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Rachel Corrie vive

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(5 Giugno 2010) Enzo Apicella
E' arrivata al largo di Gaza la nave Rachel Corrie, intitolata alla pacifista americana assassinata dai soldati israeliani nella striscia di Gaza nel 2003

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Senza dogmi “marxisti” né miti “leninisti”

Come inquadrare oggi le “lotte di liberazione nazionale”? (Prima parte)

(5 Ottobre 2014)

Sullo scorso numero di “Battaglia Comunista” abbiamo pubblicato l’articolo «Il SI COBAS, il mito della “Palestina” libera e la pratica comunista». Nell’articolo venivano ribaditi alcuni nostri punti fermi sul tema “lotte di liberazione nazionale” per poi passare ad analizzare il comunicato prodotto dal SI COBAS.
Mettendo in discussione due capisaldi (“lotte di liberazione” e “sindacato di classe”) di diverse correnti, immaginavamo che avremmo urtato la sensibilità politica di molti teorici, organizzazioni e militanti. Oltre agli isterici sfoghi personali e gli infantili insulti circolati sui social network - che non meritano di essere presi in considerazione – è stato prodotto da M. Basso un articolo di critica nei nostri confronti (10). Il confronto con altre organizzazioni o singoli compagni rientra tra le nostre attività, ed il dibattito in alcuni casi può assumere anche toni aspri, sebbene ciò sia da evitare. Non siamo certamente noi a sottrarci al confronto, anzi lo promuoviamo, ma decidiamo di spendere tempo e forze in questa attività quando intravediamo la possibilità – o almeno la speranza – di aprire un confronto leale e reale, che non si perda nella solita e sterile litigata. Senza ipocrisia, vogliamo dire che per quanto riguarda M. Basso tale “possibilità” non la intravediamo. Al di là delle dichiarazioni finali, di facciata, crediamo che non ci sia da parte dell’autore una reale volontà a confrontarsi. Pensiamo questo per diversi motivi. 1) L’autore conosce da molti anni le nostre posizioni, non le condivide, legittimo. Lo stesso vale per noi. 2) Il confronto può assumere anche carattere pubblico, certo, ma parallelamente a questo andrebbe aperto un canale privato. L’autore invece non ci ha mai inviato il proprio articolo, del quale siamo venuti a conoscenza solo grazie alle segnalazioni di lettori e simpatizzanti. L’autore, in generale, non ha mai avanzato verso la nostra organizzazione la volontà di volersi confrontare. 3) Il dibattito può assumere forme aspre ma in diversi passaggi Basso va ben oltre… abbandonandosi ad un linguaggio che si addice più alla pratica della provocazione piuttosto che al dibattito tra comunisti (11). 4) Oltre ad una ricostruzione storica, Basso non entra nel merito delle domande che ponevamo. Riferendoci al comunicato del SI COBAS ci chiedevamo, per esempio: «perché sono stati messi sullo stesso piano Hamas e i proletari?», cosa si intendeva per “rivoluzione d’area”, «I missili di Hamas farebbero parte di questa “rivoluzione”?». Su tali questioni, e su altre da noi sollevate, Basso non entra nel merito.
L’autore basa la propria critica semplicemente sulla non “compatibilità” della nostra analisi “con le posizioni di Marx, Engels e Lenin”, “cioè con quella linea storica che in due secoli successivi ha costituito l’ossatura fondamentale della teoria comunista”. Basso quindi ricostruisce tale “linea storica”, per dimostrare la presunta incompatibilità tra le nostre tesi e la teoria comunista. Una ricostruzione storica tutta personale, dove Basso, per esempio, non riporta un passaggio fondamentale: il dibattito tra Lenin, Luxemburg e la Sinistra Comunista italiana (12).
Non abbiamo ignorato l’articolo ma – lo diciamo esplicitamente – non intendiamo formulare una risposta diretta. Questo non per “settarismo” o “presunzione”, ma semplicemente perché non riteniamo utile spulciare e criticare la nota di M. Basso: finiremmo solo per alimentare un finto dibattito, una polemica inutile, perché fine a se stessa.
Riteniamo invece utile cogliere questa occasione per produrre alcune riflessioni, il tutto prescindendo dall’articolo di Basso e senza far riferimento ad esso.

lenin

Ci siamo trovati spesso a discutere su questo tema, con diverse organizzazioni e compagni(1). Abbiamo notato che tutti - per contrapporsi a noi e giustificare l’appoggio “incondizionato” a questa o a quella “lotta di liberazione” a questo o a quel nazionalismo - ad un certo punto del dibattito calano il jolly: i riferimenti a Marx, Engels e Lenin. La loro conclusione quindi spesso è sintetizzata dall’affermazione: “le vostre tesi non sono marxiste”.

Marx nell' ‘800 aveva giustamente assegnato ai moti nazionali un carattere progressivo. Siamo nella fase di ascesa del capitalismo, in cui la borghesia lottava contro ciò che restava della società feudale, per l’affermazione completa dei rapporti di produzione capitalistici. In questo contesto i moti nazionali di indipendenza, per la formazione degli stati nazionali, assumevano un carattere progressivo in quanto parte del processo di smantellamento della decadente società feudale. «È in questo senso che occorre considerare l'apparente affiancamento dei moti socialisti rivoluzionari di allora ai moti capitalisti contro le roccaforti del feudalesimo»(2). Marx ed Engels analizzavano i moti nazionali quando questi contribuivano al superamento delle strutture feudali, a consolidare i rapporti capitalistici e ad alimentare la formazione di quel proletariato che sarebbe stato poi capace di recitare un ruolo autonomo nella storia della lotta di classe.

Non ci si può limitare, sempre e solo, a cercare risposte tra i testi “classici” ed è errato pretendere di definire le attuali indicazioni politiche attraverso il semplice copia/incolla di soluzioni “tattiche” formulate in passato(3). Per noi questo non significa aderire al metodocmarxista, e riduce le figure politiche rivoluzionarie a santini da venerare. Il marxismo – materialismo storico e dialettico, unito alla critica dell’economia politica – rappresenta uno strumento di analisi scientifica della storia, dell’evoluzione dei modi di produzione e dei rapporti sociali. In quanto metodo scientifico di analisi, bisogna tener conto che: 1) tutto parte dalla raccolta dei dati (dalla constatazione empirica del concreto), sulla base di ciò si definiscono leggi e modelli, 2) modelli e leggi - oltre ad essere validi fino a prova contraria - hanno un loro limitato campo di applicabilità, 3) il campo di validità può essere ristretto o ampliato, 4) le conclusione scientifiche possono essere provvisorie o migliorabili.

Il marxismo è un metodo d'analisi, non una religione. Esso ha, lo ripetiamo, punto di partenza nell’analisi del concreto; degli eventi, del loro contenuto storico, economico, sociale. “I presupposti da cui partiamo non sono arbitrari, non sono dogmi, sono invece presupposti reali...”(Marx, “L’ideologia tedesca”). Dimenticarsi di tutto ciò significa abbandonare il marxismo come metodo scientifico, renderlo morto, non più una guida per l’azione rivoluzionaria.

Lenin in “Materialismo ed empiriocriticismo” giustamente sottolineava che: «Per far progredire il materialismo, bisogna smettere il gioco banale con la parola “verità eterna” e bisogna saper porre e risolve dialetticamente la questione della correlazione tra verità assoluta e verità relativa». «La dialettica materialistica di Marx ed Engels contiene in sé incontestabilmente il relativismo, ma non si riduce ad esso, ammette cioè la relatività di tutte le nostre conoscenze, non nel senso della negazione della verità obiettiva, ma nel senso della relatività storica, dei limiti dell’approssimazione delle nostre conoscenze a questa verità» (4). «Per Engels, la verità assoluta è somma di verità relative […] Ogni passo nello sviluppo della scienza aggiunge nuovi granelli a questa somma di verità assoluta, ma i limiti della verità di ogni tesi scientifica sono relativi, giacché vengono ora allargati, ora ristretti col progredire della conoscenza». «Voi direte che questa distinzione tra verità assoluta e la verità relativa è indeterminata. Vi rispondo che essa è appunto “indeterminata” quanto basta per impedire che la scienza si trasformi in un dogma, nel peggior senso della parola, in qualche cosa di morto, di rigido, ossificato; ma nello stesso tempo, essa è “determinata” appunto quanto basta per distinguersi nel modo più deciso ed inequivocabile dal fideismo, dall’agnosticismo, dall’idealismo…»(5). «Chi dunque in questo campo (delle “scienze storiche”, ndr) dà la caccia a verità definitive di ultima istanza, a verità pure e in generale immutabili, poco porterà a casa, tranne banalità e luoghi comuni della peggiore specie…». Bisogna cercare di far proprio il metodo, non ridursi semplicemente a ripetere, e adattare in modo acritico, le conclusioni lette nei classici. Bisogna sviluppare la capacità di “saper porre e risolvere in modo dialettico la correlazione tra verità assoluta e verità relativa”, questo è un punto fondamentale per tenersi ancorati al metodo marxista. Quanto più si è incapaci di fare ciò tanto più ci si allontana dal metodo scientifico marxista.

Le analisi di Marx sui moti nazionali erano valide ma tale validità è limitata a quel contesto storico, esattamente come - p.es. - le conclusioni del secondo capitolo del "Manifesto" erano valide nel 1848, ma ritenute dagli stessi Marx ed Engels superate un quarto di secolo dopo, dopo la Comune di Parigi. Tornando alle “lotte di liberazione nazionale” analizzate da Marx possiamo dire che oggi movimenti nazionali con quel tipo di caratteristiche non esistono più, essendo ampiamente conclusa la fase di ascesa del capitalismo; il quale ormai da oltre un secolo è presente in ogni angolo della terra, nello stadio di sviluppo imperialista. Prendere a prestito i giudizi che Marx formulava sui moti nazionali ottocenteschi per applicarli a fenomeni totalmente diversi, come le attuali “resistenze” e “lotte nazionali”, è un grossolano errore, non ha alcun valore scientifico.

Passiamo a Lenin, la “pezza d’appoggio” più amata. È noto che Lenin nel 1920 non escludeva l’appoggio tattico ai “movimenti di liberazione nazionale e coloniale”, auspicando la “stretta alleanza” tra questi e “la Russia dei Soviet”(6). Le Tesi adottate dall’Internazionale Comunista (1920) pur affermando che “la politica dell'Internazionale Comunista deve assumere come base principalmente l'unione dei proletari e di tutte le masse lavoratrici di ogni nazione e paese, in una comune lotta rivoluzionaria per abbattere i proprietari fondiari e la borghesia”, allo stesso tempo non escludevano la collaborazione del proletariato con alcune borghesie nazionali: «per l'abbattimento del capitalismo straniero, che costituisce il primo passo verso la rivoluzione nelle colonie, la cooperazione degli elementi rivoluzionari nazionalisti borghesi è utile».

È necessario, obbligatorio, capire in quale contesto ciò avveniva e con quali motivazioni venivano giustificate quelle elaborazioni tattiche. Cerchiamo di ricostruirle. 1)Da sempre alla base della strategia bolscevica vi era l’estensione della rivoluzione su scala internazionale. Ma nel 1920 la Russia restava isolata e accerchiata, unica nazione dove la rivoluzione proletaria era avvenuta. L’alleanza tattica con i “movimenti di liberazione” avrebbe potuto contribuire ad indebolire alcune potenze capitaliste, in particolari quelle uscite vincitrici dalla guerra, per esempio l’Inghilterra. 2)In Russia era avvenuta la rivoluzione ed, in generale, eravamo in una fase storica ricca di fermento proletario. La Russia, con in più lo scoppio della rivoluzione in altri paesi economicamente avanzati avrebbero dovuto fungere da calamita. L'ipotesi tattica quindi era che la Rivoluzione Russa avrebbe potuto esercitare la funzione di polo di attrazione per le “lotte di liberazione nazionale” dei paesi coloniali, legandoli a doppio filo allo sviluppo delle conquiste rivoluzionarie dentro e fuori la Russia in una sorta di "doppia rivoluzione" che avrebbe visto i paesi nell'orbita della Rivoluzione Russa inesorabilmente contrapposti a quelli nell'orbita delle potenze imperialiste. 3)Premessa a tutto ciò era lo sviluppo indipendente dei partiti comunisti, agganciati all’Internazionale, nelle nazioni dove la tattica doveva essere applicata. Questo era lo spirito e le speranze che animavano Lenin.

Facciamo tali osservazioni non per “salvare la faccia” a Lenin. Semplicemente vogliamo sottolineare quanto sbagliato sia tirare oggi in ballo Lenin per giustificare l’appoggio “incondizionato” ai movimenti nazionali. È inutile infatti sottolineare che oggi non sono minimamente presenti i presupposti sui quali Lenin basava lo sviluppo delle proprie tesi tattiche. Al di là, quindi, se le giudichiamo giuste o sbagliate, le attuali tesi a sostegno delle “lotte di liberazione” certamente non possono essere ricondotte… alla “tattica di Lenin”. Lenin, a torto o a ragione, sviluppava una tattica inserendola all’interno del processo rivoluzionario comunista, gli attuali “tifosi” delle “lotte di liberazione” no, il loro sostegno è… “incondizionato”. Secondo i presupposti di Lenin, le “lotte di liberazione” avrebbero assunto carattere antimperialista perché agganciate alla rivoluzione socialista, secondo i “tifosi” attuali alcuni paesi e alcune “lotte di liberazione” sarebbero in sé “antimperialisti” e quindi andrebbero sostenuti “incondizionatamente”; mostrando così di non aver compreso la lezione che Lenin dà ne L’imperialismo : l’imperialismo non è una politica bensì “la fase suprema del capitalismo”.

In generale, la tattica va sviluppata partendo da presupposti reali. Non ha senso congelare tesi tattiche prese dal passato, dargli un valore assoluto e annoverarle tra i principi del programma comunista. Così si confondono, tipico dell’opportunismo, tattica e programma. La tattica definisce obiettivi contingenti, funzionali alla realizzazione del programma comunista. Ed è la tattica che “si piega” al programma, non viceversa.

Precisato ciò, va detto che la Sinistra Comunista italiana non digerì bene le proposte tattiche che Lenin avanzava. Anche se ne comprendeva, per diversi aspetti, lo spirito e le ragioni contingenti. Il loro impianto infatti, se supportato dalle tre premesse prima riportate, a quei tempi poteva apparire efficace; così poi non sarà. Già nel 1920, durante i lavori dell’Internazionale, la Sinistra Comunista sottolineò le proprie perplessità, in particolare su alcuni passaggi, come l’ambigua distinzione tra “popoli oppressi” e “popoli oppressori”. Ma ancor più lo farà negli anni successivi, quando le debolezze delle precedenti formulazioni tattiche si ingigantirono, entrando a far parte del processo degenerativo dell‘Internazionale: «L'appoggio di movimenti coloniali, ad esempio, ha tanto poco sapore di collaborazione di classe, che mentre si raccomanda lo sviluppo autonomo e indipendente del partito comunista nelle colonie perché sia pronto a superare i suoi momentanei alleati con un'opera indipendente di formazione ideologica e organizzativa, si chiede l'appoggio di movimenti di ribellione coloniale soprattutto ai partiti comunisti delle metropoli.» (7).

Ben note sono anche le critiche mosse dalla Luxemburg al principio sostenuto dai bolscevichi del “diritto delle nazioni a disporre di se stesse”. «In verità, in tutti i casi, non sono le nazioni che hanno fatto tale politica reazionaria, ma solamente le classi della grande e piccola borghesia che, in opposizione alle classi proletarie dei loro paesi hanno fatto di questo «diritto di libera disposizione delle nazioni» uno strumento della loro politica controrivoluzionaria di classe». «I bolscevichi dovevano imparare a loro spese, e a danno della rivoluzione, che precisamente, sotto il capitalismo, non vi è «libera volontà» della Nazione, che, in una società di classi, ogni classe della nazione cerca di «disporre di sé» in modi diversi e che per le classi borghesi i punti di vista di libertà nazionale scompaiono completamente dietro quelli della dominazione di classe» (8).

Chi aveva torto? Chi ragione? Per quanto ci riguarda abbiamo sempre trovato le osservazioni della Sinistra Comunista italiana e della Luxemburg corrette e lungimiranti. Ma schierarsi oggi, in quel dibattito del passato, con l’uno non significa screditare la figura rivoluzionaria dell’altro. Riteniamo che delle figure politiche rivoluzionarie i comunisti devono farne un bilancio; ciò vale in generale per le organizzazioni e le esperienze che hanno riguardato il movimento proletario. Bilancio significa: valutare, e fare proprio, quanto di positivo queste figure hanno portato nello sviluppo della teoria e prassi comunista. Lenin - e con lui il Partito bolscevico e la Rivoluzione d’ottobre – rappresenta per noi una figura rivoluzionaria proprio perché ha contribuito a produrre passi in avanti su molti, tanti, punti della piattaforma politica comunista. Ciò non vieta, alla luce anche di altri cento anni di storia, di criticarlo, se necessario.

Inoltre bisogna tener conto che non è sempre facile dare giudizi categorici sulle formulazioni tattiche adottate dai rivoluzionari in passato. È giusto e utile cercare di analizzarle ma quando si passa poi a formulare i giudizi, su alcuni punti a volte bisogna “accontentarsi” di fermarsi allo stadio della “semplice” perplessità, di mantenere vivo il dubbio. Ciò è vero in particolare quando ci si riferisce a periodi storici che si collocano a cavallo tra fasi diverse del capitalismo, dove le differenze non sono ancora ben delineate; o perlomeno non potevano esserlo agli occhi di chi ci ha preceduto. Forse anche per tale ragione alcuni nodi non potevano ancora essere sciolti ai tempi della Terza internazionale e diventarono oggetto di dibattito tra rivoluzionari di grande spessore.

Ma se, su alcuni aspetti, può essere concesso nutrire dubbi circa l’applicazione di quelle tattiche nel passato, nessun dubbio i comunisti devono nutrire quando si passa a valutare la loro applicabilità o meno oggi, in un quadro molto ben delineato. Invece di far progredite la teoria comunista la faremmo arretrare. Fermo restando la nostra condivisione delle critiche sviluppate già allora dalla Sinistra Comunista italiana e dalla Luxemburg, diciamo, senza alcun dubbio che: le formulazioni tattiche promosse da Lenin, e adottate dalla Terza internazionale, sulla questione nazionale e coloniale, oggi (e in futuro) non avrebbero alcun senso di esistere, nemmeno in una veste “riadattata”.

Come inquadrare allora oggi le cosiddette “lotte di liberazione nazionale”, “di autodeterminazione dei popoli”, “di indipendenza”? E quali sono le conseguenti conclusioni politiche? Il P.C. internazionalista negli anni ha prodotto sul tema molti lavori. Analisi giuste? Per noi ovviamente sì. Sbagliate? Una cosa è certa: abbiamo sviluppato le nostre tesi prendendo man mano in considerazione gli eventi, sforzandoci di applicare il metodo marxista, senza restare ingessati sotto l’influenza dei miti; nemmeno il mito di noi stessi. La “questione nazionale” infatti – come del resto tutte le altre – per essere analizzata va riportata nel proprio contesto, senza commettere l’errore di associare in modo forzato gli eventi attuali con quelli, del tutto differenti, analizzati da Marx. Lo stesso Lenin era stato “costretto” ad affermare che per inquadrare i “movimenti nazionali” bisognava distinguere tra un primo periodo, in cui si formava la società borghese, sulle macerie di quella feudale, dal periodo in cui gli stati capitalistici erano completamente formati e l’antagonismo borghesia-proletariato fortemente sviluppato. Così come anche Marx, in precedenza, inquadrava il problema distinguendo due fasi storiche già all’interno del primo periodo. Una prima fase in cui il proletariato non poteva che andare al rimorchio, in cui la lotta della borghesia contro l’aristocrazia, per la formazione di stati nazionali indipendenti, era condotta con l’apporto sussidiario del proletariato. Una fase successiva nella quale invece la lotta della borghesia diretta contro il proletariato assumeva già un peso molto consistente, in quanto la classe operaia iniziava a mostrare una propria capacità di lotta, con rivendicazioni autonome (vedi per esempio la Comune di Parigi). Ciò per ribadire ancora che: per periodi storici diversi, dinamiche apparentemente simili possono assumere in realtà contenuti fortemente diversi.

Tornando all’oggi. È veramente impossibile rispondere attraverso un “semplice” articolo in modo esaustivo alle domande che sopra ci siamo posti. In parte già lo abbiamo fatto nell’articolo inerente al comunicato del SI COBAS, mentre in una seconda parte di questo lavoro ci impegneremo a produrre una sintesi a punti, che possa essere da traccia per gli voglia approfondire seriamente le nostre analisi(9).

Per concludere, adesso, ci preme almeno sottolineare che nessuna frangia della borghesia oggi è rivoluzionaria, nè può svolgere una funzione rivoluzionaria o progressiva, nemmeno dal punto di vista nemmeno dal punto di vista borghese. Non ha alcun senso assegnare ad una frangia borghese un carattere rivoluzionario ed “antimperialista” solo per il fatto che oggi essa sia “più debole” e venga attaccata da un “imperialismo più forte”. Senza tener conto inoltre dei padrini imperialisti che le stanno dietro. Restando sul tema delle vicende mediorientali, per esempio, mentre i proletari palestinesi morivano come le mosche, ben 750 milioni di dollari dei dirigenti di Hamas, solo nel 2013, sono usciti da Gaza per trovare rifugio nelle Banche svizzere. Ogni azione di qualsivoglia frazione della borghesia oggi termina comunque con la conservazione degli attuali rapporti di produzione, quelli del capitalismo che ha raggiunto la propria “fase suprema di sviluppo” (imperialismo). Le “lotte di liberazione”, come le “aggressioni” imperialiste, sono parte dello scontro interimperialistico e quindi inserite totalmente in questo quadro di conservazione. Esse non hanno, e non potrebbero avere, alcun carattere di “indipendenza” o “progressivo”.

Nel capitalismo che da oltre un secolo si trova nella propria “fase suprema di sviluppo” (imperialismo) solo il proletariato è classe rivoluzionaria. Solo il potere del proletariato e la realizzazione di una società comunista oggi hanno carattere progressivo, in quanto solo essi propongono di rivoluzionare gli attuali rapporti di produzione, per lo sviluppo della società su basi diverse.

I comunisti devo mettere al centro del proprio lavoro la realizzazione del programma comunista. Oggi, in mancanza di quelle condizioni soggettive indispensabili affinché si possa aprire una fase rivoluzionaria, i comunisti devono agire per contribuire a sviluppare tali condizioni, anziché, come fanno in molti, ripiegare su soluzioni borghesi, proponendole come tappe “intermedie”, affidandogli un inesistente carattere progressivo.

NZ
(1) Sul tema abbiamo prodotto negli anni molto materiale. Per un approfondimento delle tematiche, qui solo brevemente trattate, consigliamo la lettura di “Dalla questione delle lotte di liberazione nazionale alla lotta contro ogni forma di nazionalismo”, capitolo IV del libro “Settant’anni contro venti e maree”, edizione Prometeo. Molto materiale, a partire dalle Tesi del 1997, è reperibile sul nostro sito web. Sul sito web è anche possibile trovare un’ampia rassegna di articoli sulla Questione palestinese.

(2) Indipendenza nazionale e lotta di classe, Battaglia Comunista n.11-1946

(3) Senza contare che non è raro il caso in cui le citazioni vengono falsificate ad uso e consumo di chi le adopera.

(4) Con queste sottolineature Lenin colpisce i due estremi verso i quali si tende quando non si è capaci di “risolvere modo dialettico” la correlazione tra verità assoluta e verità relativa: il “relativista” Bogdanov da un lato ed il “materialista metafisico” Duhring dall’altro.

(5) Citazioni tratte da “Materialismo ed empiriocriticismo” (Lenin), capitolo II paragrafo 5. In questo paragrafo Lenin si rifà ampiamente ad Engles, (“Antiduhring”, prima sezione, capitolo X), dal quale riprendiamo la citazione successiva.

(6) “la situazione politica mondiale ha posto all'ordine del giorno la dittatura del proletariato, e tutti gli avvenimenti della politica mondiale convergono inevitabilmente verso un solo centro di gravità: la lotta della borghesia mondiale contro la Repubblica Sovietica della Russia che raggruppa inevitabilmente attorno a sé tutti i movimenti di emancipazione nazionale delle colonie e dei popoli oppressi, i quali, per la loro amara esperienza, vanno persuadendosi sempre più che per loro non c'è salvezza all'infuori della vittoria del potere dei Soviet sull'imperialismo mondiale. Per conseguenza, oggi è necessario condurre una politica che assicuri l'attuazione della più stretta alleanza fra tutti i movimenti di liberazione nazionale e coloniale e la Russia dei Soviet.” (Lenin, Primo abbozzo di tesi sulle Questioni Nazionali e Coloniali).

(7) Bordiga, Prometeo aprile 1924.

(8) Rosa Luxemburg dedica alla questione gran parte del terzo capitolo di “La rivoluzione Russa”. Il saggio della Luxemburg è un ottimo esempio di condotta rivoluzionaria, in quanto pone l’accento critico su alcuni punti della tattica e dell’azione bolscevica senza mai sminuire la portata rivoluzionaria del Partito Bolscevico, di Lenin e della Rivoluzione d’ottobre, così come invece faranno gli anarchici e gli stessi consiliaristi tedeschi.

(9) Un'ottima sintesi è costituita dalle “Tesi sulla tattica nei paesi della periferia capitalistica”, approvate nel 1997 al nostro ultimo congresso, consultabili anche sul sito web.

(10) “A proposito della polemica di Battaglia Comunista col SI Cobas sulla Palestina”, M. Basso, pubblicato anche sul sito web “Il Pane e le rose”.

(11) Riportiamo qualche esempio. “…la granitica convinzione dei militanti di Battaglia C. di rappresentare l’ortodossia marxista…”. “…giovani che non hanno avuto il tempo di formarsi politicamente…”, “…“economisti imperialistici” del nostro tempo…”, “…rispolverano inconsapevolmente dottrine proudhoniane…”. Tutte etichette, queste, appiccicate in modo superficiale, che non aggiungono nulla al contenuto.

(12) Anche grazie a questa omissione Basso arriva a concludere che le osservazioni critiche prodotte dalla nostra corrente rispetto alla formulazione tattica di Lenin risalirebbero in particolare agli anni 80. A parte questa incredibile mancanza, bisogna dire che fin dalle origini del Partito Comunista internazionalista la tattica adottata della Terza internazionale è stata analizzata criticamente, una analisi ripresa poi negli anni successivi. Giusto un esempio: «, sul piano teorico, se Lenin riconosce nell'imperialismo l'ultima fase del capitalismo, non sempre porta alle estreme conseguenze questa analisi, e l'insufficiente impostazione del problema è risentita nella famosa formula del “diritto dei popoli a disporre di se stessi”». «Orbene, se l'imperialismo è l'ultima fase del capitalismo, esso uccide pure le possibilità di ogni indipendenza nazionale, anche nel senso borghese della parola» (Battaglia Comunista 1946, ora nel libro Settant’anni contro venti e maree. Storia documentaria del Partito Comunista internazionalista.)

Sabato, October 4, 2014

Battaglia Comunista

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