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(17 Ottobre 2011) Enzo Apicella

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FIAT: Le crisi industriali pongono il problema di chi deve controllare la produzione

ordine del giorno approvato al congresso della federazione di Bologna del PRC presentato dai compagni di Falcemartello

(10 Marzo 2005)

Il congresso del Partito della Rifondazione comunista di Bologna esprime il proprio pieno appoggio alla lotta dei lavoratori della Fiat e delle aziende in crisi e in ristrutturazione, contro le chiusure, le delocalizzazioni ed i licenziamenti.

Ancora una volta i costi della ristrutturazione capitalista vengono rovesciati sui lavoratori. Ricordiamo alcune cose. La Fiat è l’azienda che è diventata gigante grazie alle commesse belliche e al legame col regime fascista; è l’azienda che nel dopoguerra assumeva gli squadristi per fare spionaggio antisindacale nei reparti per poter licenziare i militanti della Cgil e del Pci; è l’azienda che si è fatta pagare dallo Stato gran parte dei suoi investimenti; è l’azienda che si è fatta vendere per due lire (che ha pure tentato di non pagare) dall’Iri l’Alfa Romeo (presidente dell’Iri al tempo: Romano Prodi), distruggendo poi migliaia di posti di lavoro (Arese è passata da 12mila a 2mila operai); è l’azienda che solo di Cassa Integrazione ha ricevuto fra il 1977 e il 2002 qualcosa come 120 miliardi di euro; è l’azienda che si è fatta regalare i soldi della rottamazione, che per aprire gli stabilimenti al sud (chiudendo quelli al nord) ha ottenuto sgravi fiscali, deroghe al ribasso ai contratti nazionali, facilitazioni di ogni genere. Riteniamo che sia pericoloso parlare di «nuovi piani industriali» e di «rilancio», così come di «necessità d’intervento pubblico» se ciò significasse ripercorrere la strada dell’intervento pubblico come stampella dei profitti privati. Sarebbe pericoloso anche accettare per l’ennesima volta la politica dei sacrifici accettando la logica che pone lavoratori di un paese contro lavoratori di altri paesi per una competizione al ribasso a tutto vantaggio dei padroni. Riteniamo che proporre la parola d’ordine della nazionalizzazione della Fiat senza indennizzo non sarebbe un esproprio, ma piuttosto la restituzione del maltolto!

Tuttavia, anche parlare di "nazionalizzare" non basta, perché non tutte le nazionalizzazioni sono uguali. Lo Stato più e più volte ha nazionalizzato delle industrie in crisi su ordine e per conto dei padroni, al fine di venir loro in soccorso e salvarli dalle contraddizioni del loro stesso sistema capitalistico. Nazionalizzazioni di questo genere non significano null’altro che far pagare i costi delle crisi aziendali ai lavoratori medesimi (socializzando le perdite attraverso le spese statali), per poi vedere le stesse imprese, una volta risanate, vendute per quattro soldi agli stessi padroni cambiatisi d’abito. Perciò è centrale rivendicare il controllo da parte dei lavoratori e non di una qualsivoglia squadra di burocrati statali. Basta con gli inganni, le fabbriche devono essere gestite da e per conto dei lavoratori nel loro insieme!

Non possiamo aspettare l’intervento dello Stato, la Fiat potrà essere nazionalizzata sotto il controllo operaio solo se i lavoratori metteranno lo Stato davanti al fatto compiuto di un’azienda autogestita e di una lotta a oltranza. In un contesto di crisi economica, nel quale saranno sempre di più le aziende che tagliano, chiudono o licenziano, le parole d’ordine dell’esproprio e del controllo operaio diventano uno dei terreni decisivi su cui i comunisti devono investire per avanzare la prospettiva di una società senza padroni, nella quale la produzione venga gestita democraticamente dai lavoratori e nella quale finalmente le capacità tecniche, il capitale, la scienza e la tecnologia non siano più strumenti di sfruttamento ma diventino la leva per migliorare la vita di tutti.

Noi - a partire dal caso Fiat - diciamo a tutti i lavoratori che se vogliamo uscire da questa spirale di crisi dobbiamo cominciare a mettere in discussione se chi siede comodamente nei consigli d’amministrazione delle banche e delle grandi imprese può decidere del nostro destino o dobbiamo essere noi stessi a riprendercelo nelle nostre mani.

Bologna 27 febbraio 2005

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