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Tra i fumi tossici della crisi: l'estrema destra europea alla conquista dei “ceti popolari”

(21 Maggio 2014)

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Se le tendenze delle ultime tornate elettorali svoltesi in diversi paesi europei saranno confermate, le prossime elezioni per il parlamento di Strasburgo registreranno un'avanzata – anche notevole – dei partiti di estrema destra. Dalla Francia all'Ungheria, dall'Olanda alla Grecia, la scena politica, dunque, promette – o minaccia - di tingersi di nero. E' fin troppo facile individuarne i motivi, strettamente legati al procedere della crisi e alle trasformazioni avvenute nella formazione sociale borghese, dentro e fuori l'Europa.

Il fascismo - se in una parola sola vogliamo includere i movimenti politici di destra estrema – è fisiologico nella società moderna, ma da fenomeno marginale, persino, verrebbe da dire, folkloristico (se non temessimo di mancare di rispetto alle vittime della sua brutalità), acquista importanza, esce dai covi e dalle palestre in cui si esercitano i suoi picchiatori, fa presa in una parte della società, quando su questa si abbattono gli effetti della crisi capitalistica. Ma, in sé, la crisi non è sufficiente, benché necessaria, per dare la spinta al “versante nero” dello schieramento borghese. Occorre che la piccola borghesia e anche settori del proletariato non si sentano più rappresentati o si sentano addirittura traditi dai partiti tradizionali, affidandosi così a chi promette di aggiustare le cose, di riportarle a quando “si stava meglio”, cioè bene o male si riusciva ad arrivare a fine mese senza dover tirare troppo sullo stipendio e, anzi, ci si poteva permettere qualche “lusso” moderato. Questo vale pure, e forse non da ultimo, per una parte del cosiddetto popolo di sinistra (quella parlamentare, va da sé), preda della disillusione, del disorientamento, che, in qualche modo, ha perso la speranza in un mondo diverso e migliore.

Le analisi dei voti raccolti dalle destre estreme evidenziano “l'exploit” del Front National di Marine Le Pen anche in città e cittadine di antica tradizione operaia, un tempo roccaforti della sinistra (PCF), devastate dalla deindustrializzazione (per es., gli ex centri carbosiderurgici del nord-est), o nei quartieri popolari-proletari di Marsiglia, sottoposti a un progressivo degrado delle condizioni più elementari di vivibilità originato dal dilagare della disoccupazione e della precarietà, dai tagli ai servizi sociali, dalla mancanza di prospettive dei giovani, destinati a infoltire le gang di quartiere, parallelamente al crescere della voracità e alla corruzione degli amministratori della città, di qualunque colore politico. Se non solo i partiti di centro e della destra “per bene”, ma anche quelli che, in teoria, dicevano di rappresentare gli interessi delle classi sociali più basse, hanno rinunciato al loro ruolo e applicano le stesse politiche antipopolari, chi mai potrà fare argine all'impoverimento e all'insicurezza sociale dilaganti? Dove ritrovare quel “sol dell'avvenire” tramontato miseramente sulle macerie di ciò che si credeva essere il socialismo reale? L'incapacità – in assenza di un punto di riferimento autenticamente comunista – di spiegare il crollo delle speranze riposte in un mondo creduto diverso (il capitalismo di stato dell'ex URSS, scambiato per socialismo), di capire che sotto quelle macerie non c'era, appunto, il comunismo, ha contribuito a far sì che l'odio di classe, il malcontento vengano captati da chi, sul mercato politico, offre soluzioni tanto semplici quanto false. False, certo, ma che in determinate fasi della storia funzionano, una volta di più. E funzionano anche perché le forze politiche che le propongono partono da elementi reali, evidenti, sebbene le cause che li hanno determinati siano falsate e distorte. Fabbriche smantellate e portate all'estero, bottegai e artigiani costretti a chiudere l'attività, un fisco rapace con chi non può oggettivamente, evadere le tasse o non può più farlo (la quota maggioritaria dell'evasione fiscale, solitamente, è da attribuirsi alle grandi aziende, nonostante sia diffusissima tra la piccola-media borghesia), mentre le banche, spietate coi piccoli, vengono rimpinzate con una montagna di denaro. Il tutto, in nome del “ce lo chiede l'Europa”. Dunque, se “ce lo chiede l'Europa”, è ovvio che i responsabili del malessere sociale profondo appaiano le istituzioni europee, l'euro, la caduta delle frontiere, che “ci ha portato” bulgari, rumeni, serbi disposti a lavorare per pochi euro all'ora o, il che è lo stesso, che favorisce la delocalizzazione delle “nostre” industrie, “rubandoci” il lavoro e l'avvenire. Poche idee, dunque, e ben confuse. Così come sgangherate, persino patetiche, le presunte soluzioni, appunto. Protezione del lavoro nazionale, contrasto, per non dire esclusione, dell'immigrazione, sovranità monetaria, cioè uscita dall'euro e ritorno alle vecchie monete nazionali, lotta alla “casta” e alla delinquenza (sottinteso: per lo più immigrata). La varietà, la fantasia e, soprattutto, l'incoerenza logica del “cuore nero” della borghesia sono tali che accanto a chi predica (a parole, va da sé) maggiore protezione sociale per i “nostri connazionali”, c'è chi propaganda una demolizione ancor più accelerata di ciò che resta del cosiddetto stato sociale. Il nazionalismo, il razzismo, persino nella variante antisemita (dopo lo sterminio, la popolazione di religione ebraica è un'infima minoranza, anche nell'Est europeo, dove l'antisemitismo è più forte), sono il collante maleodorante che tiene assieme una struttura ideologica fatta di menzogne. Se, per ipotesi, ora fantasiosa, le destre estreme andassero al governo, non solo non potrebbero attuare quelle politiche sociali in aiuto delle fasce sociali più deboli che vanno strombazzando – dal Front National francese all'Alba dorata greca, passando per lo Jobbik ungherese – ma farebbero esattamente, se non peggio, quello che stanno facendo i governi da trenta e passa anni a questa parte: bastonate e ancora bastonate sul proletariato e sugli strati sociali ad esso limitrofi. Se un qualche paese, a cominciare da quelli più grandi, uscisse dall'euro, gli sconquassi economici e le conseguenti ricadute sociali sulla classe lavoratrice sarebbero tali da far rimpiangere – si fa per dire – il “ce lo chiede l'Europa” di oggi. Al di là delle ruberie del ceto politico borghese (dotato, come si sa, di un appetito formidabile), l'impoverimento di strati sempre più ampi della popolazione è dovuto alla crisi del sistema capitalistico, che, per sopravvivere, è obbligato ad andare all'attacco delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato; è finita l'epoca in cui il capitale poteva concedere, sia pure costretto dalla lotta sociale: oggi può solo prendere. L'avidità della finanza, delle banche, delle imprese in generale e dei loro galoppini (i governi) sono “solo” una conseguenza. Giusto per non andare molto lontano, quando la Lega Nord (parente stretta delle formazioni nazistoidi europee) era al governo, non ha forse partecipato direttamente – come chi l'ha preceduta e seguita – alla spoliazione della classe operaia, del lavoro dipendente in genere? Il suo personale politico si è dimostrato meno arraffone? La risposta è scontata...

Dunque, che fare? Mettere in agenda con una certa urgenza l'unità delle forze antifasciste per la difesa della democrazia, del modello sociale europeo (?), dei diritti civili su cui incombe il lanciafiamme dell'estrema destra? Pur senza sottovalutare l'eventuale opzione “nera” della borghesia, pensiamo invece che il compito primario sia quello di lavorare fin da subito per costruire l’alternativa comunista a questa società. È infatti l’anticapitalismo, rappresentato dalla battaglia politica per la società comunista, e non un generico e fuorviante antifascismo, la risposta politica che bisogna dare. Compito politico primario è quindi il lavoro per la costituzione dello strumento politico – il partito della rivoluzione anticapitalistica a scala internazionale – l'unico che può diradare i fumi velenosi che intossicano o addormentano le coscienze proletarie, per dirigerle politicamente oltre la società del capitale, in tutte le sue varianti.

Partito Comunista Internazionalista (Battaglia comunista)

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