">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Acqua!

Acqua!

(20 Marzo 2010)
Manifestazione contro la privatizzazione dell’acqua a Roma. Partecipa anche il movimento di solidarietà con il Popolo Palestinese

Tutte le vignette di

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Imperialismo e guerra)

Imperialismo e guerra:: Altre notizie

A proposito della polemica di Battaglia Comunista col SI Cobas sulla Palestina

(17 Settembre 2014)

Battaglia Comunista ha attaccato duramente un comunicato del SI Cobas, intitolato: “Solidarietà incondizionata alla lotta del popolo palestinese”. Riporta alcuni passaggi del comunicato, che ritiene significativi. “Solidarietà incondizionata alla lotta del popolo palestinese […] Dalla resistenza eroica di Gaza rinasca una nuova Intifada per liberare tutta la Palestina e avviare il riscatto degli oppressi nel Medio Oriente e nel mondo! […] Mettere sullo stesso piano i razzi di Hamas e l'ecatombe perpetrata da Israele, oltre ad essere risibile sul piano dei numeri, è disgustosa perché mette sullo stesso piano vittime e carnefici, oppressori e oppressi […] la lotta eroica di Gaza dimostra che il popolo palestinese non intende piegarsi all'aggressore sionista, che è disposto, nonostante le immani sofferenze a cui è sottoposto, a lottare e a rilanciare con ogni mezzo la prospettiva della propria liberazione.”
Il SI Cobas è uno dei pochi sindacati veramente combattivi – basti citare le lotte dei facchini – e non ha certo bisogno della mia difesa, sa benissimo difendersi da solo. Fare una critica completa di questo articolo richiederebbe perlomeno un opuscolo, per cui mi limiterò solo ad alcuni punti. Quello che mi colpisce in questo articolo è la granitica convinzione dei militanti di Battaglia C. di rappresentare l’ortodossia marxista, e su questo, data per scontata l’assoluta buona fede dei compagni, esprimo le mie riserve.
Il nocciolo della loro posizione è sintetizzato nella nota 4: “Da quando il capitalismo è entrato nella fase imperialista …le “lotte di liberazione” sono state uno strumento bellico attraverso il quale potenze internazionali, alleate con le borghesie locali, agiscono nello scontro interimperialistico.”
Vediamo se questa affermazione è compatibile con le posizioni di Marx, Engels e Lenin, cioè con quella linea storica che in due secoli successivi ha costituito l’ossatura fondamentale della teoria comunista. Occorre, a questo punto, una breve sintesi storica, su come la corrente marxista considerava la questione nazionale nell’Ottocento, e poi nell’era imperialistica.
Ripeterò cose note, però bisogna ricordare che non sempre ci troviamo di fronte a vecchi compagni, ma spesso di fronte a giovani che non hanno avuto il tempo di formarsi politicamente.
Marx ed Engels – e su questi punti non penso ci siano divergenze con B.C. – diedero particolare peso alla lotta per l’indipendenza della Polonia e dell’Irlanda, anche per la loro contiguità con due grandi potenze. Una Polonia indipendente era un baluardo contro il peggior nemico delle rivoluzioni, borghesi e proletarie, lo zarismo russo. I proudhoniani dichiaravano di combattere tutti i dispotismi come partigiani della libertà, ma, aggiungevano, “come delegati a un congresso economico, crediamo di non avere niente da dire sulla ricostituzione politica della Polonia.” (1) La sottovalutazione dei proudhoniani della questione nazionale è una costante, ed ebbe una persistente influenza sul movimento operaio anche in epoche successive, anche tra quelle correnti che si autodefinivano marxiste.
Sull’Irlanda, una sintesi delle posizioni marxiste si ha nella “Comunicazione confidenziale del Consiglio generale” (1870), dedicato in gran parte alla polemica con Bakunin, ma che tocca pure altri temi: “Se l’Inghilterra è il baluardo del landlordismo e del capitalismo europei, l’Irlanda è l’unico punto dove si può sferrare il grande colpo contro l’Inghilterra ufficiale.
In prima linea, l’Irlanda è il baluardo del landlordismo inglese. Qualora esso cadesse in Irlanda, cadrebbe anche in Inghilterra. In Irlanda l’operazione è cento volte più facile, perché la lotta economica si è concentrata esclusivamente sulla proprietà terriera, perché qui questa lotta è al tempo stesso nazionale e perché qui il popolo è più rivoluzionario ed esasperato che non in Inghilterra.”
Vengono individuati gli stretti legami tra il movimento insurrezionale nella colonia e la lotta di classe in Inghilterra. “L’Irlanda è l’unico pretesto del governo inglese per mantenere un grande esercito permanente, il quale, dopo essersi fatto un’educazione soldatesca in Irlanda, viene scatenato, quando occorre, contro gli operai inglesi…” “Un popolo che ne soggioga un altro, ribadisce le proprie catene”.
Passiamo a Lenin e all’epoca dell’imperialismo: “ Il fatto che la lotta per la libertà nazionale contro una potenza imperialista può essere utilizzata, in certe condizioni, da un’altra “grande”potenza per i suoi scopi egualmente imperialisti, non può costringere la socialdemocrazia a rinunciare al riconoscimento del diritto di autodecisione delle nazioni…” Lenin mette in guardia contro gli inganni e i tradimenti della borghesia nazionale del paese oppresso nei confronti degli operai, e ribadisce la necessità di un unità anche organizzativa tra i proletari del paese oppresso e quelli del paese oppressore. (2) In un altro scritto , in polemica con i socialisti polacchi, dice che è profondamente antimarxista pensare che si possa distorcere la parola d’ordine della rivoluzione socialista associandola ad un’altra posizione rivoluzionaria conseguente, per esempio la questione nazionale.
Lenin fu durissimo con Radek, che aveva definito l’insurrezione irlandese del 1916 un putsch. Parlò di un dottrinarismo e di una pedanteria mostruosi, coincidenti con le posizioni di un nazional liberale russo, il cadetto A. Kuliscer, che aveva qualificato l’insurrezione di “putsch di Dublino”,
“Credere che la rivoluzione sociale sia concepibile senza insurrezioni delle piccole nazioni nelle colonie e in Europa, senza esplosioni rivoluzionarie di una parte della piccola borghesia con tutti i suoi pregiudizi, senza movimenti delle masse proletarie e semiproletarie politicamente incoscienti contro il giogo feudale, clericale, monarchico, nazionale, ecc. , è ripudiare la rivoluzione sociale”
“ Chi attende una rivoluzione sociale “pura” non vivrà mai abbastanza per vederla”(3). L’errore degli irlandesi fu quello di insorgere nel momento sbagliato, quando la rivoluzione del proletariato europeo non era ancora matura. ),
Nella polemica contro Piatakov (Kievski) Lenin si scaglia contro “gli amici poco seri”: “ per i quali la parola imperialismo è diventata “una moda”…imparata questa parola, seminano tra gli operai la più irrimediabile confusione teorica, risuscitando tutta una sequela di vecchi errori del vecchio “economismo”. Il capitalismo ha vinto, e quindi non bisogna più pensare alle questioni politiche, argomentavano i vecchi “economisti” negli anni dal 1894 al 1901, giungendo a negare la lotta politica in Russia. L’imperialismo ha vinto, e quindi non bisogna più pensare alle questioni della democrazia politica, argomentano gli “economisti imperialistici” del nostro tempo”. Per Piatakov, l’autodecisione delle nazioni conduce direttamente al social patriottismo. “ La difesa della patria fa parte dell’arsenale di nostri peggiori nemici…”. Lenin distingue tra guerra nazionale e guerra imperialistica, cita l’esempio di una guerra della Persia contro la Russia, dei paesi oppressi contro le grandi potenze. Occorre guardare la sostanza reale di ogni guerra. Se la sostanza reale è la divisione delle colonie, la parola d’ordine della difesa della patria è un inganno, ma diverso il caso in cui la sostanza reale è la liberazione dal giogo straniero. La guerra è la continuazione della politica, occorre studiare la politica che precede la guerra. Se la sostanza è la spartizione delle colonie, la parola d’ordine della difesa della patria è un inganno, ma diverso il caso in cui la sostanza reale è la liberazione dal giogo straniero. La guerra è la continuazione della politica, occorre studiare la politica che precede la guerra.
Bisogna valutare ogni singola guerra in concreto, continua Lenin. L’epoca tra il 1789 al 1871 vide la prevalenza delle guerre di liberazione nazionale, ma vi furono anche guerre coloniali e guerre tra imperi reazionari. Nell’era del capitalismo finanziario, accanto alle guerre imperialistiche permangono guerre nazionali. Sostenere il contrario porta a un “abuso caricaturale del concetto di “epoca imperialistica””. Nell’Europa occidentale e negli USA il movimento nazionale rappresenta il passato, in Europa orientale il presente, nelle colonie e semicolonie il futuro.
L’abuso del concetto di epoca imperialistica è attualissimo, perché, col pretesto che siamo nell’epoca imperialistica molti gettano a mare punti fondamentali del marxismo: siamo nell’età dell’imperialismo, quindi non esiste più la questione nazionale, e neppure la questione contadina (anche se sono più di un miliardo, in Asia, Africa, America latina), i sindacati non hanno più senso… Se davvero non esistesse più la questione nazionale, bisognerebbe riconoscere che, se Marx aveva ragione nell’immediato, Proudhon era più lungimirante.
Abusando del concetto di epoca imperialistica, si gettano in un angolo il marxismo e si rispolverano inconsapevolmente dottrine proudhoniane.
Negare come Piatakov l’autodecisione delle nazioni nel periodo imperialistico - afferma Lenin – vuol dire confondere l’essenza economica dell’imperialismo con le sue tendenze politiche. L’autodecisione è più difficile da realizzare nell’epoca imperialistica. L’imperialismo tende a distruggere l’indipendenza, perché con l’annessione politica quella economica è più facile. Ma, se c’è una legge della concentrazione economica, non esiste una legge della concentrazione politica o statale. Le lotte nazionali, le insurrezioni nazionali, le separazioni s’intensificano nel periodo imperialistico, perché si acuisce l’antagonismo tra le aspirazioni democratiche e quelle antidemocratiche dei trust. Lenin porta l’esempio dell’indipendenza della Norvegia, e l’impegno dei lavoratori svedesi per impedire all’aristocrazia e alla borghesia di schiacciare con la forza il tentativo di secessione.
L’errore dell’economismo imperialistico e gli altri errori analoghi si fondano su un travisamento della natura dell’imperialismo: “ L’imperialismo puro, senza il fondamento del capitalismo, non è mai esistito, non esiste in nessun luogo e non potrà mai esistere. Si è generalizzato in modo errato tutto ciò che è stato detto sui consorzi, i cartelli, i trust, il capitalismo finanziario, quando si è voluto presentare quest’ultimo come se esso non poggiasse affatto sulle basi del vecchio capitalismo”
“Se Marx diceva della manifattura che essa è una sovrastruttura della piccola produzione di massa, l’imperialismo e il capitalismo finanziario sono una sovrastruttura del vecchio capitalismo. Se se ne demolisce la cima, apparirà il vecchio capitalismo.” Le distruzioni della guerra demoliscono in parte questa sovrastruttura, e risorgono forme di capitalismo arretrato, come il mercato nero e “l’uomo del sacco”, il borsanerista che rispunta in tutte le guerre. Per Lenin, quindi, non esiste un muro invalicabile tra vecchio capitalismo e imperialismo.
Se si sostiene che nell’imperialismo le lotte di liberazione nazionali sono uno strumento delle potenze imperialistiche, si deve avere la consapevolezza che con ciò si dichiara falsa la posizione di Lenin. Neppure nelle Tesi che Battaglia Comunista approvò al II congresso del “Partito Comunista Internazionalista battaglia comunista” nel 1952, dopo la scissione con Programma Comunista, c’è la sconfessione del passato leninista, anche se si ritiene superata quella fase:
“Il Partito ritiene definitivamente chiuso il periodo dei moti nazionali anche nei paesi coloniali a struttura economica prevalentemente precapitalista, nei quali lo sviluppo del capitalismo indigeno s’incrocia col capitalismo della nazione colonizzatrice attraverso legami strettissimi e congeniti di classe, per effettuare in comune la dominazione sullo stesso proletariato "colonizzato". Non esiste oggi nell’Occidente e nell’Oriente, Asia compresa, un solo paese, per quanto economicamente arretrato, in cui il proletariato senta "più" il problema dell’indipendenza nazionale e "meno" la sua liberazione dal duplice sfruttamento capitalistico”.
“Riproporre oggi il tema della strategia leninista, che al presupposto dell’affermazione vittoriosa dello Stato proletario faceva giustamente dipendere la visione dialettica della lotta mortale da condurre contro il più grande complesso di potenza coloniale quale era allora l’Inghilterra, significa porsi sul piano della strategia dello Stato russo, significa, in una parola, legare la causa del proletariato al carro dell’imperialismo”. (Partito rivoluzionario e lotte dei popoli coloniali).
La rottura definitiva con Lenin giunge con i “Principi guida” del Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario (Bipr) del 1983 - ufficio comune al “Partito Comunista Internazionalista - battaglia Comunista” e l’inglese “Communist Workers Organisation” (CWO) - si affermava che: “L’era storica in cui le lotte di liberazione nazionali potevano rappresentare un elemento progressivo all’interno del mondo capitalistico è finita da molti decenni (con la Prima guerra imperialista nel 1914)” “E’ da combattere ogni ipotesi che consideri ancora aperta in qualche paese la questione nazionale e che consideri quindi che il proletariato debba in questi casi abbandonare la propria strategia rivoluzionaria per allearsi con la borghesia locale (o peggio con un fronte imperialistico”.
Si noti che la fine del carattere progressivo delle lotte di liberazione nazionale viene retrodatata al 1914, quindi Lenin viene pienamente sconfessato, e in fondo anche Onorato Damen, che giustificava l’impostazione di Lenin, almeno per il passato. Bisogna essere consapevoli dell’assoluta incompatibilità delle posizioni di Lenin e di quelle attuali di B.C.
Riguardo alla guerra di Gaza, B.C. scrive che “In una situazione di scontro bellico… la parola d’ordine sulla quale storicamente i comunisti fanno leva è disfattismo rivoluzionario!” E al SI Cobas che scrive: “Mettere sullo stesso piano i razzi di Hamas e l’ecatombe perpetrata da Israele, oltre ad essere risibile sul piano dei numeri, è disgustoso perché mette sullo stesso piano vittime e carnefici, oppressori e oppressi”. B.C. risponde “Una valutazione del genere non può basarsi solo su un dato quantitativo”.
Povero Lenin! Quante volte Lenin ha ribadito che non si può affrontare il tema della guerra in termini astratti, e che è essenziale capire la sostanza reale di ogni conflitto, il motivo per cui si combatte una guerra concreta, occorre studiare la politica che precede la guerra. La politica di Israele verso i palestinesi è la pulizia etnica, e Gaza è poco più di un Bantustan, i cui contadini vengono presi a fucilate quando raccolgono le ulive e i pescatori hanno la stessa sorte. Bambini arrestati, ragazzini ammazzati con pretesto che sono terroristi. La stessa disparità di forze è fondamentale. Marx scrisse: “Il possessore di denaro e di merci si trasforma realmente in capitalista, solo quando la somma minima anticipata per la produzione supera di gran lunga il massimo medioevale. Qui, come nelle scienze naturali, si rivela la validità della legge scoperta da Hegel nella sua Logica, che mutamenti puramente quantitativi si risolvono ad un certo punto in differenze qualitative”. (6) Bordiga, in tempo non sospetti, su Prometeo n. 13 del 1949, quando negli stessi giornali scrivevano con lui Damen, Bruno Maffi, Ottorino Perrone… scrisse: “ A fini di classe, a fini di rivoluzione, il marxista attira sulla zona dove opera anche maggiori cataclismi.”. Ma chiarì che in certi casi, per esempio contro la strapotenza americana, si trattava di “pura cecità”. Col criterio prevalso in B.C., i proletari di Grenada, invasa dagli USA, avrebbero dovuto dichiarare il disfattismo rivoluzionario, e così i proletari algerini nella guerra antifrancese, così i vietnamiti. La Russia sovietica, invece di aiutare la Turchia di Atatürk contro gli imperialismi inglese, francese, italiano, avrebbe dovuto chiedere agli operai turchi di insorgere. Ecco le assurdità che deriverebbero dall’applicazione dei “principi guida del 1983: “L’era storica in cui le lotte di liberazione nazionali potevano rappresentare un elemento progressivo all’interno del mondo capitalistico è finita da molti decenni (con la Prima guerra imperialista nel 1914)”.
La storia, parafrasando un detto celebre di Černyševskij ripreso da Lenin, non è diritta come la Prospettiva Nevskij. Ci sono periodi in cui si torna indietro. I comuni medievali ricaddero sotto il dominio aristocratico, la rivoluzione russa ha visto la più completa restaurazione borghese, nazioni relativamente floride come Iraq e Libia sono ridotte in condizioni coloniali. Anche se pressoché ovunque la borghesia è controrivoluzionaria, le nazionalità oppresse esistono, e, come abbiamo visto in Lenin, la rivoluzione è inconcepibile senza l’insurrezione delle piccole nazioni, persino in Europa. Questo non comporta necessariamente la difesa del regime vigente nel paese oppresso.
Altro punto inaccettabile è che l’affermazione che “per propria “natura” il sindacalismo è la cinghia di trasmissione del riformismo”. Sostenere che “nuovi organismi di massa (consigli di fabbrica, soviet o altro come in Russia e in Germania)” siano “strutturalmente e politicamente più idonei del sindacato a sentire in concreto, sotto la guida del partito rivoluzionario, i problemi del potere “ (O. Damen, “A. Bordiga, validità e limiti d’una esperienza, da una «Lettera- documento del comp. Damen al comp. Bordiga sulla questione sindacale”), vuol dire non tener conto che, non solo la rivoluzione, ma anche la lotta di classe non sono questioni di forma di organizzazione. I consigli di fabbrica, gli stessi soviet, possono essere guidati da opportunisti ed essere addirittura integrati nella costituzione statale. Non c’è nessuna struttura che per propria “natura” rappresenti una garanzia, lo stesso partito bolscevico, che pure aveva guidato la rivoluzione, fu vinto dall’opportunismo, prima ancora della distruzione fisica della vecchia guardia. Non si tratta di scegliere tra una forma di organizzazione e un’altra, ma di lavorare in qualsiasi organizzazione proletaria indipendente dalla borghesia e dallo stato.
Nel "PROGETTO DI PROGRAMMA DI AZIONE PRESENTATO DAL P.C.d’I al IV Congresso dell' Internazionale comunista, si diceva: “Di massima e sistematicamente i comunisti lavorano in quegli organismi che sono aperti a tutti i lavoratori e non esigono dai loro aderenti speciali professioni di fede religiosa o politica. Nella situazione di oggi in Italia si considerano come tali i seguenti organismi: Confederazione Generale del Lavoro, Sindacato Ferrovieri Italiani, Unione Sindacale Italiana, Unione Italiana del Lavoro, Federazione Italiana Lavoratori dei Porti, Lega Nazionale delle Cooperative, Federazione Nazionale delle Mutue, Lega Proletaria Mutilati ed Invalidi di Guerra ed altre minori associazioni. In tutti questi organismi, di massima, i comunisti hanno i loro gruppi, ben collegati tra loro e col Partito, che vi sostengono il programma conforme alle direttive comuniste, traendo dal Partito le linee fondamentali ed elaborandone nel loro lavoro la parte specifica e tecnica.” I nostri predecessori, come si vede, non avevano problemi di forma di organizzazione, lavoravano ovunque fosse possibile. E non è detto che l’attuale scarsità di organismi proletari indipendenti debba durare in eterno.
Come si è visto, comunisti come Piatakov, Radek, lo stesso Bucharin, sostennero durante la guerra posizioni settarie sulla questione nazionale, ma il calore della rivoluzione unificò i loro sforzi, anche se alcuni non riuscirono a capire pienamente il loro errore.
Oggi i comunisti sono divisi in tante piccole organizzazioni, e, come i rivoluzionari antiromani del film Brian di Nazareth dei Monty Python, vedono più spesso l’avversario nel gruppo rivale che nell’imperialismo di Roma.
Tutti siamo o siamo stati vittima di questo settarismo, e, poiché la situazione attuale non ci aiuta certo a chiarirci le idee, la rilettura delle grandi opere marxiste può aiutarci a superare alcuni limiti.
“Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante”. E’ assurdo pensare che noi comunisti, per intercessione di san Karl Marx, possiamo sfuggire del tutto a questa influenza. La lotta teorica tra comunisti, quindi, non deve tendere a svilire o a distruggere l’interlocutore, ma a farlo riflettere, per riconquistare insieme una corretta posizione di classe.

Note
1) “Memorie dei delegati francesi al congresso di Ginevra” (1866)”
2) Lenin, “La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione (Tesi)”, gennaio febbraio 1916.( “Marxismo o proudhonismo?” e “L’insurrezione irlandese del 1916”)
3) Lenin, “Bilancio d’una discussione sul diritto delle nazioni a disporre di se stesse”. Luglio 1916.
4) Lenin, “Intorno a una caricatura del marxismo e all’”economismo imperialistico”, ottobre 1916.
5) Lenin, “VIII Congresso del PC(b)R, Rapporto sul programma del partito”, 19 marzo 1919.
6) Karl Marx, “Il Capitale, Terza sezione, La produzione del plusvalore assoluto, Capitolo Nove, Saggio e massa del plusvalore.”

Michele Basso

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie dell'autore «Michele Basso (Savona)»

6023