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[Roma] Teatro dell'opera - Una vecchia stagione: Licenziamento collettivo ed esternalizzazione

(14 Ottobre 2014)

teatropera

“…dopo un’accurata riflessione abbiamo pensato che questo è l’unico percorso che può portare a una vera rinascita del Teatro dell’Opera, della lirica nella nostra città. Il consiglio oggi ha approvato l’esternalizzazione dell’orchestra e del coro, votando senza alcuna contrarietà una procedura di licenziamento collettivo dell’orchestra e del coro del Teatro dell’Opera di Roma.

L’orchestra e il coro ovviamente possono costituirsi in un’associazione partecipando ad audizioni, a valutazioni e, evidentemente tutto questo si completerà in 75 giorni (…), così dal I gennaio 2015 avremo un’orchestra, un coro orgogliosi di sentirsi parte di questo teatro, della tradizione lirica del nostro paese e credo che questo nuovo modello già ben sperimentato in altre capitali del nostro continente, ma straordinariamente innovativo nel nostro paese, ci darà la possibilità di rinascere con un nuovo Teatro dell’Opera con una statura ritrovata a livello nazionale e internazionale”


Ecco la dichiarazione con cui, alla conferenza stampa del 2 ottobre, il Sindaco Marino ha serenamente annunciato il licenziamento collettivo e proposto l’esternalizzazione dell’orchestra e del coro del Teatro dell’Opera di Roma: 182 lavoratori e lavoratrici, improvvisamente, si son ritrovati senza il posto di lavoro che credevano stabile e al quale avevano avuto accesso tramite concorso internazionale. Il sovrintendente Fuortes ha cercato di giustificare la decisione presa dal CDA dicendo che “l’alternativa era la chiusura” e che hanno preferito “salvare il Teatro, salvare 280 dipendenti e dare la possibilità a questi 180 di non andare sulla strada e trovare una soluzione alternativa”. Ovviamente e per fortuna i musicisti e le musiciste del coro e dell’orchestra non ci stanno e subito cominciano le proteste. Così alle dichiarazioni mistificanti di Marino e Fuortes si aggiungono quelle dei giornali che parlano dei privilegi del coro e dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma.

Innanzitutto mistificante è definire il progetto-processo di licenziamento e esternalizzazione “innovativo”: non c’è niente di nuovo, ma è quello che vediamo accadere continuamente nel pubblico e nel privato da qualche anno a questa parte: esternalizzare per togliere diritti e per abbassare i salari, per precarizzare; “nuova” è l’esternalizzazione di un’orchestra e di un coro di una Fondazione lirico-sinfonica. Marino parla del fatto che in molte capitali europee funziona così, ma informandosi i lavoratori hanno scoperto che tutti i teatri dell’opera europei hanno orchestre stabili, così come nel resto d’Italia.

Siamo quindi dei pionieri di questo nuovo sistema di precarizzazione delle masse artistiche? La risposta è si, e proprio per nascondere la problematicità di quello che si sta facendo, i giornali e i giornalisti in televisione hanno cominciato a parlare dei privilegi che questi orchestrali e coristi vorrebbero mantenere, spostando, come sempre, il piano della discussione.

La retorica del privilegio la liquidiamo subito: basta guardare al fatto che hanno perso il lavoro per capire che non c’è privilegio che tenga; il loro stipendio non è basso, infatti si colloca in una media di 2000 euro al mese (chi più chi meno, con alcune indennità per vestiti, strumenti e cibo, definite scandalose dai giornali ma che non bastano neanche a coprire la manutenzione di alcuni strumenti), ma neanche alto. Anche se ovviamente, se si vuole far passare il messaggio che, andando verso un sistema schiavistico, sia normale guadagnare 1000 euro al mese, allora è lecito affermare che chi ne guadagna 2000 e ha ancora dei diritti da difendere è un privilegiato. Invece anche i musicisti e i lavoratori dello spettacolo sono come tutti gli altri e vengono trattati come tutti gli altri: sono pur sempre lavoratori dipendenti e grazie alle “giuste leggi” possono essere licenziati come tutti gli altri; il licenziamento di questi lavoratori dimostra proprio il fatto che questo privilegio è fittizio, che è più d’immagine che di sostanza.

Come dice Loris Grossi (delegato SLC CGIL) “l’unico privilegio che abbiamo rispetto agli altri lavoratori è di fare un lavoro che ci piace, che amiamo e per cui abbiamo studiato una vita”. Purtroppo, basandosi su una diffusa ignoranza di quelle che sono le pratiche e le specificità di questi lavori e sul pregiudizio che chi lavora nello spettacolo, nell’arte e nelle telecomunicazioni sicuramente guadagna molto bene e vive nel lusso (e qui rimandiamo all’articolo sullo sciopero in RAI di giugno), dovuto al fatto che di tutto quel mondo ciò che emerge è solo il prodotto, lo spettacolo, l’intrattenimento (più che l’arte), e insieme spesso il prezzo che è o sembra troppo alto, e mai il lavoro necessario svolto da moltissime persone invisibili, troppo spesso ci si scorda proprio del lavoro, e viene meno una solidarietà con questi lavoratori e lavoratrici quando difendono i loro diritti nella loro specificità.

Nel caso di cui stiamo parlando, per esempio, non ci si rende conto che dietro al numero di ore lavorative (28 settimanali) volute dal CCNL, che sono quelle retribuite, e che ad alcuni potrebbero sembrare poche, ci sono in più quelle che uno/a strumentista o un/una corista deve svolgere per conto suo per studiare le parti a casa e mantenersi in esercizio; e qui torniamo al problema della esternalizzazione in questo specifico settore: nel momento in cui un’orchestra e un coro stabili non sono più stabili, ma assunti quando è necessario (anche se in teoria comunque quasi sempre in un teatro dell’opera) allora è logico che guadagneranno certamente di meno, e quindi per questo motivo l’impegno dedicato allo studio dovrà essere minore perché saranno costretti ad avere altri lavori in contemporanea per vivere, con un’evidente perdita di qualità del “prodotto finale”. Inoltre l’importanza del fatto che un’orchestra e un coro siano stabili sta anche nel fatto che gli stabili in un teatro “sono la parte fondamentale di un Ente Lirico perché lavorando insieme da anni costruiscono giorno dopo giorno una amalgama sonora che li contraddistingue e li differenzia dagli altri Teatri. Ogni orchestra ha una sua identità sonora e tecnica e porta avanti la sua peculiarità nel tempo, formando i nuovi arrivati e perpetuando tradizioni” (così scrive Michele Spellucci, violoncellista, in una lettera al Ministro Franceschini).

Adesso vediamo come si sono svolte le cose, cerchiamo di fare luce su una vicenda in cui alla fine a pagare saranno i dipendenti, perdendo il lavoro o perdendo tutti i diritti di cui godevano con il contratto a tempo indeterminato, tra cui quelli sindacali di contrattazione. Ovviamente la colpa è della gestione, perché il debito (motivo per cui si vogliono risparmiare su orchestra e coro 3,4 mln su 4 che sarebbero) certamente non possono averlo prodotto i dipendenti. Perché infatti, come ha dichiarato un musicista nell’assemblea che si è svolta venerdì mattina, “Siamo dei dipendenti: noi non facciamo le stagioni, noi non decidiamo gli orari, noi non abbiamo voce in capitolo nella programmazione (…) perché accusano noi? Perché vogliono far credere che siamo noi i privilegiati per togliersi gli occhi di dosso, per togliersi il fiato dal collo che queste persone sentono e ce lo vogliono scaricare addosso a noi”.

Del 1967 è la legge che rende stabile il lavoro delle cosiddette masse artistiche e dei tecnici e amministrativi dei teatri. Ma da vent'anni la tendenza ha cominciato a invertirsi: accanto agli stabili è normale che si faccia uso di aggiunti all’occorrenza, di freelance, e la tendenza attuale è quella all’aumento di aggiunti a fronte di una diminuizione del personale stabile. Esemplare, in questo senso, è ciò che è avvenuto al corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma: su 65 dipendenti solo 12 sono a tempo indeterminato. Da poco infatti sono andate in pensione 30 persone con contratto a tempo indeterminato e quelli che son stati assunti al loro posto non lo hanno.
La legge Bray, legge 112 del 2013, istituisce un fondo per aiutare le fondazioni lirico-sinfoniche in difficoltà, ma in cambio chiede alla fondazione, se necessario, di licenziare fino al 50% del personale tecnico-amministrativo in esubero (che non ha niente a che fare con ciò che sta avvenendo) e di presentare un piano industriale 2014/2016 approvato dai sindacati di maggioranza. Inoltre se la fondazione non avrà il bilancio in pareggio a dicembre 2016 verrà messa in liquidazione coatta amministrativa, il che corrisponde a scioglierla.

La Fondazione del Teatro dell'Opera di Roma decide di accedere a questo fondo e lì comincia la battaglia: viene infatti presentato ai sindacati un piano industriale che dice che la situazione è buona, che non verranno toccati gli stipendi fino al dicembre 2014, che verranno mandate in pensione 65 persone, ma non entra nel dettaglio e non parla di livelli occupazionali.

Cisl e Uil firmano l'accordo, mentre CGIL e Fials (Federazione Italiana Autonoma lavoratori dello Spettacolo) no, e chiedono un piano industriale preciso e dettagliato che rispetti i livelli occupazionali perché non volevano firmare “un accordo in bianco”. Si decide allora di fare un referendum interno dei lavoratori per capire se si vuole o meno firmare questo piano industriale. A luglio-agosto, a fronte del rifiuto di mostrare il piano industriale dettagliato viene dichiarato lo stato di agitazione e lo sciopero, che avviene durante le rappresentazioni alle terme di Caracalla.

Lo sciopero viene dichiarato con largo anticipo il sabato per il martedì successivo; il sovrintendente, pur essendo a conoscenza dello sciopero, non dà la notizia in anticipo, ma solo la sera stessa della rappresentazione quando il pubblico è già in sala, dando quindi la 'colpa' agli scioperanti. Lo stesso pubblico, invitato ad assistere a una riduzione per pianoforte solo della partitura della “Bohème”, se ne va per la maggior parte e chiede rimborso; per questo il sovrintendente chiederà agli scioperanti i danni, fingendosi ignaro del diritto di sciopero - e non si tratta della prima volta visto che in occasione di un altro sciopero a febbraio lo stesso Fuortes fece andare in scena un balletto con un nastro registrato delle prove dell’orchestra; proprio per questo episodio i lavoratori hanno appena vinto una battaglia in tribunale: in base all'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, il comportamento del sovrintendente è stato giudicato “antisindacale”.

Al secondo giorno di sciopero la 'Bohème' viene nuovamente riproposta al pianoforte, ma a ingresso libero.

Il terzo giorno di sciopero la rappresentazione viene finalmente annullata. Gli spettacoli compromessi dallo sciopero sono stati in totale 3 su 27, e non l’intera stagione, come invece dichiarato più volte in questi giorni.

Il 18-19 settembre c’è infine il referendum: votano solo in 300 dipendenti del Teatro, cioè circa la metà, e i favorevoli alla firma del piano industriale sono il 96%, piano che va quindi in porto.

Le ultime dichiarazioni di Marino a una settimana dal licenziamento sono ottimiste e parlano di un bilancio in attivo, ma improvvisamente dallo stesso pulpito si sente parlare di licenziamenti di coro e orchestra.
Non si capisce di preciso dove vogliano arrivare Marino, Franceschini e Fuortes, se alla chiusura della Fondazione o semplicemente a risanare i conti in maniera discutibile e risparmiando sul costo del lavoro, ma di sicuro si vuole far pagare una crisi di malagestione (senza tetti alle produzioni e ai cachet) a chi non si è mai occupato, perché non è sua prerogativa, della gestione del Teatro: nell’assemblea di ieri è emerso come il tanto vituperato CCNL, lo stesso utilizzato dall’Accademia di Santa Cecilia e dalla Scala, due “eccellenze” italiane, permetterebbe all’orchestra e al coro di “produrre” molto di più se diretti diversamente (con la precedente gestione si arrivava a 240 alzate di sipario annue contro le 120 attuali).

Ancora una volta a Roma a denunciare la malagestione sono solo i lavoratori e le lavoratrici, così come vediamo nel panorama delle municipalizzate.

Venerdì mattina (10 ottobre) c'è stata una partecipata e combattiva assemblea in cui i musicisti e le musiciste si sono unitariamente schierati contro il licenziamento e contro l’idea di formare una cooperativa, decisi a difendere il loro posto di lavoro e i loro diritti, in difesa di tutti/e. Non pochi i riferimenti a una battaglia culturale più ampia contro l’attacco generalizzato al mondo del lavoro.
Molta anche la solidarietà arrivata da musicisti di altre fondazioni lirico-sinfoniche di tutta Italia, solidarietà definita da un lavoratore di cuore e sincera, ma anche interessata perché “quello che sta succedendo a noi potrebbe succedere a tutte le Fondazioni lirico-sinfoniche”.
Viene rilanciata così una manifestazione a livello nazionale per l’inizio di novembre e si decide di fare di tutto per portare in scena l’Aida, rappresentazione messa a repentaglio dall’attuale situazione di crisi.

È importante che questi/e lavoratori e lavoratrici vincano perché la cultura è fatta di lavoro, tanto lavoro e non solo di volontarismo e spontaneismo gratuiti da parte di chi se lo può permettere. Evidente il tentativo da parte delle istituzioni di far passare questo messaggio, e di volersi così sgravare dei costi che in un momento di crisi si preferisce non dover coprire; nonostante la linea sia evidentemente questa, si continuano a fare proclami astratti in difesa della “cultura” al fine di coprire il fatto che si sta realmente attaccando il mondo del lavoro nella cultura, che ne è il cuore.

13 Ottobre 2014

Clash City Workers

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