 era già l'87% di quello USA e nel 2014, nell'anno in corso, il contributo cinese al PIL mondiale sarà il più alto di tutti, con la storica fine del primato USA! Si tratta di un dato economico, ma anche politico, di primo piano: quella cinese è divenuta la più grande economia del mondo. Considerando il ritmo di sviluppo della Cina, che in pochi anni si prevede che raggiunga il primato anche nelle importazioni (visto il necessario allargamento del mercato interno, perseguito al fine di ridurre le cause di eventuali esplosioni sociali incontrollabili, consolidando, peraltro, il suo primato anche a livello commerciale), tale risultato si verificherà certamente, prima o poi, anche per il “PIL nominale”.
Vanno in tal senso anche dati provenienti dagli USA, che danno l'economia americana in relativo calo, per un “inverno rigido”, che avrebbe bloccato i consumi e ridotto la produzione industriale: si parla di una crescita economica dello 0,1%, a fronte di un 1,1% previsto! La Federal Reserve, così, pur tagliando gli “stimoli economici”, ha lasciato i tassi di interesse bassissimi (al massimo 0,25% ) per favorire gli investimenti. Non è un caso, allora, che dal 23 al 28 Aprile il Presidente USA, B. Obama si sia recato, in obbedienza alla propria strategia, denominata “Pivot to Asia”, proprio nei Paesi dell'Estremo Oriente, viaggio sgradito ai vertici della Cina Popolare. Giappone, Corea del Sud, Malesia e Filippine sono state le mete; oltre a consolidare i rapporti, commerciali e non, con questi Paesi alleati, ha sostenuto l'Accordo denominato Trans-Pacific Partnership (TPP), dai contenuti analoghi al TTIP (n.d.r.: vedi Anno I n.12 di ALTERNATIVA DI CLASSE a pagg. 4 e 5), in particolare con Giappone e Malesia, ed ha riaperto con le Filippine la “collaborazione” militare, ristabilendo il totale libero accesso verso le proprie basi di navi ed aerei su quel territorio. Pare opportuno sottolineare, infine, che Malesia e Filippine sono tra i fondatori della Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN), l'aggregazione sub-continentale di Stati, costituita sulle orme della UE, che ha concluso con la Cina nel 2010 un Accordo di libero scambio, traguardando con essa l'uso dello yuan come moneta di scambio. I rapporti commerciali, oggi in concorrenza, potranno divenire le alleanze del prossimo scontro bellico: non va dimenticato questo “particolare”!
A tutto ciò va aggiunto l'intensificarsi dei rapporti intercommerciali fra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (i cosiddetti “BRICS”), che si propongono di legare alle proprie monete i rapporti commerciali bilaterali in genere, com'è già stabilito per il rapporto reciproco Brasile-Cina, e di uscire dalla “schiavitù” del dollaro. In questo senso è andato il VI° Forum Accademico, svoltosi a Rio de Janeiro il 18 Marzo scorso, che ha prospettato l'uscita da quanto stabilito a Bretton Woods nel '44 sul ruolo del dollaro come valuta principale e sulle regole delle relazioni commerciali e finanziarie. L’Accordo intergovernativo sulla costituzione di una Banca comune, con partenza nel 2015 e sede in Sudafrica, è già pronto al 90%, e nel prossimo summit annuale a Luglio 2014 nella città brasiliana di Fortaleza, si prevede che sarà firmato l’accordo definitivo sulla creazione di un Fondo di riserva congiunto e della nuova “Banca di sviluppo” dei Paesi BRICS, sviluppo del commercio internazionale e degli investimenti, in prospettiva anche fuori dai Paesi della costituenda alleanza imperialista. Sarà inizialmente finanziata dalla Cina con 41 miliardi di dollari, poi Brasile, India e Russia ne verseranno 18, ed il Sudafrica 5; tutti insieme punteranno principalmente sull'Africa. I BRICS rappresentano già (dati riferiti al 2012) il 21% del PIL mondiale, avendo aumentato di tre volte il peso negli ultimi quindici anni, mentre, come PPA, rispetto al quale spiccano, ovviamente, i Paesi emergenti, la loro alleanza è sempre più forte: a fronte della Cina, che raggiunge il primato, questi Paesi sono presenti in tutti e quattro i principali continenti con posizioni di primo piano in ognuno! Anche rispetto alla “crisi ucraina” i BRICS hanno una posizione unica, che è di sostegno alla Russia di Putin.
E' noto che lo sviluppo del credito internazionale ha portato ad una diffusione abnorme degli strumenti finanziari, finché il loro valore (di scambio, ovviamente) risulta, fra “diretti” e “derivati”, secondo i dati più recenti, ben 13/15 volte più del loro controvalore reale; da pochissimo è nata, addirittura, la “bitcoin”, una moneta virtuale, che ha ancora una circolazione limitata. Molti economisti, compresi alcuni che si ritengono marxisti, considerano la crisi attuale come inscrivibile nella economia finanziaria: si tratterebbe di una escrescenza “malata” su di un corpo sostanzialmente “sano”: un problema di regolamentazioni. In realtà la compenetrazione fra capitale industriale e capitale bancario è alla base dell'economia finanziaria, e da quando esiste l'imperialismo. Lo sviluppo abnorme delle transazioni finanziarie non fa che testimoniare le difficoltà attuali di fare profitti da parte di quegli stessi “pescecani”, sempre meno numerosi, ma sempre più ricchi, che si rifugiano nelle rendite; è segnale della crisi capitalistica, ma non causa! Quello che va messo in discussione è lo stesso PIL, perché rappresenta il valore (anch'esso di scambio) dei beni e servizi prodotti, cioè delle merci prodotte: finché il benessere sarà descritto da un PIL, anche se corretto con il potere d'acquisto (PPA), parliamo sempre di questo tipo di economia, sempre più in crisi, perché autrice di sempre più guasti, per l'uomo e per la natura. La continuazione di questa competizione, di questo scontro internazionale, non potrà che essere, prima o dopo, la diffusione della guerra, probabilmente la prossima Guerra Mondiale: solo l'opposizione di classe alla guerra imperialista, contro i suoi protagonisti, potrà salvarci dal baratro cui ci stiamo avvicinando!

Alternativa di Classe

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