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Una ‘Rivoluzione’ sotto attacco – l’alternativa nel bel mezzo della guerra civile siriana

Traduzione di un articolo del 4. ottobre 2014 di Ulrike Flader

(17 Ottobre 2014)

Arrivano dall’area di Kobani – uno dei tre cantoni dell’auto-proclamata Regione Autonoma di Rojava nel nord della Siria – le ultime immagini di migliaia di rifugiati che fuggono dai pesanti attacchi di ISIS e si dirigono dalla Siria al di là del confine con la Turchia

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Questa regione – che consiste di tre enclave geograficamente separate lungo il confine turco – ha approfittato strategicamente della situazione drastica per dichiararsi autogovernata nel luglio del 2012 e da quel momento all’interno del movimento curdo che fa riferimento al PKK viene proclamata e festeggiata la Rivoluzione di Rojava. La popolazione di Rojava, già da tempo roccaforte del PKK, è composta prevalentemente da curdi – sia musulmani che yezidi [1] – così come pure da arabi, assiri cristiani, armeni, turkmeni e ceceni. Il desiderio di autodeterminazione, in particolare tra i curdi, è stato innescato dai decenni del regime di Assad in cui sono stati costantemente negati i diritti fondamentali di cittadinanza.
In ogni caso, questa rivoluzione silenziata non è una mera questione di indipendenza; non è la costituzione di un ennesimo stato-nazione. Volutamente si dichiara una Regione Autonoma e non uno stato, rispondendo così da un lato alla critica agli stati-nazione esistenti e ai loro omogeneizzanti ed escludenti principi di cittadinanza, al loro centralismo di governo e alle loro strutture non-democratiche (condizioni di cui hanno sofferto i kurdi in Iran, Iraq, Turchia e Siria), e dall’altro alla critica ai tradizionali movimenti di liberazione nazionale. Tali critiche insieme al modello alternativo di Autonomia Democratica sono state portate avanti da Ocalan, leader del PKK in carcere, ed il modello ha quindi rimpiazzato la precedente lotta per l’indipendenza. Il concetto di Autonomia Democratica va immaginato accostandolo alle linee di discorso del pensatore libertario Murray Bookchin e va intesa come una democrazia radicale e decentralizzata che, dentro o malgrado uno stato-nazione preesistente, si fonda su parità e uguaglianza di genere, etnica –e di culto, nonché sull’ecologia [2]. In questo senso il PKK e l’organizzazione politica affine del PYD (Partito dell’Unione Democratica) stanno promuovendo questo modello il cui principio base è la realizzazione dell’unità di tutto il Medio Oriente, che comprenda tutte le diverse fedi e i vari gruppi etnici, senza però assimilarli.
Da un anno e mezzo i numerosi militari siriani presenti sono stati espulsi da maggior parte della regione; polizia, servizi segreti e il “servizio civile” del vecchio regime sono stati smantellati; il sistema educativo e quello giudiziario sono stati trasformati. Inoltre, nonostante la pregiudicata e precaria situazione di sicurezza, sono stati fondate delle istituzioni essenziali in direzione di cambiamenti radicali per quanto riguarda tre principali ambiti: l’introduzione di un auto-governo diretto basato sulle comuni, la garanzia di un’equa partecipazione da parte di tutti i credi e gruppi etnici in ogni aspetto dell’attività decisionale e il potenziamento della posizione della donna nella società.
Villaggi –o comuni di strada –formati da 30 fino a 150 gruppi famigliari sono stati organizzati puntando a decentralizzare il processo decisionale e a mettere in pratica l’autogestione. Queste comuni decidono in quanto a questioni riguardanti l’amministrazione, l’elettricità, le provviste così come discutono e risolvono ulteriori problemi sociali. Hanno al loro interno delle commissioni per l’organizzazione della difesa, della giustizia, delle infrastrutture, dell’ecologia, dei giovani e dell’economia. Alcuni si sono costituiti in cooperative comuni, ad esempio panetterie, workshop di semina o iniziative agricole [3]. Altri hanno organizzato il sostegno ai più poveri della comunità, rifornendoli della quantità minima di cibo e combustibile. L’insieme dei delegati delle comuni formano un consiglio, che equivale a 7-10 villaggi o ad un intero quartiere di una città. Inoltre, ogni centro urbano possiede un consiglio cittadino composto dai rappresentanti delle comuni, da tutti i partiti politici, dall’associazione dei caduti in combattimento, dall’associazione delle donne e dall’associazione dei giovani. Tutti i consigli così come tutte le comuni hanno una quota di donne del 40%. Le decisioni sono prese attraverso la modalità del consenso di base e i tempi a disposizione per parlare sono equi e vengono rispettati. Oltretutto vige in ogni organizzazione un sistema di co-presidenza, vale a dire che c’è sempre un presidente donna accanto ad uno uomo. Tutti i membri sono proposti e eletti dalla popolazione. Tuttavia, secondo la co-presidente del PYD Salih Muslim, questo cambio radicale dalla dittatura verso una forma di auto-governo non è un processo facile: “Le persone stanno imparando ora come governarsi” [4].
Questo cambiamento nel processo decisionale porta con sé una svolta radicale nel sistema “giudiziario”: la creazione di “comitati di pace e consenso” [5]. Questi comitati, che sorsero negli anni ’90, originariamente come istituzioni clandestine della sinistra kurda nelle città kurde della Siria, per poi venire violentemente represse negli anni 2000, hanno ripreso importanza con l’insurrezione e si sono trasformati nelle strutture di base e nei principi su cui si fonda la nuova legalità. Lo scopo di questi comitati, che si occupano di tutte le comuni faccende e vertenze legali ad eccezione di certi crimini come l’omicidio, è di raggiungere un consenso tra le parti in conflitto e in questo modo un accordo duraturo. In un’assemblea generale di tutti i residenti ogni comune elegge i suoi da 5 a 9 membri del comitato di pace e consenso locale (di cui il 40% devono essere donne) a seconda della loro capacità di facilitare tale consenso nella discussione tra le parti. Viene enfatizzato come questi membri non debbano essere ereditati dalle autorità tradizionali, bensì democraticamente eletti e in accordo ai principi di eguaglianza di genere. I comitati di pace e consenso esistono anche a livello distrettuale: i consigli popolari eleggono a seconda del loro distretto i membri del comitato distrettuale. Sono stati parallelamente creati dei comitati di sole donne che trattano specificamente di casi di crimini contro le donne, come violenza domestica, matrimoni forzati e multipli. I casi che non possono essere risolti tramite la via della ricerca del consenso vengono trasmessi alle istituzioni superiori che esistono a livello di città, di regione e di cantone. Sono state istituite corti d’appello in ogni regione e una corte costituzionale si occupa dell’ulteriore sviluppo della costituzione che è stata comunque formulata come “contratto sociale” [6].
La decisione di concordare un contratto sociale al posto di una costituzione è il manifestarsi della centralità del principio multietnico-multi religioso che regge il concetto di autonomia democratica a Rojava. Il contratto, sviluppatosi attraverso i vari incontri tra rappresentanti dei differenti gruppi etnici e religiosi, ha come fine il conseguimento della sicurezza e dell’autogestione. Tutti i gruppi devono essere egualmente presenti e attivi nell’arduo percorso della presa di decisioni politiche, sociali ed economiche, e il loro diritto all’ auto-determinazione è assicurato non solo dall’autogestione a livello di villaggio, bensì anche dal diritto di organizzarsi autonomamente su altri livelli. Secondo la relazione di una delegazione che ha visitato la regione a maggio di quest’anno, la partecipazione di arabi e assiri e consistentemente aumentata in tutte le aree della zona [7]. I vari gruppi vengono anche incoraggiati a partecipare all’ala armata YPG o a fondare i loro propri gruppi di difesa, come hanno fatto recentemente gli assiri.
D’altro canto il potenziamento del ruolo della donna non è da realizzare solo attraverso la sua presenza in tutte le fasi del processo decisionale (attraverso la quota del 40%, del sistema di co-presidenza, dei comitati femminili di giustizia) bensì anche e soprattutto dalla costituzione della loro propria forza militare YPJ (Unità di Difesa delle Donne) [8].
In un’intervista la co-presidente del PYD spiega come in Siria il movimento abbia imparato dalle precedenti rivoluzioni che la questione femminile non può essere lasciata per il post-rivoluzione. Di fatto a Rojava le donne hanno funzioni fondamentali in politica, diplomazia, questioni sociali e nella costruzione di un’innovativa struttura familiare democratica così come nell’organizzazione dell’auto-difesa [9]. Citando sempre Asya Abdullah, le strutture di auto-governo così come l’auto-organizzazione delle donne sono tanto importanti quanto le istituzioni e i seminari di educazione indipendente e i progetti di incrementare l’indipendenza economica della donna.
Questo tentativo di pacifica trasformazione democratica in coesistenza con (o malgrado, ndt) lo stato, sulle premesse di una radicata auto-determinazione, di pluralismo e di uguaglianza di genere, non è ben visto da tutti nella regione. I pesanti attacchi dei giorni scorsi al cantone di Kobani da parte dei combattenti di ISIS indicano un grande nonché crescente interesse all’annichilimento di questa regione autonoma, il cui insediamento è andato e va a pari passo con il rafforzarsi del PKK. Il governo turco ha reagito aggressivamente alle dichiarazioni del New York Times e di altri media secondo i quali esso starebbe, in un modo o nell’altro, supportando sempre i combattenti di ISIS [10]. Il PKK vede giustamente queste accuse come fondate. Tale cooperazione fa poi sorgere dubbi sulla sincerità del governo nei confronti dei colloqui di pace tenutesi con Ocalan negli anni passati. Il PKK ha avvertito che il processo di pace potrebbe giungere al termine, a causa del comportamento del governo turco (governo turco che nei giorni scorsi ha già bombardato le postazioni del PKK su territorio turco, ndt) [11]. Per tutti quelli che si sono riversati al confine con la Siria per protestare e quelli che organizzano veglie e manifestazioni in Europa, Rojava non è soltanto un esperimento di democrazia alternativa in Medio Oriente, bensì anche e al momento soprattutto un bastione in contrapposizione al fascismo di ISIS.
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[1] La maggior parte dei kurdi yezidi vive nella regione del Kurdistan iracheno. L’attacco di ISIS alla città di Sinjar e il massacro dei suoi abitanti ha destato una forte attenzione internazionale e la decisione degli USA di intervenire. Da quel momento molti kurdi yezidi sono stati aiutati a rifugiarsi a Rojava dall’ala siriana dei guerrilla fighters del PKK (ovvero lo YPG).

[2] Gunes, Cengiz (2012) The Kurdish National Movement in Turkey. Da: Protest to Resistance. New York: Routledge; vedi anche Biehl, Janet (2012) “Bookchin, Öcalan, and the Dialectics of Democracy”, New Compass, http://new-compass.net/articles/bookchin-%C3%B6calan-an...cracy, in data 20.02.2012

[3] Knapp, Micheal (2014) „Die Demokratische Autonomie in Rojava. Ziel ist eine demokratische Lösung für den gesamten Mittleren Osten“, Kurdistan Report 174, http://www.kurdistan-report.de/index.php/archiv/2014/17...osten, in data 25.09.2014

[4] Intervista con la co-presidente del PYD, Salih Muslim, “Die Menschen lernen, sich selbst zu bestimmen“, Kurdistan Report 175, http://www.kurdistan-report.de/index.php/archiv/2014/17...immen, in data 25.09.2014.

[5] Ayboga, Ercan (2014) “Das neue Rechtssystem in Rojava. Der Konsens ist Entscheidend“, Kurdistan Report 175, http://www.kurdistan-report.de/index.php/archiv/2014/17...idend, in data 25.09.2014.

[6] Vedi “Charter of the Social Contract” di Rojava presso http://peaceinkurdistancampaign.com/resources/rojava/ch...ract/, in data 26.09.2014

[7] Knapp 2014.

[8] Intervista con Îlham Ehmed, rappresentante del movimento kurdo delle donne e membro del Consiglio Supremo kurdo: Civaka Azad (2014) “Perspektiven der Frauenbewegung in Rojava”, http://civaka-azad.org/perspektiven-der-frauenbewegung-...java/, in data 25.09.2014

[9] Intervista con Asya Abdullah co-presidente del PYD: Ögünç, Pinar (2014) “Kadin özgür degilse demokrasi olmaz”, Radikal, 22.08.2013, http://www.radikal.com.tr/yazarlar/pinar_ogunc/kadin_oz...47222, in data 25.09.2014

[10] Riassunto ufficiale del discorso del presidente Erdogan presso l’Assemblea della Confederazione turca dell’Artigianato e del Commercio (TESK): TCCB (2014) “We do not accept and have never accepted the notion of Islamic terrorism”, http://www.tccb.gov.tr/news/397/91043/we-do-not-accept-....html, in data 25.09.2014; il discorso a cui si riferisce il presente articolo è stato pubblicato sul New York Times il 15.09.2014: Yeginsu, Ceylan (2014) “ISIS Draws a Steady Stream of Recruits from Turkey”, New York Times, 15.09.2014, http://www.nytimes.com/2014/09/16/world/europe/turkey-i....html, in data 25.09.2014.

[11] Dichiarazione di Cemil Bayik, co-presidente del Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK) vedi Firatnews (2014) “Bayik: We may end the cease-fire”, 27.09.2014, http://en.firatajans.com/news/news/bayik-we-may-end-the...e.htm, in data 27.09.2014

Link esterno: http://www.movements.manchester.ac.uk/the-alternative-i...yria/

Da: http://www.anarkismo.net/article/27433?userlanguage=it&save_prefs=true in data 17.10.2014

traduzione di Trevis Annoni

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