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DALLA “LISTA TISPRAS” A ROSS@: AFFRONTARE IL BLOCCO POLITICO DELLA SINISTRA ITALIANA

(21 Luglio 2014)

Ieri si è svolta l’assemblea nazionale della Lista Tsipras nel corso della quale si è evidenziato ancora una volta quella sorta di “blocco politico” che ormai da molti anni attanaglia la sinistra italiana.

Un “blocco politico” che deriva dall’incapacità di espressione di una propria autonomia da parte di una soggettività identitaria aperta al confronto sociale e politico.

Ogni iniziativa assunta dalla sinistra italiana appare vincolata a mosse tattiche dipendenti da altri soggetti e alla convenienze di collocazione di un “ceto politico” ormai disperatamente dipendente dalle scadenze elettorali.

Un “blocco politico” che ormai coinvolge anche quei settori della sinistra che dovrebbero, nelle intenzioni dei loro promotori, svolgere un ruolo di avanguardia come nel caso di Ross@. All’interno di Ross@ insistono ritardi ed esitazioni che non derivano semplicemente da fattori soggettivi derivanti dalle storie diverse e dalla volontà di autoconservazione dei soci fondatori, ma dalla carenza di una volontà e di una capacità di analisi effettiva dello stato di cose in atto e dalla conseguente assunzione di adeguati livelli di responsabilità politica.

Un esempio evidente di questa situazione lo si è avuto proprio nel corso della stessa Assemblea della Lista Tsipras laddove il dibattito si è avvitato sulla prossima scadenza elettorale delle Regionali, nel prossimo autunno in Calabria e in Emilia e nella primavera del 2015 nella maggior parte delle altre Regioni e sulle ipotesi di alleanza con il PD , al punto che è stata affermata una sorta di “liberi tutti” allo scopo di preservare una possibile “unità” per le future elezioni politiche, da realizzarsi evidentemente sotto forma di “cartello” utile soltanto per scavalcare quel “quorum” che sarà stabilito dalla versione definitiva dell’Italicum.

Addirittura l’eurodeputata Forenza ha teorizzato l’autonomia delle “alleanze sociali” presenti sul territorio nel determinare il “posizionamento politico”, ovviamente variabile a seconda delle circostanze. Se questa è una linea di pensiero e non una semplice “boutade” siamo di fronte ad una idea un rovesciamento del rapporto tra soggettività politica e istanze sociali che suscita davvero forti dubbi per il futuro.

Alla fine dell’Assemblea è stata lanciata la proposta di progettare un “New Deal” della democrazia, del lavoro, della cultura in Italia e in Europa.

In questo modo l’unica prospettiva concreta appare essere quella di una serie d’iniziative comuni, con qualche bel dibattito e qualche passeggiata romana, per poi – appunto – azzannarsi sull’osso di ogni scadenza elettorale.

Nessuna idea di costruzione di soggettività, nemmeno un accenno alla necessità di affrontare il tema dell’apparente obsolescenza (indotta dall’ideologia dell’avversario) del tema del partito politico, nessuna analisi di fondo al riguardo della situazione italiana.

Proviamo allora a riassumerla questa situazione italiana caratterizzata dall’impoverimento generale, dalla disoccupazione, dalla precarietà, dal disfacimento dello stato sociale, dallo spreco della finanza pubblica, dalla corruzione in un Paese dove intere zone geografiche e parti dell'economia sono in mano al malaffare, delle spartizioni, dal soggiacere ai diktat europei, dall'essenza di ruolo e di tensione anche morale rispetto ai grandi conflitti che agitano il mondo, dall'indifferenza verso l'emigrazione dei disperati... Serve altro?

In questo quadro drammatico il PD cerca di costruire un potere (oligarchico? personale?) fine a se stesso, che ha come confine il potere stesso con il compito di insabbiare la domanda sociale ed eluderla nel mare della piaggeria dei mezzi di comunicazione di massa.

Questa è la situazione italiana, nel quadro europeo e nella realtà della quotidianità vissuta.

Una realtà italiana di cui il PD è l’architrave nella costruzione di un vero e proprio regime all’interno del quale gli altri attori politici sono comprimari o di risulta, con un sistema di regole elaborate per oltrepassare la Costituzione Repubblicana e funzionare da semplice supporto per la conservazione e la ri-perpetuazione della forma–data del potere.

Dobbiamo interrogarci allora su di un punto: l’analisi fin qui sviluppata può essere considerata realistica? Se sì, anzi un poco al ribasso come siamo convinti, la risposta può essere una soltanto: quella della messa in campo sul piano politico e sociale di un’adeguata forma di opposizione, opposizione che può essere agita soltanto attraverso l’organizzazione fornita da un partito la cui identità, nel solco della storia e della tradizione della sinistra italiana ed europea, non potrà che essere fornita dai necessari elementi di progetto sui quali agire assieme l’idea di opposizione e di alternativa.

Non ci si può limitare al pensiero che iniziativa dopo iniziativa, passeggiata dopo passeggiata prenda forma una qualche soggettività politica: non è che allargando il campo dei partecipanti al controsemestre europeo si ottiene, automaticamente, una maggiore incisività sul piano generale.

La sinistra italiana ha bisogno di guardare in faccia almeno quattro elementi che nel recente passato ne hanno causato un rapido declino coinciso, naturalmente, con l’intensificarsi dell’attacco dell’avversario portato avanti su tutti i terreni, istituzionale, sociale, politico, culturale: attacco non riconosciuto nei suoi termini, anzi introiettato nei suoi contenuti tossici da parti consistenti della sinistra stessa, nel quadro di un processo riconoscibile come di vera e propria “rivoluzione passiva”.

I quattro elementi sono : l’accettazione piena e supina del concetto di personalizzazione della politica; la “svolta” governista a livello centrale e a livello locale, in una fraintesa “politica delle alleanze” con un esito micidiale soprattutto a livello locale sulla qualità del personale politico; l’assunzione, del tutto distorta e subalterna, del rapporto con i movimenti a partire dalla deleteria “discesa” di Rifondazione Comunista all’interno del Genoa Social Forum; l’adeguarsi della CGIL alla linea della concertazione filo-governativa che ne ha causato un vero e proprio crollo, dal quale pare non si possa neppure rialzarsi per pensare a un nuovo sindacato confederale di classe, come sarebbe invece necessario.

Quale può essere il luogo politico dove questi elementi, questi veri e propri nodi gordiani, possono essere produttivamente affrontati ?

Non certo all’interno di un’Assemblea che riunisce i partecipanti a un cartello elettorale (c’è un vizio di fondo) oppure all’interno di un “club” che riunisce elementi dalla provenienza diversa intenti a discutere con occhi e orecchi rivolti verso la loro nicchia di provenienza, attenti soltanto a non perdere le piccole fette di potere che derivano, appunto, da quel luogo d’origine.

Queste due vicende, quelle di più diretta attualità, ci fanno affermare dell’esistenza di un vero e proprio “blocco politico”,

Come può essere superato?

Attraverso l’espressione e la compiuta definizione dei due elementi fin qui richiamati e strettamente connessi tra di loro : l’opposizione e il partito.

Cioè un partito per l’opposizione.

Può nascere un progetto politico di questo tipo?

Non basterà la discussione di merito, del resto già provvista sufficientemente di elementi progettuali di buon livello. Servirà anche individuare il metodo giusto: e a questo obiettivo dovrebbero essere dedicati impegno, riflessione, iniziativa ben più serrati di quanto non stia accadendo.

Si tratta di trovare lucidità e forza per stabilire le giuste coordinate per far crescere un movimento politico reale.

20/07/2014

Patrizia Turchi e Franco Astengo

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