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Il Papa lascia l'Africa

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(21 Novembre 2011) Enzo Apicella

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Il pietismo religioso di Papa Francesco come pratica imbonitrice di massa.

(10 Luglio 2014)

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Mentre l'ennesima tragedia si consumava nel Canale di Sicilia, il rieletto alla carica di Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz durante il suo discorso inaugurale rinnovava l'invito alla visita per Papa Francesco, il quale per il momento, prudentemente, evita di rispondere.
Se è piuttosto difficile capire la protesta di un Buonanno qualsiasi che richiede di riportare al centro le radici cattoliche dell'Europa proprio nel giorno in cui si rinnova l'invito al Papa nella sede rappresentativa della medesima, è molto più semplice e comprensibile il ruolo che le istituzioni intendono giocare davanti all'ondata di disperazione in arrivo dal mare. Il fatto che questo ruolo sia dettato dal “comunicatore europeo dell'anno” (premio conferito a Francesco dal Parlamento europeo nel 2013) è solo una consequenzialità scontata, deve aver fatto risparmiare molto in relazioni pubbliche i governanti così austeri.

Asor Rosa nel suo “Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali” (Laterza, 2009) ribaltava lo «scontro di civiltà» teorizzato da Huntington in un'«alleanza di civiltà», riferendosi “all'alleanza dei religiosi più fideistici ai danni d'un comune avversario, la tradizione di tolleranza e di apertura intellettuale”. La ripresa d'influenza delle tre grandi religioni monoteiste sul piano mondiale era così inquadrata in un contesto di decadenza e di definitiva scomparsa del pensiero forte e del pensiero critico. Un'intuizione corretta se guardiamo all'interpretazione vigente di fatti sconvolgenti come la morte di 20.000 persone, perite dal 1988 a oggi (http://fortresseurope.blogspot.it/) nei modi più bestiali nel tentativo di attraversare il Mediterraneo: annegati, soffocati dal monossido di carbonio nelle stive o uccisi dai trafficanti per alleggerire il carico, alla quale si risponde non con l'analisi socio-politica, bensì con il ricorso al discorso pietistico. Un discorso portato avanti ormai da tempo da Papa Francesco che ricordiamo giunto a Lampedusa un anno fa, l'8 luglio 2013, per gettare corone di fiori in mare quasi a voler fermare le cicliche tragedie con un grande evento mediatico: la diretta televisiva, il palco preparato nei minimi dettagli, le autorità statali prone come sempre e organizzatissime per l'occasione. Allora il tema della solidarietà fu alla base dell'omelia, incentrata sulla critica dell'indifferenza verso chi soffre; ma al tema di fondo, ossia la critica di quella “globalizzazione dell'indifferenza” che il papa richiamava con grande impatto mediatico importa davvero se il tentativo disperato dei migranti per raggiungere la salvezza viene sistematicamente frustrato una volta giunti a destinazione?

In questo messaggio non viene presa in considerazione la buona riuscita del tentativo disperato di salvezza dei migranti, e poco importa se ad un certo punto la vita diventa strenua lotta per la sopravvivenza in condizioni di grave privazione della libertà. Dunque, il papa al limite può spingersi a criticare il trafficante che affronta le frontiere nell'illegalità, lì per lui sì è lecito criticare il profitto di chi specula sulle vite umane, mentre spingersi anche solo poco più in là significa addentrarsi in un discorso pericolosissimo e da evitare accuratamente. Per la Chiesa la salvezza è nel “Regno dei cieli”, mica in terra, e questo è risaputo, così anche la solidarietà invocata in questi casi dal clero ha un limite e questo limite è il rispetto di una normativa sedimentata nell'agire comune, entro cui è pacifico e diventa lecito esercitare il profitto. Infatti non pare essersi posto il problema della solidarietà in altri termini il direttore della Caritas diocesana di Trapani arrestato poco più di una settimana fa perché avrebbe preteso sesso per far avere lo status di rifugiato ad alcuni migranti in attesa della agognata regolarizzazione. La politica dal canto suo, per tagliare fuori il nostro Francesco da ogni facile critica, potrebbe spostare l'asticella delle garanzie politiche verso chi è più debole (sempre molto scarse in regime borghese) ancora un po' più in basso, in modo da regolarizzare anche il lavoro temporaneo di pochi mesi, a volte settimane, nei campi di pomodori dove oggi non si resta occupati neppure il tempo per maturare il permesso di soggiorno e anche laddove, casualmente, si riesce ad ottenerlo si finisce poi per non ritirarlo perché diventato inutile poiché ormai terminato il ciclo lavorativo. Se i politici arrivassero a regolarizzare anche le peggiori forme servili come la servitù della gleba o il caporalato mafioso, il nostro infaticabile difensore dell'umanità sofferente che farebbe? Probabilmente a quel punto non chiederebbe neppure sistemazioni degne invece che tende logore e capanni di fortuna, come già avviene per chi attualmente lavora con tanto di documenti in regola e si vede costretto a tornare a dormire nei campi di lavoro allestiti stagionalmente dalle associazioni imprenditoriali a fianco delle nostre campagne.

Sarà anche che “la pietà non è pietismo” (udienza papale del 4 giugno), ma invocare la povertà come bandiera contesa ai comunisti un po' dovrebbe far insospettire. Infatti, se le forze comuniste spagnole hanno chiesto unitariamente l'abdicazione della monarchia, la Chiesa si è subito premurata di difendere la corona borbonica, ricevendo re e regina proprio il giorno seguente le altisonanti dichiarazioni sulla povertà. Forse è prassi di questo papa considerare la povertà una bandiera da contendere e non una questione sociale da sconfiggere, lottando se necessario anche insieme a chi ha un credo e opinioni politiche diverse da noi? Tanto più triste è dover fare questa considerazione in un periodo come questo, in cui soprattutto nelle aree d'influenza cattolica la povertà (anche in termini assoluti) ha subito incrementi considerevoli. Eppure proprio laddove ci sarebbero grandi spazi per esercitare la povertà, ovvero in un sistema economico che - per ammissione dello stesso Papa - “sfrutta l'uomo”, si preferisce schierarsi coi “pochi privilegiati”, anche a costo di fare riverenze ai neo-scomunicati in quel di Oppido Mamertina (Reggio Calabria).

Visti poi i ripetuti appelli per la pace alla luce di una situazione internazionale sempre più preoccupante, si spera che pure la pace stessa non venga concepita alla stregua di vessillo.
In particolare, fa specie dover sentire l'arcivescovo di Ferrara Luigi Negri esprimersi in una lettera alla Comunità Ebraica locale in merito all'uccisione dei tre ragazzi israeliani rapiti il 12 giugno scorso a Hebron in questi termini: “profondo cordoglio si unisce al grandissimo dolore per l’orrendo assassinio di tre giovani vite sacrificate all’odio ideologico e politico”, ricordandoci che “il santo padre Francesco ha avvisato che la pace si deve costruire quotidianamente, con la fatica dell'artigiano, ma occorre pensare che questo lavoro viene sistematicamente contestato dal demonio, che è certamente l'artefice di questa orrenda e inutile carneficina” (http://www.luiginegri.it/default.asp?id=401). Quando la storia e l'ideologia vengono declinate in termini moralistici, e addirittura esplicitamente costrette in categorie dicotomiche come il male e il bene, il risultato non può essere molto distante dalla perdita di valori come la tolleranza. Così, nessun palestinese ucciso nelle rappresaglie dei giorni scorsi è stato ricordato dai rappresentanti del clero, ma d'altra parte come pretenderlo quando i 125 prigionieri politici palestinesi in sciopero della fame da settimane contro la “detenzione amministrativa” (dunque senza processo) non hanno potuto nemmeno essere nominati durante la “Preghiera per la Pace” dello scorso 7 giugno? Ecco, forse anche in merito alla questione palestinese l'aver affidato alle tre grandi religioni monoteiste la delicata diplomazia di un processo di pace così difficoltoso potrebbe non essere stata la scelta più lungimirante, soprattutto visti gli attuali sviluppi della situazione mediorientale.

Alex Marsaglia

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