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(21 Novembre 2012) Enzo Apicella
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Lice (Diyarbakir): un morto per onorare i martiri

(20 Agosto 2014)

licediyarbakier

Su quelle tombe i familiari pregano, gli attivisti meditano di passato e futuro, gli uomini dei villaggi che non ci sono più fanno la guardia. Perché la memoria della collina della memoria sia un monito per il tanto sangue versato. Ma ieri a Sehid Amed e nel cimitero di Sise è tornata la furia distruttiva e omicida dell’esercito turco. Si voleva rimuovere il busto di Mahsum Korkmaz, comandante e martire del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, una delle migliaia di vittime del duro conflitto che alla fine degli anni Novanta ha mietuto vite di combattenti e abitanti kurdi da una parte, e di militari turchi dall’altra. Ma la “pacificazione” e i dialoghi in corso fra i vertici politici del movimento kurdo e quelli dello Stato turco non limitano la repressione sul territorio. Esercito, polizia, magistratura non demordono e proseguono nella linea coercitiva sulla quale si diletta con ‘stop and go’ l’Esecutivo finora guidato da Erdogan. Anche il primo cittadino di Lice Rezan Zugurli, neo eletta con percentuali dell’oltre 80% nelle amministrative di marzo, a giugno era stata colpita da una condanna a tre anni di reclusione per aver partecipato, negli anni precedenti, a manifestazioni di protesta terminate con scontri di piazza.

Lì le proteste si ripetono periodicamente per il totale disinteresse del governo centrale alle necessità di questa comunità montana, vista da Ankara come fumo negli occhi per aver dato i natali all’organizzazione del Pkk. La Turchia (col supporto di Usa e Unione Europea) considera il partito kurdo un gruppo terroristico e ripropone continue azioni coercitive anche nelle aree dove la popolazione ne elegge gli attivisti alle massime cariche pubbliche. Fra maggio e giugno la popolazione di Lice aveva manifestato contro il rilancio di ristrutturazioni di caserme deciso dal ministero della Difesa, edifici che il sindaco Zugurli voleva destinare a uso civile come foresterie o scuole. La condanna della magistratura nei suoi confronti ha il valore di punizioni retroattive dal sapore intimidatorio. Con la rimozione del citato busto del combattente, che la comunità kurda ricorda con affetto e riconoscimento, è andata in scena una provocazione bella e buona. I soldati hanno occupato l’area con mezzi blindati e armi spianate e alle iniziali proteste hanno risposto sparando. La pallottola, che ha inizialmente ferito l’attivista Mehdi Taskin, è risultata fatale. A Sehid Amed s’aggiunge un’altra candida tomba che nessun kurdo voleva.

20 agosto 2014

articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it

Enrico Campofreda

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