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Mandiamo a casa Berlusconi, ma non vendiamo la nostra identità

Piero Sansonetti intervista Marco Ferrando

(26 Febbraio 2005)

Marco Ferrando, cinquant'anni, genovese di nascita, comunista, trotskista, insegnante di storia e di filosofia, da sempre oppositore (da sinistra) di Bertinotti all'interno del partito di Rifondazione, ora a capo di una delle cinque mozioni congressuali - la numero 3 - preoccupato principalmente di una cosa: che il partito non finisca al governo alla corte di Prodi svendendo il suo patrimonio, i suoi gioielli. Quali sono i gioielli? Le ragioni sociali dei lavoratori e dei movimenti. Allora è meglio tenersi Berlusconi? No, bisogna dare tutto, combattere col cuore tra i denti per rovesciare questo governo reazionario, e Ferrando non pensa affatto di tirarsi indietro. Ma il risultato della lotta non può essere, paradossalmente, quello della rinuncia all'opposizione comunista e all'alternativa.

Ferrando è arrivato alla politica poco dopo il '68. In quell'anno fatidico era in quarta ginnasio. Due anni dopo, sedicenne, incontra un gruppo politico che si chiama "Lotta comunista". E' un gruppo forte soprattutto a Genova. Nel "casellario" dei gruppi extra-parlamentari dell'epoca è classificato come "bordighista". Sapete che vuol dire? Amedeo Bordiga è il fondatore del Pci, fu lui che guidò la scissione a Livorno, nel '21; era un ingegnere napoletano astensionista che non sopportava Turati, ma non amava troppo neanche Lenin. Si portò dietro Gramsci e Togliatti, e loro, due anni dopo la fondazione del partito, lo misero in minoranza e lo sostituirono. Bordiga si ritirò dalla grande politica subito dopo la sconfitta, mentre il fascismo si consolidava. Il suo nome, nella tradizione del Pci, è sempre stato un pessimo nome: non era considerato esattamente un traditore ma qualcosa del genere. Ferrando restò lì due anni, fece esperienza, ruppe con le tradizioni familiari e con l'educazione cattolica, lesse Marx e Lenin. Poi nel '72 ruppe con Lotta comunista. Perché? "Era una setta che usava l'icona di Lenin per coprire il settarismo bordighista, la sua estraneità ai movimenti". Nel 1975, a vent'anni, Ferrando incontra Trotsky. Diciamo che fa la scelta di vita.


Nel 2005 tu mi dici ancora che sei trotskista?

Lo "confesso"…

Cos'è il trotskismo?

Né una religione né una iconografia, ma la continuità dell'ispirazione di fondo del bolscevismo. Un programma di trasformazione socialista, rigorosamente anti-capitalista, e ostile alla burocrazia e allo stalinismo. Ecco, il trotskismo è questo, non il culto della personalità. Peraltro penso che se facciamo un bilancio della storia del movimento operaio del novecento, tanto più dopo la caduta del muro e il crollo dell'Urss, l'unica impostazione politica che ha coniugato l'opposizione allo stalinismo con la difesa della rivoluzione e del suo programma è il trotskismo. In questo senso è la continuazione di Lenin e dell'Ottobre.

Com'era Genova in quegli anni della tua giovinezza?

C'era una situazione politica particolare. Erano deboli i gruppi importanti della nuova sinistra, come Lotta Continua o Avanguardia Operaia o il Pdup. C'era il grande apparato del Pci, molto invadente, e Lotta Comunista.

Come hai vissuto il '77?

Nelle lotte del movimento. Ma rimproverando alla sua cultura egemone (in particolare ad Autonomia Operaia) un atteggiamento elitario verso le grandi masse. Non si interessava al grosso del movimento operaio. Riteneva che la politica del Pci e la base del Pci fossero due facce della stessa medaglia. Al contrario noi ci opponevamo strenuamente al compromesso storico, ma guardavamo con interesse la base del Pci, ponendo la questione della rottura con la Dc e di un'altra direzione del movimento operaio. I vecchi gruppi dirigenti della nuova sinistra avevano commesso peraltro degli errori enormi, abbandonando il campo proprio nella fase in cui, con l'unità nazionale, si erano aperti dei grandi spazi a sinistra. Il risultato fu che quegli spazi, lasciati liberi, finirono in parte con l'essere occupati dalla "autonomia operaia" o addirittura dalle Brigate Rosse, col loro carico di aberrazioni.

Dicendo queste cose non ti viene il dubbio che stai commettendo lo stesso errore dell'estrema sinistra di allora? Mi spiego meglio. Bertinotti dice: compagni, la destra è in crisi, il centrosinistra non ha una ricetta, si apre per noi uno spazio grandissimo: abbiamo la possibilità di inserirci in questa crisi e guidare noi la ricostruzione della sinistra e di una sinistra di governo. Tu rispondi: no, fermi tutti, non c'è nessuna novità, si resta all'opposizione, belli, puri e immobili. Non è così?

No. Innanzitutto non c'è nessuna divergenza sul fatto che per il nostro partito si apre una prateria e che dobbiamo correrci dentro. Io, in un certo senso, la vedo più di altri. Da molto tempo infatti denuncio l'evoluzione liberale della maggioranza Ds (altro che "riformisti"), la rescissione progressiva delle vecchie radici socialdemocratiche, e le nuove relazioni coi poteri forti del paese, con la grande impresa, la Fiat, le banche. Si apre un nuovo spazio di rappresentanza sociale e politica a sinistra.

Ma proprio per questo pongo la seguente questione: vuoi utilizzare questo spazio nuovo, aperto dall'esaurirsi della vecchia socialdemocrazia, per ricostruire tu la socialdemocrazia, dandole il ruolo di costola sinistra di una grande alleanza col centro liberale? Oppure preferisci utilizzare il nuovo spazio politico che si è aperto per la rifondazione comunista? Cioè per dare una direzione anticapitalistica al movimento operaio, e una politica ostile al compromesso di governo con le forze liberali e con quei poteri e quegli interessi che queste forze rappresentano? E' questa la domanda di fondo. Io colgo il fondamento reale dell'operazione di Fausto. E' una operazione brillante di ricostruzione di un partito socialdemocratico in Italia, cioè di un partito che non c'è più. Ma così facendo, non solo gettiamo a mare la rifondazione comunista, ma ci subordiniamo all'alternanza liberale guidata dai poteri forti. Che oggi vogliono rimpiazzare Berlusconi nel nome della concertazione e della pace sociale. Non saremmo certo noi a guidare questa alleanza. Noi saremmo la ruota di scorta, a rimorchio della borghesia italiana.

La sinistra secondo te deve porsi o no il problema dell'accesso al governo? E se non deve porselo, qual è il suo compito: opposizione vita natural durante?

Un partito comunista per definizione si pone il problema del governo. Non è una forza protestataria. Vuole cambiare il mondo. Il partito comunista aspira a concentrare nelle mani dei lavoratori e delle masse le leve del potere politico. E concepisce il potere dei lavoratori come strumento per costruire una società socialista. Purtroppo questa prospettiva strategica è del tutto assente dagli orizzonti del nostro partito. E invece si persegue uno sbocco di governo sul terreno dell'alleanza con forze politiche rappresentanti di altre ragioni sociali.

Guarda Prodi, Rutelli, D'Alema: non è solo che hanno idee diverse dalle nostre, loro sono la nomenclatura dei poteri forti. Guarda lo staff di Prodi: non manca un solo banchiere del nord e nessun rampollo delle grandi famiglie. Può un partito comunista andare al governo con queste forze e sotto la loro direzione? Può consegnare alle destre il monopolio dell'opposizione al centrosinistra?

E quindi?

Quindi si tratta di costruire dall'opposizione, nei movimenti di lotta un'alternativa di potere alle classi dominanti.

Ma questa prospettiva è lontanissima…

Andare al governo coi poteri forti non solo l'allontana ancora, ma la compromette. Come è avvenuto sempre ogni volta che i partiti operai e comunisti sono andati al governo con i liberali. E questo è vero tanto più oggi, in questa epoca di crisi. Jospin e Lula insegnano.

Ma tu non vedi il problema di contribuire a levare il governo dalle mani di quella parte della borghesia italiana, la più aggressiva e reazionaria, che è guidata da Berlusconi?

Eccome. Noi siamo da sempre in prima fila nella battaglia per cacciare il governo Berlusconi. Di più: crediamo che sia inutile continuare a dire: "cacciamolo…" e poi limitarsi agli scioperi simbolici ogni quattro o sei mesi. Noi crediamo che occorra una azione di massa, forte e concentrata. Se Berlusconi cadesse sull'onda di una mobilitazione radicale, allora tutto il quadro dei rapporti di forza cambierebbe e si riaprirebbe il varco di un'alternativa vera. Per questo proponiamo una svolta di fondo nell' azione del movimento operaio italiano che generalizzi la lezione di Melfi. Solo l'opposizione radicale strappa risultati concreti: contro i padroni e contro Berlusconi.

Sì, ma c'è anche il problema elettorale.

Certo, non siamo contrari ad accordi con la sinistra del centrosinistra nei collegi "marginali", in modo da favorire la sconfitta dei candidati della destra.

Quindi siete favorevoli ad un governo antiberlusconiano?

Siamo favorevoli a cacciare Berlusconi. Incondizionatamente. Ma Berlusconi può cadere da due versanti diversi: dal versante dei lavoratori o dal versante dei poteri forti. Se viene sostituito da un governo Prodi-Montezemolo, io penso che un partito comunista debba necessariamente restare all'opposizione.

Nessun accordo, se non tecnico?

Sì. Chiediti, perché oggi i liberali non propongono a Rifondazione un accordo puramente elettorale per cacciare Berlusconi? Non lo propongono per un motivo semplicissimo: vogliono che il nuovo governo sia privo di opposizione sociale e politica a sinistra. Sanno che una politica di concertazione oggi reggerebbe solo se Epifani ha le spalle coperte a sinistra.

Perciò abbiamo un progetto opposto al loro: non dissolvere ma rafforzare l'opposizione comunista e di classe.

articolo di Liberazione

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