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(30 Giugno 2011) Enzo Apicella

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Cile, 22 giorni di sciopero dei portuali traditi dai sindacati

(9 Giugno 2014)

unionportuaria

Il 23 dicembre scorso quattrocento lavoratori aderenti al Sindacato dei Portuali Uniti (Union Portuaria) hanno iniziato uno sciopero a Porto Angamos, a Mejillones, ad Antofagasta, Coloso ed Esperanza. I lavoratori richiedevano un posto di lavoro stabile per circa 250 operai col definitivo passaggio da precari, a giornata, a fissi. L’azienda ha immediatamente respinto questa richiesta, così che la lotta è proseguita per più di trenta giorni.

Dal 4 gennaio anche i lavoratori di San Antonio hanno aderito allo sciopero aggiungendo alle richieste il pagamento retroattivo della pausa pranzo, che i padroni, pur avendolo promesso, costretti da una lotta precedente, non hanno mantenuto.

Il 6 gennaio L’Unione Portuaria del Nord (Antofagasta e Iquique, Tocopilla, Chanaral e Huasco) si unita a sostegno di Porto Angamos, seguita l’8 gennaio dai porti della Unione Portuaria del Bio Bio, come conseguenza della forte repressione verso i lavoratori portuali di Mejillones, nei porti di Lirquen, Penco, Coronel, San Vicente, Calbuco, Corral, Puerto Montt e Chacabuco.

I lavoratori in sciopero sono stati attaccati duramente a Porto Angamos e San Antonio e messi in stato di assedio. Ma i portuali non si sono piegati e hanno costretto con la lotta governo e padroni a trattare, raggiungendo un accordo sul pagamento retroattivo della pausa pranzo, ma non quello sulla regolarizzazione dei precari di Mejillones, cardine delle richieste operaie.

Il risultato dello sciopero è in gran parte il riflesso dell’azione dei sindacati di regime, del loro legalitarismo ed inclinazione alla collaborazione con i padroni. Questo è uno dei punti deboli che coinvolge il movimento operaio in molti i paesi: la lotta operaia è controllata dai sindacati inglobati nello Stato borghese, i quali demotivano i lavoratori. Quando non possono evitare lo scoppio della rivolta cercano di incanalare le energie della classe in “assemblee informative” mentre i dirigenti sindacali trattano alle spalle dei lavoratori evitando l’estensione delle lotte oltre i limiti aziendali.

Questa lotta ha avuto degli aspetti rilevanti ponendo da subito la questione della necessità dell’unità dei lavoratori attraverso scioperi di solidarietà. È evidente che questo è avvenuto non su iniziativa delle dirigenze sindacali ma della pressione della base operaia.

Durante lo sciopero le organizzazioni padronali, tra cui la Confederazione Padronale dei Camionisti ed i Trasporti del Cile, hanno spinto il governo alla reazione. Lo stesso è avvenuto con i comunicati della stampa, completamente asservita al capitale. Federfrutta, l’organizzazione padronale degli esportatori di frutta ha lamentato, durante i 22 giorni di sciopero, una perdita di 200 milioni di dollari, principalmente per la frutta fresca da esportazione; l’Associazione degli esportatori, ha dichiarato 40 milioni di dollari di perdite; Codelco, la più grande azienda di rame del mondo, ha dichiarato di aver avuto 130 milioni di dollari bloccati nel porto di Mejillones. «Il blocco del porto è gravissimo, perché lede l’immagine del paese» ha detto Andreas Santa Cruz, della Confederazione della Produzione e del Commercio (CPC); Herman Von Mulenbruck, a capo dell’associazione industriali del settore, ha definito illegale lo sciopero ed ha invitato il governo a porvi fine.

Per i padroni firmare al più presto un accordo era quindi fondamentale per preservare la reputazione delle imprese come fornitori affidabili nel commercio globale e tutto indicava che la vittoria sarebbe stata possibile.

Ma gli obbiettivi non sono stati raggiunti a causa del tradimento dei dirigenti del sindacato Portuali Uniti, che il 23 gennaio hanno firmato l’accordo con i padroni concludendo lo sciopero. Il sindacato ha manifestato piena soddisfazione per quello che ha definito un “trionfo” dei portuali cileni. In realtà non è stata accolta la richiesta del pagamento della mezz’ora per il pranzo, tra l’altro già concordata nel 2013, impegnandosi solo al pagamento di un “bonus” di 2.727 dollari. Tutti i lavoratori licenziati durante i giorni di sciopero sono stati reintegrati. Il ministro del lavoro Juan Carlos Jobet si è detto in disaccordo con queste concessioni e che non era giusto cedere alle richieste dei lavoratori.

Ma una delle richieste fondamentali dei portuali in questo conflitto era la stabilità del lavoro. Nel porto di San Antonio, 118 chilometri a sud-est di Santiago, solo il 20% dei lavoratori ha un contratto a tempo indeterminato e gli altri devono ogni giorno firmare un contratto a termine tutte le volte che entrano per il turno di lavoro e la disdetta quando lo finiscono. Trattamento che non è mutato dopo i 22 giorni di lotta.

Il “contratto a termine” è una variante estrema della precarietà del lavoro, inserita nel Codice del Lavoro dal governo di Pinochet e confermata dal governo della Concertazione (con alla presidenza nuovamente Michelle Bachelet dal 11 marzo 2014). La terziarizzazione e il precariato colpiscono la maggioranza dei lavoratori cileni e sono alla base del sistema di supersfruttamento capitalista che ha consentito il cosiddetto “modello cileno”.

Il “trionfo” non è stato dei lavoratori ma dell’alleanza governo-padroni-sindacalisti, che hanno arrestato il movimento di sciopero impedendo che i portuali si collegassero con altre lotte operaie in Cile, come quelle dei minatori.

I lavoratori in Cile ed in tutto il mondo dovrebbero portare avanti la lotta di classe basata su una loro organizzazione unitaria alla base, capace di andare oltre la direzione dei sindacati attuali ponendo le basi per la formazione di un sincero e combattivo sindacato di classe che riunisca tutti i lavoratori al di la del contratto, della nazionalità, razza o fede religiosa, che sia in grado di organizzare i lavoratori di mestieri diversi e categorie in una sola lotta: la lotta unitaria del proletariato contro la borghesia per la conquista di aumenti salariali, la riduzione della giornata lavorativa ed il miglioramento delle condizioni e dell’ambiente di lavoro. Questo è un percorso necessario perché il proletariato possa conquistare il potere e rovesciare la società capitalista, sotto la direzione del suo partito di classe: il Partito Comunista Internazionale.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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