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La spada dell'Islam

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(2 Settembre 2010) Enzo Apicella
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    VERSO IL REGIME: IL PD CHE PARTITO E'

    (10 Ottobre 2014)

    LA “BAGARRE” PER LE CANDIDATURE ALLE PRIMARIE DEL PD PER LA REGIONE LIGURIA OFFRE UNO SPACCATO MOLTO SIGNIFICATIVO: DI QUALE SOGGETTO SI TRATTA, TRA PARTITO PERSONALE E INDIVIDUALISMO COMPETITIVO?

    Non è il caso di descrivere nel dettaglio della “querelle” sviluppatasi attorno alle candidature per le primarie del PD in Liguria tra autocandidature di assessori uscenti lanciate ormai da molti mesi, ritiri improvvisi (con veleni), tentazioni di segretari, uscita di scena (?) di Ministri, l’entrata a gamba tesa di esponenti di Forza Italia a sostegno di una delle candidature in ballo.
    E’ il caso, invece, di assumere ciò che si sta verificando in una piccola Regione dove il PD sta esercitando da molti anni un potere egemonico, senza opposizione né da sinistra, né da destra con un sistema di “entente cordiale” trasversale sul modello, com’è già capitato di scrivere, della maggiore banca della Liguria, la CARIGE oggi al centro di un clamoroso scandalo.
    Modello definibile : ce n’è per tutti, magari per alcuni poco ma ce n’è per tutti.
    Così si è cementificato il territorio (con gli esiti che la regolare periodicità dei disastri alluvionali sta a dimostrare), costruiti tanti porticcioli, fatto salire un enorme deficit nella sanità (una sanità che offre sempre meno ai cittadini liguri) distrutto il sistema dei trasporti (ferrovie con gli scambi che non funzionano per il freddo a Sampierdarena, aziende del trasporto pubblico con deficit spaventosi).
    Però non è neppure la sede per un bilancio, che pure dovrà essere comunque sviluppato da qualche parte, per la Regione Liguria e il suo governo delle “larghissime intese”.
    Quest’occasione può, invece, essere utile prendendo spunto dalle lotte intestine al partito per porre una domanda di fondo: che partito è il PD?
    Fino all’avvento della segreteria Renzi il modello su cui sembrava fondato il PD (“l’amalgama non riuscita” di D’Alema) sembrava essere quello basato sulle “primarie” che servivano a suffragare più o meno plebiscitariamente il leader designato (nel caso Veltroni) in un quadro gestionale che rimaneva comunque molto frastagliato per via dell’esistenza di correnti facenti capo alle diverse tradizioni e riferimenti politici da cui il partito risultava composto.
    Questo meccanismo, una volta portato a livello locale per le scelte dei candidati alle elezioni regionali o amministrative oppure per le “parlamentarie” o per le cariche di partito ha dato vita a un fenomeno molto particolare, specifico nella situazione italiana che, non dimentichiamo, è ancora derivato dal sistema delle alleanze tra partiti realizzatesi nella fase del “bipolarismo”.
    I candidati, infatti, hanno teso progressivamente a non riferirsi più alle correnti di origine ma a stringere alleanze specifiche di tipo “trasversale” in un primo tempo a livello di gruppi o comunque di tipo collettivo e successivamente via via in maniera sempre più personalistica fino a determinare a quel fenomeno del cosiddetto “individualismo competitivo”: una forma di personalizzazione esasperata, di basso profilo politico, completamente estranea a qualsivoglia riferimenti di contenuti, che ha dato vita a una situazione di parcellizzazione della conflittualità colmabile soltanto con la distribuzione di “incentivi selettivi” sul terreno dell’acquisizione del “potere” a livello istituzionale.
    L’avvento di Renzi alla segreteria e il suo rapido passaggio alla Presidenza del Consiglio ha portato alla determinazione di una situazione molto complessa e definibile, per certi versi, paradossale.
    Renzi ha assunto, infatti, sia rispetto al Partito (collocato in una condizione di totale subalternità di vera e propria “ancella del potere” con funzione di ufficio di collocamento per aspiranti alle gerarchie) sia rispetto al Governo una sorta di funzione da “Lord Protettore” non esercitando, però, nonostante le apparenze, una decisionalità reale.
    Questo è avvenuto nei fatti nonostante l’apparente “decisionismo” del suo personaggio e di chi gli si è collocato intorno attraverso la determinazione del criterio della fedeltà e dell’appartenenza personale.
    Di conseguenza il PD si trova nella condizione del “Protettorato” al vertice e di un rissoso “Feudalismo” alla periferia: come il caso della Liguria (ma anche di altre regioni) ben dimostra.
    Un partito (forse una parola “grossa”, in questo caso) dove pare vigere come sistema di vita interna una sorta di “spartizione delle spoglie” dove chi riesce ad entrarne in possesso davvero “non fa prigionieri” fra i propri compagni di partito.
    Nel frattempo il PD perdeva per la strada 300.000 e più tessere e i suoi vertici hanno dimostrato che la cosa assolutamente loro non interessava, questo pienamente in linea con l’idea di una democrazia esercitata sì fuori dalla logica dei corpi intermedi ma anche fuori da quella “classica” dell’autoritarismo, del dialogo diretto tra il Capo e la folla.
    Folla che può esercitarsi soltanto nel plauso incondizionato senza esercitare alcuna interlocuzione reale (neppure attraverso i sondaggi).
    Ci troviamo ben oltre il modello del partito personale così come disegnato a suo tempo da Mauro Calise sull’idealtipo di Forza Italia e della capacità di comando di Silvio Berlusconi e neppure del “partito leggero” di tipo elettorale, a forte leadership verticale.
    L’interrogativo rimane così tutto da risolvere: di quale partito si tratta?
    Un partito che sistematicamente può essere così descritto: non tiene in conto gli iscritti, chiede di circondare il leader in una forma di consenso totale, lascia che in periferia si proceda alla “cannibalizzazione” degli aspiranti agli incarichi pubblici senza verificarne appoggi e prospettive nell’idea che il consenso possa verificarsi e crescere soltanto attraverso una forma di plebiscitarismo di massa.
    Difficile fornire un’analisi compiuta di questo fenomeno che tra l’altro agisce in un sistema anch’esso di complicata classificazione: non è più bipolare, non è di “solidarietà nazionale”, non c’è contrapposizione con un’opposizione alternativa e plurale.
    Salgono alla mente gli esempi più negativi per la democrazia nella realtà di una concreta sparizione del processo di partecipazione politica, l’allontanamento di massa dal voto, il deterioramento nella vita delle istituzioni a livello centrale come quello periferico.
    Esempi negativi di cui si compone la formazione di un vero e proprio regime autoritario, con il PD asse portante.

    Franco Astengo

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