">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Ovazione a Dublino

Ovazione a Dublino

(5 Settembre 2010) Enzo Apicella
Balir contestato a Dublino da un fitto lancio di uova. In Italia contestati dell'Utri e Schifani, in modo molto più "morbido", ma con reazioni istituzionali spropositate

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

  • Domenica 21 aprile festa di Primavera a Mola
    Nel pomeriggio Assemblea di Legambiente Arcipelago Toscano
    (18 Aprile 2024)
  • costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

    SITI WEB
    (Il nuovo ordine mondiale è guerra)

    Il Capitale, stretto dalla caduta del tasso del profitto, ditta su Stati e Parlamenti

    (29 Maggio 2014)

    Il sistema capitalistico è passato allo stadio imperialista con la formazione dei monopoli sovranazionali alla fine del 19° secolo. La concorrenza fra di essi e le leggi economiche dell’accumulazione hanno condotto inesorabilmente alla loro concentrazione e centralizzazione, alla formazione di cartelli industriali, appoggiantisi alle grandi banche, che controllano, direttamente o indirettamente, migliaia di imprese. La precedente libera concorrenza ha così condotto alla formazione di giganteschi monopoli, che gli economisti borghesi e i loro propagandisti oggi chiamano pudicamente “multinazionali”. Prima i mercati nazionali sono divenuti troppo stretti per l’accumulazione del capitale, poi il suo modo di produzione ha avvinghiato tutto il pianeta. Ma lo spettro della crisi incalza e anche il globo terreste è divenuto troppo piccolo: se potesse, il Capitale si impossesserebbe dell’universo!

    I capitali, per opporsi alla caduta tendenziale del tasso del profitto, che li strangola inesorabilmente, sono oggi costretti ad una sfrenata contesa per appropriarsi dei declinanti profitti e sovrapprofitti. Il sovrapprofitto di monopolio è una rendita della quale si appropriano i grandi capitali controllando con la loro forza il mercato.

    Per sopravvivere il Capitale spezza ogni ostacolo all’accumulazione e, in nome dei mitici principi del libero scambio, tenta di abbattere ogni impedimento e barriera, non fermandosi certo davanti ai “sacri” confini delle varie patrie nazionali. Il capitale, giunto allo stadio imperialista da più di un secolo, tende ad imporsi sugli “egoismi” dei capitali nazionali, ad annullare le barriere protezioniste che impicciano la libera circolazione delle merci e dei capitali. Per far questo gli è facile manovrare gli apparati della democrazia formale e dei parlamenti nazionali, nascondendo i suoi interessi sotto la pretesa creazione di impieghi e della ripartizione dei profitti.

    Dalla fine del secondo conflitto mondiale, il capitalismo, ringiovanito dalla guerra, si è organizzato per favorire l’apertura di mercati sempre più vasti, e quindi, la formazione di monopoli sempre più numerosi e mostruosi. In Europa si volle creare un mercato unico con la Comunità Economica Europea, nel 1965, preceduta dalla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nel 1951 e dalla Comunità Economica di Difesa nel 1952. Si parlava allora di assicurare un idillio di pace fra gli Stati, ma la realtà era la necessità economica del capitale alla ricerca dei profitti.

    A scala mondiale fin dal 1947 esisteva un Accordo Generale sulle Tariffe doganali ed il Commercio, o GATT, firmato da 23 paesi, divenuti 120 nel 1994, emanante dagli Stati Uniti per armonizzare le politiche doganali. Gli accordi di Bretton Woods del luglio 1944 avevano fondato il sistema monetario mondiale ancorato al dollaro. Con questi accordi, non si trattava di evitare una nuova guerra mondiale, che in quella fase ascendente dell’accumulazione non si poneva, ma un’altra crisi economica mondiale come quella del 1929.

    Dopo trent’anni di ricostruzione postbellica e di euforia produttiva si è riaperta la fase di sovrapproduzione con la crisi internazionale del 1975. I mercati erano già divenuti troppo stretti, e il GATT, che lasciava aperte troppe deroghe e troppe “autonomie nazionali”, non bastava più.

    L’Organizzazione Mondiale del Commercio, OMC, era stata creata nel 1994 per offrire agli Stati un ambito per le trattative commerciali; ma le conferenze del 1999 a Seattle negli Usa, nel Qatar nel 2001, con 135 paesi membri, e quella a Cancun nel Messico nel 2003 dimostrarono l’antagonismo fra i grandi blocchi imperialistici, soprattutto nel settore dei prodotti agricoli. All’interno dell’OMC si discusse anche un Accordo Generale sul Commercio dei Servizi teso a mettere in concorrenza le imprese pubbliche e le private, diminuendo la sovvenzioni alle prime. Nel 2005, la VI conferenza dell’OMC a Hong Kong pretendeva di imporre la soppressione entro il 2013 delle sovvenzioni alle esportazioni agricole (vedi le manifestazioni degli agricoltori e delle imprese agro-alimentari come quelle in Bretagna).

    Ma già fra il 1995 e il 1997 era stato negoziato segretamente dai 29 Stati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico un progetto di Accordo Multilaterale sugli Investimenti, AMI, che tentava di introdurre un sistema di compensazioni per gli investimenti in paesi “svantaggiosi” a causa di una legislazione sul lavoro troppo “restrittiva” o di norme sull’inquinamento “abusive”. Quando questo progetto di accordo fu reso pubblico, i promotori furono costretti a metterlo da parte.

    Fu necessario quindi scavalcare l’OCDE, troppo trasparente, e presentare le manovre dei grandi capitalisti internazionali come necessarie a salvare salari e posti di lavoro e i profitti alle imprese in difficoltà.

    Il Consiglio Europeo di ottobre 2012 si impegnava ad intraprendere delle trattative di libero scambio fra l’Europa e gli Usa. Queste si sono aperte ufficialmente il 13 febbraio 2013 con la nomina di una Commissione, condotta dall’addetto al commercio dell’UE, il belga Karel de Gucht, per negoziare con gli Usa un Trattato di Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (quindi scavalcando i deputati nazionali “democraticamente” eletti). Attraverso riunioni regolari fra i membri della Commissione, i portavoce delle multinazionali e delle lobby finanziarie si sono dati il compito di espungere dalle legislazioni nazionali ogni “superflua” forma di regolazione del mercato o di “difforme” protezione nel mondo del lavoro e della salute dei cittadini. Nel giugno 2013 la Francia ha ottenuto una “eccezione” per i servizi “audiovisivi” (la “cultura”, parbleu!).

    Una prima tappa importante è stata la conclusione il 18 ottobre 2013 delle discussioni sul libero scambio fra Canada e Unione Europea, iniziate nel 2008, considerata di buon augurio per la trattativa con gli Usa. Si tratta di un primo accordo economico e commerciale “globale” di libero scambio fra l’Unione Europea ed un paese del G8: i diritti di dogana sono soppressi sul 99% dei beni scambiati e sono “liberalizzati” gli investimenti e i sevizi: finanziari, banche e assicurazioni, telecomunicazioni, energia, trasporti; esclusi la sanità, l’audiovisivo e l’educazione. Secondo i portavoce l’accordo andrebbe a creare nuovi impieghi e lavoro per le imprese di entrambe le parti, con aumento degli scambi anche con altri paesi vicini. Per esempio il mercato europeo si apre alla carne di bovino canadese (agli ormoni e agli Ogm) e il Canada ai formaggi europei (con gran mugugno dei produttori di latte canadesi e degli allevatori europei).

    I rappresentanti dell’UE e quelli degli Usa si sono incontrati a Bruxelles in novembre e a Washington in dicembre 2013: le trattative vanno avanti e dovrebbero terminare nel 2015. La delegazione americana conta più di 600 consulenti nominati dalle multinazionali, e sarà sicuramente lo stesso da parte europea. Le trattative, che si svolgono a porte chiuse per non generare “pre­oc­cupazioni” fra la popolazione, tendono ad “aprire” settori importanti, mercantili e non, sopprimendo preesistenti normative su sicurezza degli alimenti, limiti di tossicità, assicurazioni sanitarie, protezione della “privacy”, cioè internet, diritti d’autore, formazione professionale, immigrazione, regolazione dei prodotti finanziari e delle banche.

    Le decisioni prese si impongono agli Stati nazionali, le cui legislazioni sono divenute “inadeguate”, fino ai consigli municipali, che debbono ridefinire la loro politiche pubbliche. Gli “amministratori” dovranno rinegoziare gli accordi con le imprese, al fine di renderle “competitive”.

    L’accordo spazzerà via le regole sanitarie europee adeguandole agli standard minimi americani su alimenti, energia, inquinamento dell’aria, internet, ecc. Sarà autorizzata la carne agli ormoni, il suino alla ractopamina (utilizzato per aumentare il tenore di carne magra, sostanza proibita in 160 paesi fra cui l’Europa, la Russia e la Cina), il pollo clonato, tassi di insetticida elevati negli alimenti, assenza completa di controllo sui prodotti da colture Ogm, compresa la loro origine. Bisogna insomma consumare qualsiasi cosa.

    L’OMC potrebbe infliggere alla Unione Europea una penalità di molte centinaia di milioni di euro per il rifiuto di importare organismi geneticamente modificati. Ma ormai le multinazionali possono attaccare in proprio nome. Infatti per la regolazione delle dispute fra Stati e multinazionali si è addirittura proposto di creare un tribunale “privato”, un “tribunale speciale” internazionale composto di giudici che non devono rispondere ad alcuno. Le imprese avrebbero il diritto di denunciare gli Stati ed esigere danni ed interessi quando una pubblica amministrazione si opponesse ai loro profitti o diminuisse il valore dei loro investimenti (il fornitore di elettricità svedese Vattenfall già chiede molti miliardi di euro alla Germania per la sua “svolta energetica” verso il carbone; lo Stato canadese ha preferito revocare la proibizione di un additivo tossico utilizzato nell’industria del petrolio piuttosto che rischiare un processo). Uno Stato potrebbe essere perseguito dalle compagnie petrolifere se si rifiuta di far estrarre petrolio o gas di scisto con la tecnica estremamente inquinante della frattura idraulica, o di privatizzare dei sevizi pubblici (trasporti, energia nucleare...); una municipalità potrebbe essere denunciata di ostacolo alla libertà di commercio se si fosse opposta alla privatizzazione dell’acqua.

    Quanto alla cosiddetta “libertà su internet” non si tratta che dell’accesso da parte delle ditte private ai dati personali (mentre è in pieno lo scandalo della NSA): che conta la decantata “privacy” di fronte alla possibilità di aumentare i profitti grazie ad una pubblicità che può spiare le sue vittime?

    Le multinazionali, europee ed americane (3.300 imprese europee sono presenti negli Usa e 14.400 compagnie americane dispongono in Europa di una rete di 50.800 filiali) sperano ora di poter mettere le mani a volontà nelle casse degli Stati. Del resto sono i loro Stati e ne fanno quello che vogliono. Libertà per tutti! Mai più ostacoli al libero scambio, ai profitti, all’accumulazione! Un vero Maggio ‘68 del capitale!

    Ma in realtà questi accordi commerciali, queste nuove disposizioni di legge, sono gli Stati che le organizzano. Quel che non comprendono, o non vogliono comprendere i piccolo borghesi che si lamentano di questa situazione, è che gli Stati sono i difensori degli interessi di classe della borghesia e dei rapporti economici del modo di produzione capitalistico. Finché non sarà rovesciato il potere della borghesia e demolito il suo apparato di Stato, finché non saranno aboliti i rapporti di produzione capitalistici, il salariato e il capitale, permettendo così il libero sviluppo del comunismo, non potrà essere altrimenti!

    Anche il governo degli Usa, come quello di tutti gli Stati, ha da tempo dimostrato di essere il fedele agente delle multinazionali e delle lobby con sede nel paese. Nel 1994, sotto la presidenza Clinton, fu varato l’Accordo di Libero Scambio Nordamericano (NAFTA, con Usa, Canada, Messico), con la promessa di milioni di posti di lavoro. Di fatto ha esacerbato la concorrenza per l’importazione di prodotti a basso prezzo che hanno rovinato le piccole imprese di ciascun paese; un milione di posti di lavoro è andato distrutto negli Usa, senza parlare dell’abbassamento dei salari, per la chiusura di fabbriche riaperte in Messico. In Messico milioni di piccoli contadini sono stati costretti a spostarsi nelle bidonville, non potendo competere con il mais sovvenzionato e transgenico proveniente dagli Usa. L’aumento del prezzo del mais, alimento principale nel paese, provocò le rivolte del 2007 e il Messico, fino allora autosufficiente, ne è divenuto importatore.

    Questo si ripete con l’Accordo di Partenariato Transpacifico fra gli Usa e i paesi che si affacciano su quell’oceano (Nuova Zelanda, Australia, Malesia, Singapore, Vietnam, Giappone, Canada, Messico, Perù, Cile; ma non la Cina!) che impone nuovi diritti sovranazionali alle imprese. Il suo scopo è di arrivare ad azzerare i diritti di dogana fra i paesi della zona per lo scambio di tutti i beni, i servizi, le proprietà intellettuali, ecc. Le trattative sono state condotte da Islam Siddiqui, americano di origine indiana che ha servito nell’amministrazione Clinton dal 1997 al 2001 nel dipartimento dell’agricoltura e rimane il principale negoziatore nel campo per gli Usa; è stato vicepresidente di Croplife America (organo della lobby delle imprese biotecnologiche), ed è ostile a qualsiasi politica di etichettature dei prodotti ed indicazione sulla presenza di Ogm.

    Il trapasso della economia e della società capitalistica mondiale nella sua fase imperialista non è reversibile ed ormai, dopo più di un secolo di guerre e di rapine, ha totalmente sottomesso a sé tutte le istituzioni politiche e statali borghesi, che sono al prono servizio delle grandi concentrazioni finanziarie e industriali.

    Le “sinistre”, gli “ecologisti”, i “nazionalisti” sono lì solo per ingannare il proletariato o come espressione impotente della piccola borghesia. Della democrazia rimane solo la maschera, che cadrà definitivamente solo quando i borghesi, così come i loro valletti al comando degli Stati, saranno proprio allo stremo; allora si mostrerà apertamente a chi rispondono veramente le istituzioni giuridiche e politiche e che non sono quella palude informe dei ceti medi, illusi dall’inganno elettorale di disporre col voto della loro quota di potere.

    Ma qualunque accordo, segreto o pubblico, “illegale” o legalizzato, non inaugurerà un mondo “migliore”, dove le classi borghesi di tutte le nazioni si intenderanno a meraviglia (per sfruttare il proletariato). La corsa alla formazione di monopoli sempre più mostruosi non eviterà di ravvivare la concorrenza fra i grandi paesi imperialisti che, sotto l’effetto di incontrollabili crisi di sovrapproduzione, saranno interessati, o costretti, ad uno scontro globale, trascinando con sé i piccoli Stati obbligati a scegliersi un campo.

    Oggi questi accordi escludono la Cina, la grande rivale ormai sul piano economico e militare degli Usa. Anche la Cina ha delle ambizioni fondate su una forza economica enorme; ce lo ricordano le tensioni in Asia fra il grande Dragone e i suoi vicini, in particolare il Giappone, la Corea del Sud, il Vietnam.

    Per ringiovanire il capitale, che ha esaurito il suo ciclo del dopoguerra e la cui accumulazione tende allo zero, un bagno di sangue è ineluttabile. Non saranno movimenti generici di “cittadini” né forze di Stati che potranno fermare la corsa folle del capitale. Niente né alcuno, salvo il proletariato che è il solo che può lottare contro la nemica classe borghese ed impedire l’avvento di un terzo conflitto mondiale. Quel proletariato che vede le sue condizioni di vita e di lavoro deteriorarsi ogni giorno.

    A questo ultimo assalto delle forze borghesi, dell’organizzazione internazionale del capitale, i proletari debbono rispondere con le loro organizzazioni economiche internazionali di difesa e ritrovare nel Partito Comunista Internazionale le tradizioni secolari di lotta, di teoria e di tattica rivoluzionarie!

    PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

    4382