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Assalto al palazzo d'inverno

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SI VA VERSO IL PARTITO UNICO: E NON E’ UN MODO DI DIRE

(14 Luglio 2014)

giorgiogalli

Giorgio Galli

Il progetto di riforma costituzionale, in particolare nella sua parte riguardante il Senato della Repubblica, e quello di modifica della legge elettorale denominato “Italicum” ha fatto pensare, agli oppositori più determinati e coerenti a una prospettiva di vera e propria svolta autoritaria imperniata sulla formazione di un “Partito Unico della Nazione”.
Per come si stanno evolvendo le cose quest’affermazione non appare, almeno dal nostro punto di vista, assolutamente esagerata, anzi potrebbe “starci” quale esito di un’evoluzione del sistema in conclusione della lunga fase di transizione seguita all’implosione dei grandi partiti di massa avvenuta, per varie ragioni, a cavallo degli anni’90 del secolo scorso.
Il sistema partitico italiano, vigente il sistema elettorale proporzionale (1948 – 1992) era stato definito attraverso due modelli classici, quello di Giorgio Galli “bipartitismo imperfetto” e di Giovanni Sartori “del pluralismo polarizzato”: entrambe le definizioni partivano dalla realtà della non praticabilità di opzioni di governo da parte del più grande partito di opposizione, il PCI, considerato “partito antisistema” in virtù della sua collocazione internazionale,
Era stato Paolo Farneti (scomparso molto giovane) ad avviare, alla fine degli anni’70, una riflessione poi non compiuta circa l’avviarsi di una fase diversa definita di “pluralismo centripeto”, con una tendenza alla riduzione nel ruolo della polarizzazione: nella sostanza il sistema si stava “avvitando” attorno alla DC quale partito non più “pivotale” ma rappresentativo di una vera e propria coalizione dominante.
Farneti non poté contemplare la fase successiva e quindi verificare la bontà delle sue osservazioni mentre la fine degli anni’80 e l’inizio dei ’90 fu caratterizzata dall’avanzarsi di un sistema di tipo consociativo, poi spezzato appunto dalla pratica sparizione dei grandi partiti di massa che avevano caratterizzato per un lungo periodo il sistema politico italiano.
Si cercò di risolvere la questione, molto delicata, dell’assetto di un nuovo sistema partitico attraverso la modifica del sistema elettorale, puntando su di un sistema misto maggioritario (75%) proporzionale (25%) attraverso il quale si pensava di provocare il meccanismo dell’alternanza all’interno di un sostanziale bipolarismo.
Ci furono, almeno in due tornate elettorali 1996 e 2001, momenti di assestamento nella direzione voluta del bipolarismo, ma due fenomeni diversi ma convergenti resero del tutto inefficace quel risultato: la personalizzazione della politica con l’entrata in campo del partito del “leader” e la formazione di coalizioni, necessarie per vincere le elezioni, ma del tutto frastagliate e perfino stravaganti nella loro composizione.
Si ebbero comunque due risultati resi ancora più evidenti dal successivo passaggio di modifica del sistema elettorale nel senso del premio di maggioranza e delle liste bloccate: l’estensione del processo di personalizzazione della politica e l’accentuazione del fenomeno, all’interno dei partiti, di un “ceto politico” beneficiato fuori misura dal punto di vista economico e dello “status”.
L’emergere del fenomeno dell’espansione del debito pubblico, la lievitazione in quest’ambito dei cosiddetti costi della politica, il fiorire in questo senso di scandali più o meno clamorosi, il rapido declino delle formule politiche, il peso delle condizioni di politica economica imposto dalle scelte dell’Unione Europea, le stesse vicende personali di Berlusconi hanno poi portato il sistema a una situazione di vero e proprio “sfibramento” al quale si è cercato di rispondere, nel 2011, attraverso l’accentuazione del meccanismo decisionista attraverso una forte accentuazione di ruolo da parte del Presidente della Repubblica posta ai limiti se non oltre lo stesso dettato Costituzionale, e il passaggio a una fase di egemonia della cosiddetta “tecnocrazia” o “governo degli ottimati”, il cui proseguimento fu dovuto anche dall’esito delle elezioni del 2013, condizionato dall’esplosione di un’aggregazione di tipo sostanzialmente anti-politico raccolta attorno al Movimento 5 Stelle arrivato al 25% dei voti, in un quadro da ricordare di crescita esponenziale dell’astensionismo, sempre confermata di elezione in elezione.
In quelle condizioni appariva davvero difficile definire il sistema politico italiano (Ilvo Diamanti intitolò il suo libro di analisi sul risultato elettorale del 2013 “Il salto nel voto”).
La risposta è venuta attraverso il compimento di due fenomeni pressoché concomitanti: il primo quello della sparizione dei corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni categoriali e quant’altro) ormai incapaci di svolgere quella funzione, spiegata a suo tempo con grande accuratezza da Norberto Bobbio, di” porsi tra il mondo del lavoro, la società e l’organizzazione del potere monopolizzando l’arena di scambio ponendosi al centro di essa con funzione mediatrice” e il secondo quello del riempimento definitivo di questo vuoto con l’immagine personale del leader.
Su questa base è stato commesso il grave errore di aprire la strada alle cosiddette “primarie” nell’intento di offrire una sponda a una falsa democratizzazione del sistema e in realtà, invece,fornendo il varco alla soluzione autoritaria del “Capo” che crea il consenso in precedenza alla proposizione politica.
L’adeguamento immediato del sistema dei media a questo stato di cose ha rappresentato l’elemento decisivo per il suo successo e adesso davvero il sistema è polarizzato attorno ad una figura e al suo partito trasformato rapidamente in una serie di successivi “cerchi magici” collegati tra loro da una distribuzione successiva di fette di potere.
Naturalmente fuori da questo discorso rimane la materialità del potere economico, l’obiettivo di soffocare completamente le istanze sociali, l’allargamento esponenziale delle diseguaglianze, l’allineamento ai poteri forti in Italia e fuori d’Italia, in Europa e fuori d’Europa: obiettivi che rimangono intatti in mano agli eterni ceti dominanti rappresentativi del capitalismo.
Certo è che il meccanismo della “polarizzazione” intuito da Farneti si sta concretamente realizzando e qualsivoglia tentativo di condizionamento dall’interno non avrà per ora altro esito che quello di rafforzare ulteriormente il potere costituito fornendogli anche l’alibi delle false opposizioni nell’ambito dell’esplicitazione di un altro importante concetto: quello della “coalizione dominante”.
E’ necessario, invece, un’opposizione “di sistema”, che prenda atto di dover fronteggiare un “partito unico” al di là dell’apparente mantenimento di una pluralità di facciata: un’opposizione che prima di tutto affondi le sue radici sulla materialità delle lotte sociali, ma che sappia anche costruire una nuova teoria sul terreno delle relazioni riguardanti il sistema politico.
Un cammino lungo e duro da compiere: sarebbe già importante, adesso come adesso, non coltivare illusioni e riconoscere subito la realtà dello scontro che dovremmo apprestarci a sostenere.

Franco Astengo

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