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Privatizza, precarizza, taglia: il monito della Commissione Ue a Renzi

(3 Giugno 2014)

Austerità. Rese note le otto raccomandazioni sulla politica economica della Commissione Ue. Il governo strappa lo slittamento del pareggio di bilancio al 2016 ed evita la tanto temuta bocciatura e incassa l’invito a proseguire sulla strada dell’austerità. Tra i punti anche la scuola: cancellare il contratto dei docenti e premiarli sul «merito»

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Più pri­va­tiz­za­zioni, tagli alla spesa pub­blica e una mano­vra cor­ret­tiva dello 0,2% del Pil nel 2014 e dello 0,4% nel 2015. Sono le prin­ci­pali rac­co­man­da­zioni alla poli­tica eco­no­mica ita­liana che la Commissione Euro­pea ha dif­fuso ieri in attesa di sot­to­porle all’approvazione del Con­si­glio Ue. Quella dell’esecutivo peg­giore della sto­ria dell’Unione Euro­pea non è tut­ta­via una boc­cia­tura del governo Renzi, ma un invito ad appro­fon­dire la reces­sione con­ti­nuando sulla strada dell’«austerità espansiva».

Una poli­tica basata su un’illusione smen­tita da quat­tro anni di auste­rità: più tagli alla spesa pub­blica cor­ri­spon­dono ad un aumento della cre­scita. Renzi ha accolto con un tran­quillo «no com­ment» il responso così tanto atteso. Per lui è la con­ferma dei passi già fatti in attesa della for­ma­zione della nuova Commissione e del seme­stre ita­liano alla guida Ue che ini­zia tra un mese.

Rin­viate per non for­nire ai popu­li­smi anti-euro uno slan­cio ulte­riore alle ele­zioni del 25 mag­gio, le otto rac­co­man­da­zioni della Com­mis­sione Ue con­se­gnano al governo ita­liano un giu­di­zio non lusin­ghiero sul docu­mento di eco­no­mia e finanza (Def) e più di qual­che grat­ta­capo per la legge di sta­bi­lità che appli­cherà le stesse ricette che hanno aumen­tato il debito pub­blico (nel 2014 quello ita­liano sfon­derà il tetto del 135%), la disoc­cu­pa­zione di massa (al 12,7%, quella gio­va­nile al 42,4%) e la pre­ca­riz­za­zione selvaggia.

Su quest’ultimo punto, Bru­xel­les si è detta sod­di­sfatta: applaude il decreto Poletti, chiede la riforma dei cen­tri per l’impiego con­te­nuta nella legge delega del Jobs Act in discus­sione in par­la­mento, il ridi­men­sio­na­mento della cassa inte­gra­zione in deroga e la defi­ni­zione non meglio spe­ci­fi­cata di un sus­si­dio di disoccupazione.

Il redi­vivo com­mis­sa­rio Ue agli Affari eco­no­mici Olli Rehn ha gra­ziato Renzi con­ce­dendo lo slit­ta­mento del pareg­gio di bilan­cio strut­tu­rale dal 2015 al 2016. Una deci­sione con­tro­versa secondo le indi­scre­zioni, non smen­tite, dif­fuse ieri. Nella notte tra dome­nica e lunedì Renzi avrebbe fatto pesare sul tavolo la sua unica cre­den­ziale – il suc­cesso elet­to­rale — per evi­tare una boc­cia­tura dalle con­se­guenze desta­bi­liz­zanti. Dal testo finale sarebbe stata can­cel­lata la frase che negava lo slit­ta­mento del pareg­gio di bilan­cio «a causa del rischio di non con­for­marsi con gli obiet­tivi di ridu­zione del debito». Per il 2014 l’Italia non finirà nella serie B dei paesi sui quali pende una pro­ce­dura d’infrazione.

Alla base dello scet­ti­ci­smo della Commissione sullo sce­na­rio macroe­co­no­mico ita­liano (defi­nito con iro­nia «leg­ger­mente otti­mi­stico») c’è la pre­vi­sione sulla cre­scita per il 2014. Il governo ragiona sullo 0,8% sul Pil, la Com­mis­sione Ue sullo 0,6%, una per­cen­tuale che a fine anno potrebbe essere peg­giore in uno sce­na­rio deflat­tivo dove i con­sumi con­ti­nue­ranno a diminuire.

Que­sta incer­tezza fa tre­mare i bilanci e imporrà una mano­vra aggiun­tiva, esclusa il 16 mag­gio da Renzi e ieri dal mini­stro dell’Economia Padoan, o più pro­ba­bil­mente tagli più pesanti nella «spen­ding review» par­cheg­giata in un porto delle neb­bie. Stando al Def, il governo intende «rispar­miare» circa 4,5 miliardi nel 2014, fino a 17 per il 2015 e 32 per il 2016. I 4,5 miliardi sono fon­da­men­tali quest’anno per finan­ziare gran parte del bonus Irpef gra­zie al quale Renzi ha stra­vinto le euro­pee. Anche la Com­mis­sione chiede di ren­derlo strut­tu­rale a con­di­zione di ren­dere strut­tu­rale la ridu­zione della spesa che pre­vede, tra l’altro 2 miliardi di tagli alla sanità.

Su que­ste coper­ture Bru­xel­les ha espresso per­ples­sità, così come sull’impatto eco­no­mico del rela­tivo «aggiu­sta­mento strut­tu­rale»: sarà dello 0,1% sul Pil diver­sa­mente da quanto scritto dal governo nel Def (lo 0,7%). Da qui l’invito a tagliare ancora la spesa; raf­for­zare le pri­va­tiz­za­zioni già annun­ciate dalle quali il governo pre­vede di otte­nere lo 0,7% del Pil tra il 2014 e il 2017; det­ta­gliare i tagli per la ridu­zione del debito fino al 2017. Su que­sta voce le stime del Def sono fumose, scrive la Commissione. E non potrebbe essere così per­ché la cre­scita sarà infe­riore al 3% neces­sa­rio per il gover­na­tore di Ban­ki­ta­lia Igna­zio Visco ad allon­ta­nare lo spet­tro del Fiscal Com­pact. Salvo diversi accordi, dal 2016 l’Italia dovrà tagliare un ven­te­simo del debito (50 miliardi di euro all’anno) fino al 2036. Un mas­sa­cro che ren­derà un pal­lido ricordo le attuali incertezze.

La Commissione ha invi­tato inol­tre ad alleg­ge­rire la pres­sione fiscale sul lavoro, spo­stan­dolo verso i con­sumi, i beni immo­bili (acce­le­rando la riforma del cata­sto) e l’ambiente. Chiede di rive­dere le ali­quote dell’Iva, con­ti­nuare la lotta all’evasione fiscale, rio­rien­tare la spesa sociale dagli anziani all’«attivazione» dei gio­vani. Non nuovo è l’invito ad aumen­tare le spese per l’istruzione al paese che ha tagliato tra il 2008 e il 2013 (9,5 miliardi in meno a scuola e uni­ver­sità), ma su que­sto la Commissione è reti­cente. Così come lo è il governo che ha occul­tato il pro­blema inve­stendo poco più di 240 milioni di euro tra il 2014 e il 2015 sull’edilizia scolastica.

Più forte che mai resta la pres­sione a destrut­tu­rare i con­tratti nazio­nali nella scuola, diver­si­fi­cando le car­riere dei docenti in base al «merito» e alla «pro­dut­ti­vità» e non sull’anzianità di ser­vi­zio. Per la Commissione Ue biso­gna raf­for­zare la valu­ta­zione nel sistema edu­ca­tivo: più test Invalsi per tutti, come vuole la peda­go­gia neo-liberale. Bru­xel­les insi­ste inol­tre sul «modello tede­sco» nella scuola, l’apprendimento basato sulla for­ma­zione pro­fes­sio­nale e l’apprendistato. Austeri fino alla fine, neo-liberisti senza spe­ranza. A Bru­xel­les c’è chi ha un’idea di società e in Ita­lia chi la fa rispet­tare. Costi quello che costi.

Roberto Ciccarelli, il manifesto

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